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Ci sono pervenute 214 lettere di Ariosto scritte tra 1498 e 1532 in cui troviamo ammissioni di

debolezza, di sconforto, desideri di fuga. La scrittura epistolare di Ariosto nasce da concrete

urgenze comunicative: sono pertanto lontani dalla volontà di conferire un valore estetico e letterario

all’opera e caratteri idealizzati al proprio ritratto. Il tono generale dell’epistolario rispecchia la

personalità e il carattere di Ariosto, sempre incline a cogliere il lato umano delle cose e a riflettere

sulla complessa varietà della vita. Anche nelle lettere “ufficiali”, inviate dalla Garfagnana al suo

signore e ispirate da occasioni e spunti diversi, il poeta conferma la propria caratteristica medietas,

la ricerca dell’equilibrio. Nel lessico delle lettere le consuete formule di saluto cancelleresche in

latino si accostano alla concretezza della lingua volgare.

Lettera 12 (pag 11): scritta al marchese di Mantova, abbiamo una cronaca interna del testo. Il libro

non è limato (terminato) poiché l’opera è estesa e richiede un grande lavoro. L’Orlando innamorato

è un antecedente generazionale dell’OF.

Lettera 15 (pag 13): scritta al Marchese di Mantova, l’opera è terminata e deve solo essere

stampata. Ariosto vuole un aiuto economico per la propria opera. Ippolito, che ci tiene ad aiutare

Ariosto, chiede al marchese di Mantova di lasciar passare le mille copie senza far pagare la tassa di

importazione della carta. Duchi di Ferrara si interessano all’opera, poiché, una parte dei compensi

economici sarebbe andata a loro (lettera di intesa tra Ariosto e i suoi sostenitori).

Lettera 16-17 (pag.13-15): hanno quasi lo stesso contenuto. La prima uscita dell’Orlando furioso è

il 1516. Venezia diviene nel 500 il centro editoriale più importante d’Italia e d’Europa.

Triumphus cupidinis di F. Petrarca (pag 19-20)

I Trionfi sono un poemetto allegorico in volgare italiano scritto da Petrarca; si articola in sei

capitoli, ciascuno dedicato ad una visione ottenuta dal poeta in sogno. E’ quindi presente una

successione di sei trionfi: Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo ed Eternità. La redazione

dell’opera iniziò nel 1351 e terminò nel 1374, poco prima della morte del poeta che lasciò l’opera

incompiuta. Nel Triumphus cupidinis (trionfo dell’amore) si narra di come, in un giorno di

primavera, il poeta si addormentò a Valchiusa e vi fece un sogno dove la personificazione

dell'Amore passava su un carro trionfale, seguito da una schiera di seguaci che sono i vinti

dall'amore; entrando nella schiera il poeta vi riconosce numerosi personaggi illustri, storici, letterari,

mitologici, biblici oltre a poeti antichi, medievali e trovatori. Nel corteo parla con diversi

personaggi e alla fine approda a Cipro, isola dove nacque Venere. Il poemetto si presenta come il

percorso ideale e universale dell’uomo dal peccato alla redenzione, tema tipico dei testi poetici

allegorico-didascalici medievali, come la Commedia di Dante, che diventa per Petrarca un vero e

proprio termine di confronto. Il poema dantesco si presenta sia come modello formale indiretto (con

la scelta da parte di Petrarca di adottare lo schema metrico della terzina), sia come modello

concettuale per il viaggio allegorico-morale intrapreso. Nelle due pagine della dispensa troviamo un

giudizio negativo sul romanzo cavalleresco.

Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam (pag 21-25)

E’ un breve trattato scritto nel 1509 e dedicato a Tommaso Moro in cui Erasmo da Rotterdam tenta

di dare un’interpretazione spregiudicata e ironica del mondo in cui vive. La follia per Erasmo è

l’elemento essenziale dell’uomo, che gli permette di vivere più serenamente. L’uomo, considerato

dalla letteratura umanistica e rinascimentale come sapiens, si trasforma improvvisamente in

insapiens (folle). Il testo si muove nella dialettica di miseria e grandezza, saggezza e follia, dove

l’umanità si dibatte nell’ambiguità e nel gioco delle parti. Erasmo richiama e rielabora l’immagine

della vita come spettacolo. L’etica del sapiente è “un buon senso alla rovescia”, mentre il folle

diviene il vero saggio. La follia è l’unica saggezza che rende l’umanità maggiormente adattabile

alla propria condizione. La pazzia non è un aspetto negativo, ma una forza che permette all’uomo di

vivere. Erasmo da Rotterdam mette quindi in atto un elogio della pazzia.Il folle fa uscire dalla

miseria, non si cura delle convenzioni sociali, vive nel paradosso e nello scandalo. Nelle corti

europee il matto è un personaggio molto gradito.

LA FOLLIA DI ORLANDO: anche nell’OF di Ariosto emerge un senso sottile di inquietudine,

sebbene temperato in una dimensione sospesa tra realtà e sogno. La vita degli eroi è in perenne

mutamento e Orlando è in lotta con essa in un crescendo di giochi illusori e straordinari. Orlando è

davvero un eroe inquieto, coinvolto nella giostra delle illusioni. L’illusione più importante del

poema è quella dell’amore, per cui Orlando perderà il senno. La follia dell’eroe, che diventerà

furioso, nasce dall’incapacità di distinguere tra realtà e apparenza: l’eroe vaga spaesato nella selva

della pazzia, smarrendosi nel proprio labirinto interiore.

