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DESGRAZZI DE GIOVANNIN BONGEE

Giovannino Bongeri è un garzone che racconta ad un notabile quanto gli è accaduto la sera

precedente, mentre tornava a casa dalla bottega. Inizialmente il suo racconto sembra riguardare fatti

di ordinari amministrazione: si ritrova in mezzo ad una ronda ed è costretto a rivelare le sue

generalità, compreso il suo indirizzo. Subito dopo, si precipita a casa con un brutto presentimento e

la trova occupata da due estranei, in particolare c’era un soldato francese che avendo conosciuto la

moglie di Giovannino e avendola trovata attraente, avrebbe voluto andare a letto con lei. Giovannino,

per evitare di reagire in modo brusco, racconta di aver fatto passare la rabbia andando a prendere

un po’ d’aria.

In quest’opera è necessario l’utilizzo del dialetto, il quale rende la narrazione realistica; il dialetto

milanese mostra qui tutta la sua versatilità, sconosciuta alle lingue formalizzate. Giovannino si

lamenta del suo destino disgraziato, ma di fronte al notabile ci tiene a mostrarsi come un uomo

orgoglioso degno di rispetto. Questa contraddizione evidenzia il carattere comico del testo, che

comunque funge da critica sociale.

LA NINETTA DEL VERZEE

La protagonista è una prostituta della quale aveva già parlato Giuseppe Bossi nel “Il Peppe

Parrucchiere”. Porta decide di dare parola alla figura femminile di cui tanto si lamentava il Pepp. La

Ninetta racconta la sua storia ad un cliente: fin da adolescente aveva ceduto ai desideri del Pepp, per

il quale aveva rinunciato a sistemazioni agiate e proposte di matrimonio; aveva inoltre sacrificato la

casa e il banco del mercato del Verzee per pagare i debiti dell’uomo che non esitava a tradirla. Alla

fine, era dovuta diventare una prostituta per mantenerlo e, dopo aver negato la soddisfazione di un

capriccio sessuale dell’uomo era stata da lui calunniata di aver contratto una malattia venerea.

Il racconto, anche se all’apparenza sembra somigliare al precedente, è serio, drammatico e privo di

qualunque motivo comico.

OFFERTA A DIO/ LA PREGHIERA

La protagonista è una nobildonna aristocratica Donna Fabia che racconta ad un francescano, tale Don

Sigismondo di una vicenda che l’aveva coinvolta poco tempo prima. Il linguaggio con cui la donna

parla è un italiano fatto di circonlocuzioni artificiose e di luoghi comuni, intrecciati a forme di dialetto,

che lasciano trasparire una satira che non ha bisogno di essere esplicitata. La vicenda racconta di

quando la nobildonna si era recata, in un venerdì di quaresima ad una devozione penitenziale,

all’uscita della quale era caduta a terra, per evitare il contatto con un prete sporco ed unto. Per

questo motivo era stata derisa da persone che stavano per entrare in chiesa. Successivamente a

questa caduta la donna si reca in chiesa e inizia a pregare: innanzitutto ringrazia Gesù di averla fatta

nascere nobile e successivamente prega per coloro che si erano presi gioco di lei, chiedendone la

pietà. Un gesto che poteva sembrare un perdono di grande virtù cristiana, viene invece ridicolizzato

dal fatto che la donna si paragoni a Cristo in croce che chiede pietà per gli uomini, sfiorando il

blasfemo. All’uscita dalla chiesa poi, per dare esempio alle altre dame, decide di dare a ciascuno un

quattrino; tale gesto viene fatto con una tale enfasi teatrale che ne vanifica ogni valore.

GIOVANNI BERCHET (romantico): il suo intervento fu uno dei più importanti nella polemica tra classici

e romantici. Egli nel 1816 scrisse la “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo” nella quale

riflette su questioni di poetica, assumendo posizioni romantiche, che ritratterà ironicamente alla fine

della lettera, riaffermando la validità delle regole classicistiche; per questo la lettera viene detta

“semiseria”. L’autore finge che il vecchio Grisostomo, intellettuale aperto e innovatore, voglia

spiegare al figlio il significato della poesia romantica inviandogli la traduzione di due ballate del

tedesco Bürger: “Il cacciatore feroce” e “Eleonora”, ispirate alle leggende popolati tedesche,

espressione del romanticismo d’oltralpe. La lettera si divide in due parti: nella prima Grisostomo,

rifacendosi alla de Staël, consiglia al figlio la lettura di una serie di autori romantici; nella seconda

descrive la pericolosità delle idee romantiche, consigliando al figlio di starne lontano. Le pagine di

Berchet sono celebri non solo per le sue enunciazioni di poetica romantica, ma anche perché

presentano il nuovo rapporto tra autore e pubblico, per far questo parte da un presupposto del

romanticismo, cioè che ogni individuo abbia in sé una capacità/sensibilità poetica o ATTIVA o

PASSIVA.

Quella attiva appartiene agli scrittori, un gruppo esiguo di persone, che possiedono questo privilegio

fin dalla nascita. Quella passiva è posseduta da tutti gli uomini; sono solo le condizioni sociali ed

economiche che fanno sì che questa capacità si sviluppi.

Egli infatti distingue tre fasce di popolazione:

• Ottentotti: la plebe ignorante ed indifferente alla cultura

• Parigini: troppo raffinati e smaliziati

• Popolo: cioè la classe media, disposta ad aprirsi all’emozione poetica

Con queste affermazioni Berchet non fa altro che sottolineare la democraticità dell’arte; infatti il suo

obiettivo era quello di ampliare il pubblico al quale si rivolgeva la letteratura. Per questo doveva

essere elaborata una nuova letteratura capace di coinvolgere la più vasta attenzione possibile presso

il popolo italiano.

