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COLLOQUIO COI TRE SODOMITI FIORENTINI (28-63)

Uno dei tre inizia a parlare e dice a Dante che, a dispetto del luogo miserabile e del loro aspetto bruciato dal

fuoco, la loro fama terrena dovrebbe indurlo a presentarsi e a spiegare quale privilegio lo conduce vivo all'Inferno.

Il dannato presenta il compagno che lo precede come personaggio illustre, nipote della buona Gualdrada, e il suo

nome è Guido Guerra, che tante buone azioni compì in vita. Il dannato che invece lo segue è Tegghiaio

Aldobrandi, le cui parole meritavano maggiore ascolto, mentre colui che parla è Iacopo Rusticucci.

Dante si getterebbe nel sabbione per abbracciarli, se non glielo impedisse la pioggia di fiamme, così deve

reprimere questo desiderio. Poi il poeta dice che il miserevole aspetto dei tre gli provoca non disprezzo ma

dolore, tanto che ci vorrà tempo per superarlo. Egli si presenta come fiorentino e dichiara di aver sempre

ascoltato i loro nomi e le loro opere onorevoli col massimo rispetto. Dice inoltre che Virgilio lo guida sino al fondo

dell'Inferno per consentirgli di salvarsi l'anima.

CAUSE DELLA CORRUZIONE DI FIRENZE (64-90)

Iacopo risponde augurando a Dante una vita lunga e grande fama dopo la sua morte, quindi gli chiede se a

Firenze ci sono ancora cortesia e valore, dal momento che un altro dannato (Guglielmo Borsiere) giunto da poco

nel girone ha portato tristi notizie. Dante risponde che la gente arrivata di recente a Firenze dal contado e i facili

guadagni hanno portato alterigia ed eccesso, cause prime della corruzione della città. Dopo queste parole del

poeta, i tre dannati si guardano l'un l'altro stupiti, quindi rispondono a una voce ringraziando Dante della risposta

cortese e sincera e lo pregano di parlare di loro nel mondo quando sarà tornato da questo viaggio. Quindi i tre

rompono il cerchio che avevano formato e corrono via per ricongiungersi ai Sodomiti della loro schiera: sono

velocissimi e Virgilio suggerisce a Dante che è il momento di riprendere il cammino.

LA CORDA DI DANTE E L'ARRIVO DI GERIONE (91-136)

Dante segue Virgilio e poco tempo dopo giungono vicini al suono del fiume che si getta in basso, tanto forte da

coprire le loro voci. Dante paragona il Flegetonte che si getta nell'alto burrato sottostante alla cascata formata

dall'Acquacheta presso San Benedetto nell'Appennino tosco-emiliano, fiume che cambia nome arrivato vicino a

Forlì. Dante ha intorno alla cinta una corda, con cui aveva pensato a suo tempo di catturare la lonza: la scioglie

come Virgilio gli ha chiesto di fare e gliela porge legata e ravvolta. Il maestro si allontana di qualche passo verso

destra e getta la corda nel burrone sottostante. Dante dice fra sé che questo gesto di Virgilio deve avere un

significato ed è probabilmente un richiamo per qualcuno o qualcosa.

Virgilio intuisce il dubbio di Dante e gli preannuncia l'arrivo di un personaggio che si mostrerà ai suoi occhi.

Dante spiega al lettore che l'uomo saggio dovrebbe sempre tacere quelle verità che hanno aspetto falso, per non

essere tacciato ingiustamente di menzogna, ma in questa occasione non può fare a meno di rivelare ciò che ha

visto. Dante giura sulla sua Commedia di aver visto una enorme figura avvicinarsi nuotando nell'aria scura e

densa, simile al marinaio che torna in superficie dopo essersi immerso per sciogliere l'ancora impigliata o

rimuovere un altro ostacolo, che ritrae le gambe per darsi la spinta e salire.