Lettera a Lodovico Alamanni, di N. Machiavelli, 17 dicembre 1517 (pag. 26)

Ad un anno dall’uscita dell’OF, Machiavelli scrive una lettera confidenziale e privata ad Alamanni,

fiorentino, fratello di Luigi Alamanni, importante poeta lirico e satirico del tempo. Lodovico

Alamanni lavorava alla corte di Francesco I di Francia a Parigi. Nell’OF Machiavelli non è

menzionato, nonostante nel canto 40 Ariosto abbia scritto tutti i nomi dei poeti e letterati del tempo.

Machiavelli a quel tempo infatti non era ancora un autore, ma solo un uomo politico. Machiavelli

afferma di aver letto l’OF e che gli sia piaciuto tanto.

PAG. 28 DISPENSA

Giovan Giorgio Trissino scrive l’Italia liberata da Goti nel 1549, in cui mette in atto un

inquadramento diverso e più geniale della lingua italiana. L’endecasillabo è il verso che sostituisce

nella poesia volgare l’esametro antico. Trissino sostiene l’endecasillabo sciolto, cioè una

successione di endecasillabi che non rimano, in contrasto con la tradizione. Secondo lui infatti la

rima obbliga all’utilizzo di una certa parola alla fine del verso, che limita così l’articolazione del

discorso del poeta. Questa scelta va contro una tradizione molto consolidata e perciò non riceve

molti consensi.

PAG. 27 DISPENSA

Omero considerato da Trissino un modello superiore a tutti gli altri, a cui egli stesso tenta di

somigliare e avvicinarsi il più possibile. Trissino spiega come Omero ha agito e come la cultura sia

molto diversa da quella di Ariosto. Il discorso di Giraldi Cinzio invece critica la metrica di Trissino:

secondo Giraldi Cinzio l’uso della rima è un’arte e dà più risultati dell’endecasillabo sciolto,

attribuendo autorità al verso in rima.

Discorsi dell’arte poetica di T. Tasso (pag 29-30)

La crisi dei valori rinascimentali sembra estendersi a tutti i campi del sapere. Nelle riflessioni degli

scrittori della seconda metà del 500 comincia a emergere la parte oscura e terribile dell’umanità: la

violenza, la cieca follia e le sopraffazioni. Nella Gerusalemme liberata Tasso descrive la spietatezza

della guerra tra cristiani e musulmani, che dovrebbe riflettere il conflitto tra bene e male. Tasso non

è solo un poeta, ma anche un fine studioso. Nella seconda metà del 500 lo studio della poetica di

Aristotele fornisce gli strumenti critici necessari per l’elaborazione di una vera e propria “scienza”

dell’arte letteraria. Proprio in questi anni avviene una sorta di sistemazione teorica per la

conciliazione fra le norme retoriche della tradizione precedente e la poetica aristotelica. L’ipotesi

aristotelica della superiorità del genere tragico sugli altri generi letterari motiva le scelte dei nuovi

teorici della letteratura. All’interno del genere tragico si ripropone la teoria dell’unità di tempo, di

luogo e di azione, un’azione che deve essere verosimile e storicamente accettabile. Non è più il

tempo dell’immaginazione fantastica e festosa di Ariosto. Tasso infatti riflette nell’opera sulla

materia, sulla forma poetica e sullo stile del poema eroico. Nonostante vada contro alla poetica

aristotelica nelle due pagine della dispensa Tasso esalta l’OF rispetto all’Italia liberata di Trissino.

Si legge di più perché Ariosto aveva capito che la materia eroica va mischiata con la materia

fantastica e amorosa (con Trissino era esclusivamente storica e descrittiva). La varietas permette di

variare ciò che voglio, ma occorre che questi elementi siano giustificati per necessità di storia.

Satire di L. Ariosto (pag. 31-61)

Composte tra il 1517 e il 1525 e pubblicate postume nel 1534, le Satire (sette in totale)

costituiscono, dopo l’OF, l’opera più innovativa di Ariosto. Le Satire rivelano oggi la loro natura

essenzialmente artistica e costituiscono un’opera importante per interpretare la poetica e la

concezione di vita di Ariosto. Indiscussi modelli classici di medietas (tono medio) sono le Satire e le

Epistolae del poeta latino Orazio. Il dialogo pacato e ironico sui diversi aspetti dell’esistenza umana

è a fondamento dell’opera. Spesso si è parlato della natura occasionale delle Satire, quasi fossero

creazioni da un evento casuale o da una circostanza contingente. Ma Ariosto non scrive di cose

occasionali, ma piuttosto cerca occasioni e argomenti che possono costituire materia conforme al

disegno letterario proposto. Le Satire devono essere interpretate come un’autobiografia non reale

ma morale che apre a riflessioni più ampie sulla natura dell’animo umano e sulla complessa realtà

dell’esistenza. La peculiarità delle Satire consiste nell’offrire un duplice livello di lettura: uno “in

luce”, cioè la parte ufficiale, e uno “in ombra”, cioè quella intima e privata che porta il lettore a

contatto con l’anima ariostesca. Le scelte tematiche rispondono a un sapiente criterio di varietà: la

condizione dell’intellettuale cortigiano, la sua perdita della libertà, il desiderio di una vita tranquilla

dedicata allo studio e agli affetti, la vanità dei sogni umani, della gloria, della ricchezza, del

successo. Inoltre Ariosto ricorre qui alla terza rima dantesca.

Satira I (pag 32-38): fu scritta nel 1517 ed è indirizzata al fratello Alessandro e all’amico Ludovico

da Bagno. L’autore intende spiegare i mo

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A.A. 2014-2015
9 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher f4cteoty di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Corsaro Antonio.