SILVIO PELLICO (romantico): la sua vicenda rappresenta al meglio gli effetti della repressione austriaca

sul romanticismo italiano. Collaborò a lungo e d in modo attivo per la rivista Il Conciliatore e per

questo motivo venne prima minacciato e poi arrestato dalla censura austriaca nel 1820. Nel 1822

venne condannato a morte, condanna commutata poi nel carcere duro, nel quale rimase fino al 1830,

quando fu graziato. Egli parla della sua esperienza in carcere ne LE MIE PRIGIONI, una sorta di libro

religioso di salvezza e di riscatto spirituale.

3. Alessandro Manzoni

Nacque da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria e da Pietro Manzoni il 7 marzo 1785. Quello tra i

genitori era stato un matrimonio combinato, infatti, dopo poco si diffuse la voce che il vero padre di

Alessandro fosse Giovanni Verri. I due si separarono nel 1792 e la madre nel 1795 si trasferì prima a

Parigi e poi a Londra con il conte Carlo Imbonati.

Manzoni entrò molto piccolo in collegio, dove vi rimase fino al 1801 (16 anni), dopo di che si trasferì

nella casa paterna. Visti gli atteggiamenti oppressivi del padre si trasferì poi a Parigi dalla madre, da

sempre modello di libertà ed apertura mentale.

In questo periodo iniziarono i suoi primi componimenti; in particolare nel 1805 pubblicò, per

l’occasione, il carme IN MORTE DI CARLO IMBONATI. L’ambiente parigino è per lui occasione di

frequentare il gruppo degli idéologues dai quali Manzoni trova sostegno nella sua insoddisfazione

verso le prospettive illuministe e gli svolgimenti della rivoluzione francese.

Intorno al 1810 maturò poi una vera e propria conversione religiosa e letteraria, successivamente ad

alcuni avvenimenti particolarmente rilevanti per la vita del Manzoni: morte del padre (1807),

matrimonio con Enrichetta Blondel (febbraio 1808), la nascita della prima figlia Giulia (gennaio 1808)

ed un episodio drammatico durante la festa parigina per le nozze di Napoleone, durante la quale

Alessandro perse Enrichetta tra la folla ed ebbe una forte crisi d’angoscia; la moglie venne poi

ritrovata all’uscita della chiesa di San Rocco, nella quale si era recato a pregare.

Nel 1810 la famiglia si trasferì inoltre in Italia, in particolare a Milano. Di fronte alla situazione politica

del tempo, Manzoni preferì non intervenire; solo successivamente stabilirà i primi rapporti con i

protagonisti della polemica romantica e con il gruppo del Conciliatore.

Le sue prime opere appartenevano allo stile neoclassico, i primi furono infatti gli INNI SACRI, del 1815.

Seguì poi, intorno al 1820, un periodo particolarmente produttivo dal punto di vista letterario:

Osservazioni sulla morale cattolica (1819)

- Conte di Carmagnola (1820)

- Adelchi E Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1821)

- Marzo 1821 (1821)

- Il Cinque maggio (1821)

- La Pentecoste (1822)

- Lettre à Monsieur Chauvet (1823)

- Prima edizione dei promessi sposi (1827)

-

Nel 1827 si trasferì insieme alla famiglia a Firenze per la messa a punto del romanzo, che lo portò ad

avvicinarsi agli scrittori dell’ANTOLOGIA.

Intorno agli anni 30 si susseguirono una serie di gravi lutti per lo scrittore: nel 1833 morì la Moglie

Enrichetta e nel 1835 la figlia Giulia. Nel 1837 si sposò con la vedova Teresa Borri, ne seguì un periodo

piuttosto felice e creativo che gli consentì di terminare la versione 40ana dei promessi sposi. Nel 1841

morì la madre e nel 1861 anche la seconda moglie.

Seguì con particolare interesse tutti gli eventi storici del periodo, dai moti del 1848 all’unità d’Italia

1861. Morì quasi novantenne nel 1873.

POSIZIONI POETICHE: in collegio acquisì una buona formazione classica, che arricchì con un

avvicinamento alla cultura illuminista; quest’ultima lo portò, nell’adolescenza, ad assumere

atteggiamenti giacobini per la difesa della libertà. Le posizioni giacobine vennero ben presto

abbandonate per svolgere esperienze letterarie di tipo neoclassico. In questo periodo, l’opera

neoclassica più importante che scrive è IN MORTE DI CARLO IMBONATI (1805). Il successivo soggiorno

parigino e il contatto con il gruppo degli idéologues lo portò a rivolgere una nuova attenzione al

problema nazionale italiano e alle radici culturali delle nazioni europee, in una prospettiva collettiva.

Egli continua a seguire modelli neoclassici ma nelle lettere che si scambiava con Fauriel si professa

scontento di quel genere di poesia.

CONVERSIONE: la conversione di Manzoni non mutò le sue prospettive intellettuali e culturali; egli

non rinunciò alle radici illuministe, ma gli diede un valore aggiunto. Alla ragione illuminista aggiunse

una razionalità più alta ed universale. Manzoni rifiuta le mediazioni tra l’essere ed il dover essere, tra

l’ideale e la realtà, sostenendo piuttosto che l’integrazione di questi due poli si può realizzare solo nel

regno di Dio.

GLI INNI SACRI (1812-22)

Il progetto originario dell’opera prevedeva 12 inni, uno per ognuna delle 12 festività liturgiche, ma

Manzoni non riuscì a realizzarle completamente.

Tra il 1812 e il

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Publisher
A.A. 2017-2018
32 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher education97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Turchi Roberta.