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PRIME PROVE DI UNO SCRITTORE
In Storia di Sciascia di Massimo Onofri, il primo capitolo intitolato Il lungo apprendistato (1949-1955)
analizza brevi testi di sapore Savaresiano e Brancatiano prodromi delle Parrocchie (1956), nei quali sono
già presenti molti tratti dello Sciascia maturo e l’evidente consapevolezza etico-politica delle sue riflessioni,
su tutti:
Favole della dittatura (1950) → appuntite allegorie scritte con una finezza ed una leggerezza di dettato
sorprendenti in un’opera d’esordio, che denunciano gli orrori della dittatura fascista da pochi anni conclusasi,
e di tutte le dittature e le tirannie con i loro grotteschi archetipi comportamentali;
La Sicilia, il suo cuore (1952) → raccolta di poesie pressoché coeve alle Favole, dal medesimo sapore
metafisico.
Versi di straordinaria economia espressiva, nei quali l’autore rivela l’innata capacità di contemperare
ricchezza di immagini ed asciuttezza di scrittura, e si avverte l’arcana risonanza che si leva dalle descrizioni
dei luoghi grazie ad una parola capace di ridurre alla quintessenza l’anima della Sicilia, il suo cuore di ulivi,
di mandorli, di roveti, dove risuona «cupo il passo degli zolfatari»;
Una kermesse (1950) → puntuale, ironica, drammatica rievocazione dell’arrivo degli Alleati in un paese
siciliano nel 1943. Fu pubblicata nel primo numero della rivista Galleria, edita a Caltanissetta da Salvatore
Sciascia, omonimo di Sciascia che ne fu il principale animatore ed in seguito direttore.
Più curiosi gli articoli pubblicati, ancor prima degli scritti commentati da Onofri, su giornali sciasciani di non
grande fama, Vita Siciliana (bisettimanale nisseno al quale Sciascia collaborò tra il ‘44-’45) e Sicilia del
popolo (quotidiano palermitano dal ‘48-’51).
Su Vita Siciliana:
- Nota a Quasimodo (1944) → l’articolo più remoto che ci sia dato conoscere, in sintonia con l’ispirazione e
il dettato Quasimodiani;
- Saroyan, Wallace e il borghese (1944) → una notarella dalla quale emergono l’amore di Sciascia per la
letteratura nordamericana, debitoria dei testi pubblicati da Vittorini su Omnibus e su Letteratura, e la sua
futura vis polemica (originariamente giocata in direzione Anticomunista in nome di un Antifascismo
Cattolico e Democratico, di certo Non Filosovietico), permeata da una straordinaria fiducia nelle possibilità
della scrittura e nel ruolo dell’intellettuale impegnato;
- Foglio ultimo, riquadrato dalla dicitura Diario (1945) → divagazione sulle colpe degli uomini e sul senso
di crisi esistenziale generato dalle nefandezze del secondo conflitto mondiale, possibile inizio di una rubrica
sciasciana con venature Anticomuniste;
- Tre Poesie escluse da La Sicilia, il suo cuore, che testimoniano la sua religiosità, così indubitabile a
quest’altezza cronologica, il suo gusto polemico e la riconoscenza nutrita nei confronti della Sicilia, la sua
Atene, seppur ai margini del mondo civile;
- Questa Russia (1945) → ultimo articolo pubblicato sul giornale nisseno avente il sapore di un vero e
proprio editoriale, ove il profilo ideologico sciasciano risulta ulteriormente complicato da nette e coraggiose
tesi Antisovietiche rafforzate dall’uso del paradosso, avverse ad un Comunismo Russo considerato
incoerente coi presupposti teorici del Marxismo, fautore di un impoverimento materiale e culturale divenuto
diretta testimonianza del fallimento dei nobili intenti della rivoluzione sovietica:
“Riteniamo che la soluzione del problema europeo sia essenzialmente in senso Comunista; ma in ciò la
Russia non ha niente a che fare. La Russia non ci può nemmeno essere da modello (nulla da imitare, anzi
qualcosa da temere):
come Cattaneo pacatamente riteneva, la concretizzazione comunistica mediterranea / la trasformazione
comunistica dell’attuale società europea non potrà essere che occidentale”.
E ancora: “se vogliamo giocare in paradossi, si potrebbe sostenere che la Russia attuale attende dall’Europa
la sua bolscevizzazione”.
Su Sicilia del popolo:
- Bontempelli, Russo e il tiro alla fune (1948) → ancora un acceso corsivo Anticomunista, questa volta
critico nei confronti degli intellettuali italiani (tra cui Bontempelli, Russo e Vittorini) schieratisi col PCI dopo
esser stati accademici d’Italia sotto il regime fascista;
- Favole per il dittatore (1948) → sei favole leggermente diverse da quelle che di lì a poco sarebbero state
pubblicate in volume come Favole della dittatura (1950), prima testimonianza del Saviniano “elogio del
dilettante” in riferimento a Cattaneo ed in polemica con “quella dittatura dei sentimenti che ancor oggi tanto
pericolosamente ci governa”;
- Brancati e la dittatura (1948) → testo nel quale anticipa sinteticamente alcuni dei successivi motivi
dominanti nelle sue pagine Brancatiane: il ricordo di Brancati docente a Caltanissetta, il tema della noia, la
centralità del discorso sulla dittatura fascista, la necessità di tenere sempre desto “questo rovello e
preoccupazione”;
- Articolo in polemica contro un editoriale del quotidiano romano Il Tempo, uno dei pochi presenti al Circolo
della Concordia di Regalpetra insieme al palermitano Giornale di Sicilia, entrambi simpatizzanti Neofascisti;
- L’intelligenza degli ex (1951) → ultimo articolo, nel quale il giovane polemista replica ironicamente ad Ex,
pseudonimo di un giornalista che aveva commentato nelle colonne di un altro giornale Neofascista il suo
ultimo intervento su D’Annunzio:
“La paura numero uno dell’Ex è che noi si tenti di annettere D’Annunzio all’Antifascismo.
