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NONO CAPITOLO
Machiavelli si sofferma sui principati civili: ovvero quei principati con a capo un principe che diviene tale col favore di altri cittadini: o col favore del popolo (come nel caso di Bologna, il popolo da potere ai Bentivoglio per far sì che sia difeso dopo i molti tumulti e lotte), o col favore dei nobili (come nel caso di Firenze dove i nobili danno potere a Cosimo de Medici nel 1434 per assicurarsi i loro diritti contro il popolo). Il popolo non vuole essere comandato né oppresso dai grandi mentre i nobili vogliono comandare e opprimere il popolo. Da questi due desideri diversi scaturiscono tre effetti per la città: - Principato - Libertà - Anarchia (la degenerazione della democrazia secondo la teoria dell'anaciclosi di Polibio) Dato che gli altri due possibili esiti non sono centrali nell'argomentazione, l'autore affronta solo la genesi del principato, secondo Machiavelli è preferibile per un principe civile avere il favore del.popolo (in questo caso vediamo un Machiavelli filopopolare) equi Machiavelli elenca i motivi per cui è da preferire diventare principe con il favore del popolo. Innanzitutto il principe civile eletto col favore dei nobili si trova con molti che si reputano alla sua altezza e che sono perciò ben poco disposti ad obbedirgli. Chi invece diventa principe col favore del popolo non deve dividere il potere con nessuno, in quanto è circondato da gente abituata ad obbedire. Inoltre il popolo da potere ad un soggetto perché desidera non essere più oppresso (da una forte tassazione si intende in particolare) ed il popolo ha un fine più onesto dei nobili (qui Machiavelli si schiera dalla parte del volere del popolo): i grandi vogliono opprimere mentre il popolo non vuole essere oppresso. In secondo luogo si fa notare come sia più facile soddisfare il popolo senza perpetrare ingiustizie: e questo deve essere considerato un elemento positivo non tanto per
esigenze morali, quanto perché così si hanno meno possibilità di compiere azioni che possano mettere in pericolo il potere. La terza ragione è che il principe, qualora il popolo gli diventi ostile, non può metterlo in condizione di non nuocere al suo potere, in quanto il popolo, come rende evidente il plurale "troppi" adesso riferito, non è composto da una ristretta cerchia di nobili, facilmente controllabile e, se il caso, eliminabile (ricorrendo quindi alle armi): il principe dunque, non potendo controllare il malcontento popolare, deve evitare di procurarlo, tenendosi amico il popolo. Il quarto motivo, invece, è che il "peggio" che il principe può aspettarsi dal popolo è di essere abbandonato (Al contrario, dai nobili, che hanno "più vedere", cioè la capacità e la possibilità di scorgere le occasioni favorevoli e di approfittarne, e "più astuzia",può attendersi, nei momenti di difficoltà, congiure contro di lui). Concluso l'elenco dei motivi della preferibilità dell'appoggio popolare, Machiavelli introduce un nuovo argomento, cioè il comportamento che il principe deve tenere nei confronti dei nobili. Si esamina, anzitutto, l'atteggiamento da tenere nei confronti di "quelli che si obligano" al principe, dove obligarsi ha il significato etimologico di legarsi, ben esprimendo la situazione di quei nobili che sono legati al regime del principe, che, nel loro stesso interesse, non possono che restargli fedeli: essi devono essere onorati dal principe non tanto con il rispetto, ma con onori materiali. Passando invece a quei nobili meno legati al principe, l'autore attua un'altra suddivisione: ci sono infatti quelli che lo fanno per paura e quelli che lo fanno perseguendo occulte strategie. Tra quelli a lui meno legati per paura il principe deve attirare a sé ipiù esperti in faccende politiche, poiché nei tempi di pace gli possono essere utili e nelle avversità, data la loro naturale paura, non ha da temerne. I nobili invece che non appoggiano il principe per i loro progetti ambiziosi devono essere trattati come deinemici, «perché nelle avversità aiuteranno ruinarlo»; e la costruzione del verboseguito direttamente dall’infinito rafforza l’idea, accresciuta ancora di più dal verbo «ruinare», termine che nel Principe indica il far crollare l’edificio dello Stato.
L’autore ora sembra voler concludere tuttavia viene aggiunto un elemento nuovo percui, come tutti i principi nuovi, anche i principi eletti grazie ai nobili devono guadagnarsi il favore del popolo, introduce una massima, cioè una regola generale del comportamento umano.
L’autore cita, a questo punto, l’esempio di Nabide che, tiranno spartano dal 205 al 192 a. C., cercò di
assicurarsi il favore popolare attraverso una redistribuzione delle terre;
combatté contro i romani e, dopo aver resistito all'assedio per un certo periodo, fu costretto ad arrendersi. Dato che nel testo non si dice che Nabide venne sconfitto, si potrebbe dedurre che Machiavelli abbia alterato la verità storica; in realtà l'autore si limita, tralasciando la conclusione della vicenda, a registrare ciò che gli interessa, cioè che Nabide grazie al favore del popolo fu in grado di opporre una valida resistenza all'attacco, come, del resto, Machiavelli leggeva in Livio.