Il Canto, strutturalmente diviso in due parti, è dedicato rispettivamente al colloquio coi tre Fiorentini e al

preannuncio dell'arrivo di Gerione, che pure non viene direttamente nominato.

La prima parte, più ampia, prosegue idealmente il discorso iniziato col Canto precedente, in quanto anche i tre

Sodomiti che si staccano dalla loro schiera e si fanno incontro a Dante sono di Firenze e, in modo simile a

Brunetto Latini, si sono fatti onore in vita con le loro azioni politiche improntate alla giustizia. È Virgilio stesso a

suggerire a Dante di fermarsi, affermando che i tre sono personaggi di riguardo e che la fretta si addice più a lui

che a loro.

Non sappiamo quale sia la schiera cui appartengono i tre (forse quella degli uomini politici, anche se Dante non

lo esplicita), che iniziano a parlare con Dante girando in tondo e il cui aspetto reca i segni di piaghe vecchie e

nuove causate dalla pioggia di fuoco. L'incontro dà modo poi a Dante di aprire una breve ma amara riflessione

sull'attuale condizione della patria comune: alla domanda dei tre se sia vero che a Firenze non albergano più

cortesia e valor, Dante risponde sconsolato che ciò è vero e ne attribuisce la causa alla gente nova e i

sùbiti guadagni, punta cioè il dito contro i nuovi fiorentini inurbatisi dal contado e facilmente arricchitisi

grazie al commercio e all'usura.

Dante riconduce la decadenza di Firenze alla perdita di valori come cavalleria e cortesia, che

caratterizzavano l'antica nobiltà feudale cui lui stesso affermava di appartenere e che sono in forte

contrasto con la sete di denaro e l'avarizia della nuova borghesia.

Il tema è importante e si ricollega ad altri passi del poema, come l'accusa di avarizia rivolta più volte ai

Fiorentini (ad esempio da Ciacco e da Brunetto Latini), la condanna dell'usura di cui si parlerà nel Canto

seguente, il rimpianto degli antichi valori cortesi di cui non c'è più traccia nella società comunale, e

soprattutto la critica dei nuovi ceti sociali della città che hanno, secondo Dante, imbastardito l'antica

purezza della cittadinanza e sono la causa principale delle divisioni e delle rivalità politiche fiorentine.

La seconda parte del Canto introduce la figura di Gerione, il mostro che custodisce le Malebolge e sulla cui

groppa dovrà portare i due poeti al fondo dell'alto burrato che divide il VII dall'VIII Cerchio, cosa che avverrà nel

Canto seguente. Il mostro è evocato da Virgilio con uno strano rituale, che vede Dante

sciogliere una corda che gli cinge i fianchi (e che lui stesso dice che aveva pensato di usare per catturare la

lonza a la pelle dipinta), porgerla al maestro che la getta, annodata e aggrovigliata, nel precipizio. Si tratta

ovviamente di un gesto convenuto con cui Virgilio chiama Gerione, anche se ogni tentativo di interpretarne il

senso è andato fallito: il fatto che la corda potesse servire a catturare la lonza significa forse che serviva a

dominare la lussuria, o forse la frode visto che essa è rappresentata da Gerione. Si è anche ipotizzato che Dante

fosse un terziario francescano e portasse la corda ai fianchi per questo, ma è un'illazione azzardata e priva di

riscontri oggettivi. Quel che è certo è che il mostro risponde al richiamo di Virgilio e ben presto Dante ne

intravede la figura che avanza nel buio, simile a un marinaio che nuota per tornare a galla dopo un'immersione; il

Canto si chiude quando ancora il personaggio non è stato presentato, creando una tensione narrativa e un'attesa

che verranno sciolte nell'episodio seguente, che come vedremo fa da cerniera tra la prima e la seconda parte

della Cantica introducendoci agli ultimi due Cerchi dell'Inferno.