Non ci pensiamo nemmeno. A noi il poeta basta. L’uomo d’arme, come egli si diceva, lo lasciamo tutto agli
ex: molto essi gli debbono, soprattutto il vocabolario. Senza le due o trecento parole dannunziane sarebbero
infatti pressoché mutoli e scodinzolanti.
E la grossa colpa storica di D’Annunzio è proprio quella di aver donato loro qualche centinaio di parole”.
→ Il San Giovanni del Fascismo (1988) → articolo su La Sicilia, ove ribadisce in vecchiaia quanto
precedentemente detto di D’Annunzio:
“Forse lo si può considerare l’italiano meno fascista che ci sia stato nel ventennio; e certamente è stato
l’italiano che più col fascismo si è divertito. Ma ciò non attenua per nulla la sua responsabilità storica: ha
dato forma all’informe fascismo che da sempre è corso in Italia”.
NOTARELLA SU TRE LETTERE DI SALVATORE BATTAGLIA
Citazioni tratte da 3 interventi di Salvatore Battaglia, critico letterario e grande amico di Sciascia, un padre
ed un maestro che seppe cogliere, al di là degli apprezzamenti per i testi in questione, alcuni nodi
fondamentali dell’idea sciasciana di scrittura, contestualizzata nel rapporto con la terra d’origine e con i suoi
problemi, “proiettati sullo schermo della letteratura nazionale e cosmopolita” e divenuti “metafora
della nazione”.
Ne La verità pubblica di Leonardo Sciascia (1970), pubblicata sulla rivista Il Dramma in forma di
recensione saggistica al testo teatrale Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D. (1969) e
considerata dallo stesso autore “una delle migliori, non perché in se per sé favorevole, ma perché mi è stata
utile” →
Battaglia definisce Sciascia:
“Fra gli scrittori siciliani, senza dubbio il più continuo, esclusivo, implacabile”.
“L’intransigente vocazione che gli fa riconoscere nella dimora morale e socio-esistenziale della Sicilia”, in
un deserto affollato di segni ermetici che non hanno alcuna funzione se non quella repressiva, inibitrice
della ragione, “lo specchio di una lacerata coscienza civile e culturale” fa sì che la sua scrittura si elevi
“al di là e al di sopra della letterarietà”.
Rispetto al quadro della narrativa italiana 900esca, dal Neorealismo alla crisi degli anni ’60 che nasceva dalla
contestazione del Gruppo ’63 e dalla deflagrazione del caso Gattopardo, la narrativa Sciasciana, letta in
contrapposizione a quella di Giorgio Bassani
“coinvolge il protagonismo umano in un destino collettivo e lo immerge nel male della Storia,
identificando il dramma individuale con le insufficienze e le defezioni della società”.
D’altronde il grande miraggio di Sciascia è stato quello di “rintracciare nel fondo delle coscienze frustrate o
sopite o ingannate non una privata o anarchica illusione, ma una verità pubblica , la ragione di una
riscossa comunitaria”.
“Da una così complessa situazione morale elabora una coscienza della Storia e del destino della sua isola
in parte Illuminista (per il suo laico razionalismo 700esco) e in parte Esistenziale (per l’autenticità della sua
esperienza di uomo moderno)”, dunque risultante dalla convergenza di Illuminismo ed Esistenzialismo.
A proposito della Recitazione:
“Si lascia appena intuire come un travaglio complesso e quasi pudico di energie sottostanti, d’immagini
sepolte, di voci soffocate e quasi obliterate, che ritornano inopinatamente in un gesto, nell’inflessione di un
accento, nell’allusività di un cenno” ed è pronto a chiedersi “quanto d’incompiuto, di represso, di
recondito continui ad essere custodito nel fondo della sua coscienza”.
Manca difatti in Sciascia la trasposizione letteraria del costante ripiegamento introspettivo in vita, mancano
tracce, riferimenti evidenti al suo demone interiore, “una segreta e dolente liricità celata dal suo spoglio
realismo”.
In una lettera scritta da Battaglia a Sciascia a caldo dopo la lettura della Recitazione, una sorta di avantesto
del saggio → “Il tuo libretto è veramente un gioiello.
Sei arrivato a realizzare una scrittura concisa come sempre, ma ora anche condensata ed elegante, e nel
fondo ironica, amara, commossa, tragica di quella tragedia che non è più degli uomini, ma della storia,
del destino.
Sei riuscito a rievocare un avvenimento ben preciso, ma allusivo di una situazione politico-esistenziale
storica ed antropologica, siciliana ed extratemporale, che coinvolge la nostra specifica insularità ed ogni
tempo, … facendo levitare i simboli d’oggi evitando lo scoglio delle ideologie”.
Da un’altra lettera di Battaglia del 1970 è possibile dedurre che i due amici dialogassero spesso sul piano
squisitamente intellettuale e cronachistico, alludendo alla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De
Mauro, rapito da Cosa Nostra (e mai più ritrovato) per le sue indagini sulla morte sospetta del presidente
dell’Eni Enrico Mattei, intrecciata al Golpe Borghese dello s