Machiavelli passa, quindi, all'analisi di quali siano le situazioni di pericolo per questo tipo di principato. Il momento più critico del principato civile viene, dunque, individuato nel passaggio dal principato civile a quello assoluto. Infatti con un'ultima suddivisione binaria l'autore individua due modi con cui il principe civile può governare:
o accentrando il potere nelle proprie mani, o servendosi di magistrati. Un esempio del primo Machiavelli lo aveva nel Soderini, che, nominato gonfaloniere perpetuo, possedeva una carica che gli permetteva di comandare direttamente; un esempio del secondo lo aveva invece nello "stato di Cosimo", ossia il principato mediceo degli anni 1434-1492, in cui i Medici comandavano attraverso le tradizionali magistrature cittadine. Viene subito individuata, però, la pericolosità di servirsi di magistrati nella facilità con cui nei momenti di difficoltà essi possono ribellarsi al principe o non obbedirgli, causando la sua rovina: infatti a quel punto il principe non potrà assumere direttamente il potere, in quanto "i cittadini e sudditi", definizione appropriata a coloro che vivono in un regime ambiguo come il principato civile, non sono abituati a prendere ordini da lui, avendo avuto fino a quel momento come referenti diretti i magistrati.Seconda ragione, poi, per cui, in quella situazione, il principe non potrà accentrare nelle proprie mani il potere, è che egli, non potendosi basare su quanto vede nei tempi tranquilli, non sa di chi fidarsi. Il capitolo, quindi, si conclude con un invito al principe, per avere il popolo sempre fedele, a trovare dei modi attraverso cui esso abbia in ogni situazione bisogno "dello stato e di lui".
DECIMO CAPITOLO
Machiavelli distingue il principe autonomo nelle armi da altri da quello che ha bisogno dell'aiuto militare di altri. Il primo può sostenere con le proprie forze una battaglia mentre il secondo deve nascondersi dentro le mura per proteggersi. Machiavelli cita le città germaniche (contornate da fossi e mura protettive) che non sono assaltate da altre perché conquistarle sarebbe molto difficile (sono state costruite protezioni importanti), per questo tali principi sono degni di rispetto.
UNDICESIMO CAPITOLO
Machiavelli parla dei principati ecclesiastici.
L'unica difficoltà riguardo i principati ecclesiastici sta nell'ottenerli perché si conquistano con virtù e fortuna ma una volta ottenuti non serve né una né l'altra per mantenerli e non dovranno quindi preoccuparsi di come mantenerlo (sono infatti sostenuti dalle istituzioni religiose questi sono i principati più sicuri. Prima della discesa di Carlo re di Francia in Italia c'erano: papa, Veneziani, re di Napoli, Firenze e duca di Milano (le preoccupazioni principali erano per tutti questi: non fare entrare nessun forestiero in Italia, non far estendere il dominio di nessuno di questi). Il papa e i Veneziani erano i più potenti: per tenere a bada i Veneziani servivano tutti gli altri; per tenere a bada il papa servivano i baroni romani Orsini e Colonna che con le loro lotte lo mantenevano debole. Con Alessandro VI però la Chiesa riuscì a spegnere i baroni romani grazie al duca Valentino (Cesare Borgia).Chiesa era diventata grande e Papa Giulio II continuò a portare avanti ciò che Alessandro VI aveva iniziato: si guadagnò Bologna cacciando Francesi e Veneziani. Papa Leone Decimo Medici fu un papa potentissimo che rese la Chiesa grande come i suoi predecessori ma non in ricchezza come questi ultimi fecero ma in santità.
MILIZIE CITTADINE
DODICESIMO CAPITOLO
Machiavelli sostiene che il fondamento di uno stato sono le buone leggi e un esercito efficiente, senza un esercito efficiente ci possono essere buone leggi quindi Machiavelli si concentra a parlare dell'esercito.
Gli eserciti possono essere: propri, mercenari, ausiliari, misti.
Le milizie mercenarie sono molto pericolose e infedeli perché sono mosse solo dallo stipendio e non dall'amore per la patria, quindi non sono così legate al principe e non sono pronte a morire per lui (la rovina e divisione dell'Italia in molti stati è dovuta proprio a queste milizie mercenarie, Carlo re).
Di Francia poté arrivare in Italia senza l'opposizione delle milizie). Le milizie mercenarie possono essere capitanate da uomini eccellenti o no: nel primo caso quell'uomo valoroso aspirerà alla grandezza e non sarà obbediente al principe; nel secondo caso la milizia mercenaria non è affidabile e rovinerà lo stesso il principe. Il principe stesso deve occuparsi dell'esercito secondo Machiavelli (oppure un cittadino nel caso della Repubblica) e guidarlo alla vittoria. Esempi di eserciti nazionali sono Roma, Sparta e Svizzera; esempi di eserciti mercenari sono i Cartaginesi (che dopo la vittoria contro i Romani ci fu una rivolta dei soldati mercenari). Un'eccezione sono i Fiorentini e i Veneziani che nonostante abbiano sempre utilizzato eserciti mercenari sono riusciti a mantenere il potere (questo è stato dato però solo da una grande fortuna).
TREDICESIMO CAPITOLO
Anche le milizie ausiliarie sono inutili per Machiavelli.
Queste consistono nel chiamare un potente in aiuto. Queste milizie possono anche esse