XVII CANTO

Ancora nel III girone del VII Cerchio, dove sono puniti i violenti contro Dio (tra cui gli usurai). Apparizione del

demonio Gerione. Dante visita gli usurai, tra cui c'è Reginaldo Scrovegni. Gerione porta Dante e Virgilio sulla

groppa e li depone al fondo dell'alto burrato, nell'VIII Cerchio (Malebolge). È l'alba di sabato 9 aprile (o 26 marzo)

del 1300.

USURAI: Sono i violenti contro Dio nell'operosità umana, in quanto si sono arricchiti grazie al denaro e non al

duro lavoro. Dante li colloca nel terzo girone del VII Cerchio dell'Inferno, costretti a stare seduti nel sabbione

arroventato dalla pioggia di fiammelle, e li descrive nel Canto XVII. Essi portano al collo una borsa, evidente

simbolo della loro colpa, con lo stemma della famiglia cui appartennero in vita: Dante riconosce un membro della

casata dei Gianfigliazzi, forse Catello di Rosso che esercitò l'usura in Francia, e un altro dannato appartenente

alla schiatta degli Obriachi (entrambe le famiglie erano fiorentine). Un terzo è certamente Reginaldo Scrovegni,

membro di un'antica famiglia padovana che fu usuraio così noto che il figlio, Arrico, fece erigere la famosa

cappella poi affrescata da Giotto. Reginaldo profetizza la futura venuta nel girone di altri due usurai, il padovano

Vitaliano del Dente e il fiorentino Giovanni di Buiamonte dei Becchi, nominato cavaliere e la cui colpa è per

questo ancor più grave. Reginaldo mostra la lingua dopo aver parlato, quindi Dante si allontana.

L'unico autore che si sia occupato veramente di questo diciassettesimo é 'Osim Mindesten', studiò l'italiano per

comprendere la divina commedia.

• SETTIMO CERCHIO (TERZO GIRONE)

• Violenti contro Dio, per quanto riguarda l’arte, stanno accovacciati sul sabbione sotto la pioggia di fuoco.

Fino qui tutte le creature infernali che sono a vigilanza dei vari gironi/cerchi sono state recuperate dalle

tradizioni greche e latine, dai miti classici; aggiungendo di volta in volta alcuni particolari frutto della

creazione di Dante per farle coincidere con la realtà infernale.

-> FIGURE MITOLOGICHE già note e su questo scheletro ha poi aggiunto con un comportamento legittimo nella

tradizione letteraria dei particolari.

Volto della permanenza: caratteri che rimangono uguali.

Volto dell'innovazione: particolari aggiunti.

Duplice aspetto di permanenza e innovazione. I miti evolvono pur mantenendo caratteristiche riconoscibili.

Nel caso di Gerione noi troviamo un autore che si propone di costruire 'Ex Novo' : completamente da nuovo.

Dante sente il bisogno di immaginare una figurazione che sia specificamente nata per la realtà infernale, quindi

non vi sono debiti con la classicità ma vi é un'immaginazione estremamente libera.

Il primo aspetto che possiamo notare é che nello scorrere della scrittura Dante si é lasciato alle spalle i

modelli classici per costruire dei modelli fondati sulla libertà della rappresentazione dei personaggi.

Dante conosceva perfettamente i meccanismi per trasformare un racconto in un MITO.

MITO -> tenebroso, infernale ma qualcosa che rimane con grande forza icastica, un immagine che deve rimanere

nella mente del lettore.

Il secondo aspetto: Vi é una grande forza descrittiva nella descrizione di Gerione (cosa non fatta in

precedenza con ad esempio, Caronte, Cerberi, Minosse).

Perché Dante vuole dare grande importanza alla descrizione di Gerione?

GERIONE : EMBLEMA che racchiude tutte le frodi.

Egli ci introduce a quella parte della realtà infernale, a quell'ottavo cerchio dove vengono colpiti i vizi di Frode.

Dettagli
A.A. 2017-2018
142 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giulia.arcangeletti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Mattioli Tiziana.