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Anche Brunetto Latini, il mentore culturale di Dante, è un personaggio utilizzato in funzione della
prospettiva guelfa dell’Inferno. L’atteggiamento del poeta nei confronti del maestro è di riverenza:
l’incipit della Commedia è ispirato dal Tesoretto, un poema scritto da Brunetto Latini, e nel canto
XV si stabilisce fra i due un rapporto simile a quello di un padre con un figlio. L’atteggiamento di
Dante, però, non è sempre stato il solito: nel De Vulgari Eloquentia, il poeta si interroga
sull’esistenza di una lingua che possa unificare l’Italia intera, ma non ne trova alcuna,
sottolineando l’esistenza di tantissime lingue locali; i fiorentini consideravano la loro lingua il
volgare illustre, mentre era soltanto un volgare come gli altri. Brunetto Latini viene chiamato in
causa come intellettuale di riferimento di Firenze, come esempio di arroganza culturale. Dante
sta cercando una soluzione che possa essere congeniale all’Italia intera, e la auspica con
l’intervento politico unificatore dell’impero, in un’ottica anti-municipale.
Nel canto XVI, sempre fra i sodomiti, Dante incontra personaggi del passato guelfo come
Tegghiaio Aldobrandi, Guido Guerra e Iacopo Rusticucci, che compirono grandi gesta per la
propria fazione. Il primo ebbe il merito di sconsigliare inutilmente ai propri compagni di non
prendere parte alla rovinosa battaglia di Montaperti. Guido Guerra fu capo dei Guelfi di Firenze
dopo la vittoriosa battaglia di Benevento; allo stesso tempo, il poeta trova il modo per elogiare suo
nipote, Guido Salvatico di Doladola, esponente del lato guelfo dei Guidi, presso cui Dante si
rifugia in Casentino nel 1307.
Lo stile di Dante
Senza conoscere la storia di Firenze dei giorni di Dante, è difficile comprendere le dinamiche dei
vari dialoghi, poiché il poeta da per scontate molte informazioni: alcuni nomi sono omessi, altri
sono indicati per perifrasi complesse, alcuni riferimenti non sono espliciti. Nel caso di Farinata, non
viene mai spiegato perché questi si trovi fra gli eretici. Spesso il poeta va contro alla natura
enciclopedica della Commedia, omettendo informazioni essenziali per il lettore: è il primo testo
nella tradizione letteraria moderna per il quale sia necessaria una vera e propria enciclopedia per
la sua comprensione, particolarmente per le parti politiche e di cronaca, nelle quali il poeta è
particolarmente coinvolto.
Erick Auerbach, studioso tedesco, in un testo intitolato Mimesis ripercorre la storia della
rappresentazione della realtà nella letteratura attraverso i vari autori, partendo dalla Bibbia e da
Omero, e con esempi arriva fino a Virginia Wolf; in primo luogo l’autore mette in contrapposizione il
tipo stilistico omerico, caratterizzato da una descrizione precisa, senza zone d’ombra e lacune, e
il tipo stilistico biblico, caratterizzato da oscuramento di alcune parti e rilievo di altre, con uno
stile rotto e la necessità di interpretazione. La Commedia si rifà in parte allo stile biblico, anche se
nell’opera si individuano più modi di rappresentare la realtà: nella descrizione della struttura
dell’oltretomba, Dante è precisissimo, riproducendo il mondo terreno nell’aldilà, aggiungendo
dettagli ed elementi fittizi come fossero reali, mettendo il lettore in grado di seguire il viaggio con
facilità. Quando invece parla delle anime che abitano l’aldilà, alcuni personaggi rimangono vaghi,
specialmente quelli realmente esistiti, come se scrivesse solo per i lettori a lui vicini, che
conoscono benissimo i fatti di cui parla. In ogni caso, Dante riesce sempre a tenere in piedi la
struttura narrativa, tanto che sembra di leggere un’opera scritta di seguito.
Il canto IX del Paradiso, ad esempio sarebbe incomprensibile senza il lavoro svolto dagli storici. La
profezia di Cunizza da Romano è oscura, scritta con linguaggio ermetico e ricca di riferimenti alla
realtà storica del Veneto: parla dei padovani, che non hanno riconosciuto il ruolo di rappresentante
imperiale a Cangrande della Scala. I padovani saranno poi sconfitti da Cangrande nelle paludi
intorno a Vicenza, nel 1314. Parla poi di un signore triestino, Rizzardo da Camino, che sarà
ucciso in una congiura nel 1312. Infine, si riferisce al vescovo di Feltre, Alessando Novello, che
dopo aver dato asilo a dei Ghibellini, li consegnò al vicario di Ferrara Pinuccio della Tosa, il quale li
uccise. Il pubblico immaginato da Dante aveva ben presente tutti questi avvenimenti, di cui il poeta
non da alcuna notizia. E’ chiaro anche che il Dante personaggio non è l’esatta trasposizione
dell’autore: nel 1300, anno del viaggio nell’aldilà, il poeta personaggio non avrebbe potuto avere
nessuna idea di chi fossero i personaggi elencati da Cunizza, ma non chiede alcuna spiegazione.
Ne deriva che il personaggio di Dante ha la stessa conoscenza dei fatti e la stessa
consapevolezza del Dante autore nel momento in cui scrive.
Il processo storico ha dato alla scrittura dantesca un’accezione moderna: siamo abituati infatti al
fatto che l’arte e la letteratura siano da interpretare, non completamente dirette; questo,
involontariamente, ha reso la Commedia un’opera dall’anima moderna.
La situazione di Dante e la situazione europea dopo il 1308
Verso la fine del 1308, a Lucca, Dante finisce di scrivere l’Inferno, che non pubblicherà fino al
1314. Subito dopo inizia a scrivere la seconda cantica, di cui si occuperà per molti più anni, circa
fino alla fine del 1314. E’ possibile che la stesura sia stata rallentata o interrotta dall’arrivo del
nuovo imperatore Enrico VII, per cui Dante lavora a tempo pieno. Si coglie una leggera difficoltà
del poeta ad andare avanti con la scrittura, che sfocia in una recriminazione continua sui mali
dell’Italia e dell’Europa, utilizzando personaggi di valore storico minore rispetto a quelli dell’Inferno.
Nel 1309, il comune di Lucca emana un editto con il quale impone a tutti i rifugiati fiorentini di
lasciare la città. Si vocifera che per un paio d’anni si trasferisca a Parigi, città universitaria per
eccellenza, dove frequenta facoltà d’arte e di teologia; probabilmente si tratta solo di una leggenda
tramandata per dar lustro alla sua figura. Non ci sono né documenti né indizi per tracciare il
percorso di Dante. Alcuni indizi derivano da ciò che si legge nel Purgatorio: nel canto IV, ad
esempio, paragona una salita a quella che si trova a Novi, in Liguria, fra Lerici, Lavagna, e Turbia
(vicino a Nizza), tutti luoghi che seguono la via Aurelia per andare in Francia; è ipotizzabile quindi
che fosse arrivato almeno in Provenza. La Provenza conteneva Avignone, città dove fuggirono
molti esuli bianchi, che nel 1309 era diventata sede del papato per ordine di Clemente V. Dante
avrebbe potuto trovare dei protettori lì grazie ai Malaspina, che conoscevano un cardinale.
Come abbiamo detto, dopo la morte di Federico II, Dante considera l’impero vacante, poiché
nessuno dei successivi imperatori era sceso in Italia per farsi incoronare a Roma dal papa.
Esisteva una successione regale: prima si veniva incoronati re di Germania, poi re dei Romani, e
successivamente, con l’incoronamento del papa, si diventava imperatori. Nel 1308 Alberto I
d’Asburgo re dei Romani viene assassinato, e questi non era mai sceso a Roma per essere
incoronato. Nel canto VI del Purgatorio, l’incontro con l’anima di Sordello è lo spunto per l’aspra
invettiva alla “povera Italia”, divisa in fazioni e perennemente in conflitto, senza un’autorità
suprema che faccia rispettare quelle leggi portate da Giustiniano (il Corpus Iuris Civilis).
Nel 1309, papa Clemente V riconosce il titolo di re dei Romani a Enrico VII di Lussemburgo, e
fissa la data di incoronazione imperiale per il 2 febbraio del 1312. In questo modo, il papa cerca di
fuggire dal potere di Filippo il Bello, re di Francia, che era riuscito a spostare la sede papale nel
suo territorio, ad Avignone. La mancanza di un imperatore ha portato alla formazione delle grandi
monarchie nazionali, svincolate dall’autorità imperiale, che avevano poco interesse per la nomina
di un nuovo imperatore. Nel sud Italia, questo si era tradotto con il dominio di Roberto d’Angiò, re
di Napoli, che era il braccio armato del papato, e anch'egli non aveva interesse alla presenza di
un nuovo imperatore. Anche i comuni italiani si erano conquistati un’autonomia di fatto, e
neanche a loro sarebbe giovata la nuova figura imperiale. Enrico VII sa di non avere un potere
forte, quindi si occupa di consolidare il proprio potere in Germania, con le proprie azioni politiche, e
riesce a far nominare suo figlio Giovanni come re di Boemia. Per questo inizialmente Dante non si
cura della figura di Enrico VII. Nel 1310 inizia una propaganda in Italia per preparare il terreno
alla discesa del nuovo imperatore, che faceva leva sulla promessa di una pace duratura: Enrico
vorrebbe placare le contese che tormentavano le città italiane, superando il dualismo fra Guelfi e
Ghibellini; a questa propaganda Dante crede da subito.
Nel 1310 il poeta si trova a Forlì, centro ghibellino capeggiato dagli esiliati di Firenze, vecchi
compagni di Dante. Si era diffusa la convinzione che si dovesse lavorare ai fini di creare un
nuovo equilibrio senza divisioni partitiche, i vecchi nemici si incontrano in nome di questo
progetto, e Dante può tornare a frequentare famiglie prima nemiche. Nello stesso anno Enrico
arriva a Torino e riesce a ottenere il favore di tutte le città in cui si reca, abolendo le magistrature
autonome, collocandovi i propri prefetti e stabilendo nuove tassazioni. Arriva poi a Milano, dove
nel 1311 vuol farsi incoronare re d’Italia con la corona ferrea, come fece a suo tempo Carlo Magno,
dimostrando così il suo forte interesse per la penisola.
Dante, nella primavera del 1311, manda un’epistola a Enrico, in cui dichiara l’onore di essere
stato ricevuto da lui. E’ probabile che il ricevimento sia avvenuto a Milano, e che il poeta sia stato
ricevuto come rappresentante del vecchio schieramento degli esuli fiorentini. In
quell’occasione, non è da escludere che Dante abbia consegnato all’imperatore una propria
epistola, conservata come la “epistola 5”, indirizzata alla classe dirigente italiana, in cui il poeta
invita alla pace generale, sottolineando l’inflessibilità dell’imperatore sui ribelli. Con l’avvento di
Enrico, Dante auspica un futuro in cui si interrompa il ricambio violento delle classi dirigenti.
Nel giro di pochi mesi, a causa di circostanze avverse, cambia la politica di Enrico VII, e
l’entusiasmo tende a scemare. Questi aveva anche ottenuto che si anticipasse l’incoronazione,
sostituendo il papa con dei cardinali, ma successivamente n