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BIOGRAFIA

Appartenente all'ordine dei Frati Minori, scrisse in volgare veronese due poemetti didascalici: il De

Babylonia civitate infernali e il De Jerusalem caelesti. Non si è trovata traccia di lui negli Annali di Wadding:

dunque non dovette prendere parte ad uffici pubblici o ad incarichi di carattere ecclesiastico all'interno

dell'ordine francescano. Fu probabilmente contemporaneo di Bonvesin de la Riva, come suggerirebbe lo

stesso tipo di metrica e la presenza di idee simili in ambito escatologico.

Di Giacomino da Verona sappiamo molto poco, e quel poco che è noto è direttamente tramandato da

Giacomino medesimo nella penultima quartina del De Babilonia civitate infernali: "... Iacomino da Verona

de l'Orden de' Minori". Era dunque un francescano vissuto nella seconda metà del Xlll secolo. Come tutti gli

ecclesiastici conosceva la lingua latina, anche se utilizzava il dialetto veronese stretto per poter

comunicare cogli auditori, popolani in gran parte analfabeti. Con ogni probabilità utilizzava parte dei

poemetti durante le prediche o nelle funzioni religiose del sabato e della domenica. Ma non è nota la chiesa

in cui risiedeva.

INTRODUZIONE:

- "... Iacomino da Verona de l'Orden de' Minori" firma che il frate francescano appose al secondo dei

suoi poemetti escatologici: De Jerusalem caelesti e De Babylonia civitate infernali.

- Della sua persona si sa nulla.

- Esistono vari poemetti edificanti in vario metro, certamente veronesi, che a volte seguono i due

maggiori e sono collegati da affinità stilistiche, sono stati supposti del medesimo autore.

- Jerusalem e Babylonia sono una rappresentazione popolaresca delle due città escatologiche,

Paradiso e Inferno rispettivamente, trattate nell’Apocalisse che fra Giacomino si affretta a

citare (si ricorre anche a altre fonti). Essi si inquadrano in quella parte del repertorio d’oltretomba

che era meno lontana nel momento in cui venne ideata da Dante la Commedia.

- All’inizio del De Jerusalem l’autore invita coloro che leggono le sacre scritture ovvero i maestri di

teologia a non disprezzare i componimenti di questo genere: un genere divulgativo, nella specie di

gusto francescano e destinato alle folle ignare del latino. Questo carattere appare bene nella

tecnica narrativa adoperata.

- Le quartine danno spesso origine a assonanza in luogo di rima perfetta, l’emistichio settenario ha

non di rado una sillaba in meno. Il linguaggio e specificamente veronese.

1. Dal “DE JERUSALEM CAELESTI”

Giacomino da Verona è autore di due poemetti didascalici: il De Babilonia civitate infernali ("Babilonia,

città infernale") in 280 versi, e il De Jerusalem celesti ("La Gerusalemme celeste") di 336 versi.

La lingua utilizzata è il volgare veronese, rozzo ma efficace per lessico e dialoghi, con figurazioni

ingenuamente realistiche: descrive le gioie dei beati e le pene dei cattivi, in quanto - con ogni probabilità -

i due poemetti erano diretti alla popolazione allora in gran parte analfabeta. Scritti con uno stile umile,

esprimono un'ingenua concezione dell'aldilà: nel primo lavoro si descrivono le pene dell'inferno, mentre nel

secondo vengono messe in evidenza le gioie dei beati. In entrambi i casi si fa ricorso a rappresentazioni

che intendono colpire l'immaginario popolare e che per questo attingono dalle fantasie più diffuse. Il

Paradiso vien descritto come luce pura ed eterna, un luogo attraversato da canti e musiche dolci, con mura

di perle, fiumi d'oro, fontane d'argento e un panorama indescrivibile che l'autore prova a "scomporre" in

elementi del mondo reale; l'Inferno invece è una città di fuoco e rovi, con draghi e demoni orrendi, nel quale

hanno luogo terribili torture e dove riecheggiano lamenti e urla strazianti. I due poemetti devono aver

avuto una grande diffusione al tempo, tanto che alcune raffigurazioni del De Babilonia civitate infernali

vennero sviluppate e integrate da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

La struttura di entrambi i poemetti, scritti in quartine monorime di alessandrini, deriva dalle esperienze

giullaresche, mentre le immagini sono tratte dall'Apocalisse di Giovanni, dagli scritti francescani

contemporanei a Giacomino da Verona, dal repertorio dei padri predicatori come Sant'Antonio di Padova,

oltre che dagli scritti analoghi di Bonvesin de la Riva e Uguccione da Lodi.

Bonvesin de la Riva (1240 – 1315)

BIOGRAFIA

Nasce con ogni probabilità a Milano dopo il 1240. La famiglia è residente nel quartiere di Porta Ticinese,

dove anch'egli acquisterà uno stabile il 26 marzo 1291. Fu magister, o doctor gramaticae, dopo un periodo

di insegnamento a Legnano, è a Milano entro il 1288, anno di stesura del De magnalibus urbis Mediolani.

Fu anche frate terziario dell'Ordine degli Umiliati e fece parte dei decani dell'Ospedale nuovo. Aiutò

numerose istituzioni di carità, come riportano le fonti, gli accordi presi con i conventi, e l'epigrafe sulla

lapide. Poco coinvolto nei disordini cittadini, si allineò, più per prudenza che per politica, ai Visconti.

La sua opera maggiore, almeno agli occhi dei moderni, è il Libro delle Tre Scritture (1274 ca.), poemetto

in quartine in una nascente koinè lombarda, opera fondamentale per lo studio della lingua letteraria comune

della Lombardia, intesa nei suoi confini storici, coincidenti con quelli dell'intera valle del Po. Il componimento

è diviso in tre parti, diverse per stile e atmosfera, in cui sono raffigurati l'Inferno, la Passione di Cristo

e il Paradiso. Evidente l'anticipazione del poema dantesco, cui l'abilità lessicale e retorica di Bonvesin de la

Riva rimanda grazie all'attento utilizzo della lingua. L'opera è una sorta di sceneggiatura dell'aldilà, di

notevole valore storico e di forte suggestione poetica.

Nel novero del genere dei Contrasti, serie di dispute, impreziositi dall'abile alternanza dei toni descrittivi-

grotteschi e leggeri, meditati ed esemplari—si ritrova per esempio la Disputatio rosae cum viola, dove le

umili virtù borghesi della viola prevalgono su quelle aristocratiche della rosa.

INTRODUZIONE:

- Bonvesin de la Riva, maestro di scuola prima a Legnano e poi a Milano, terziario = frate laico

(coniugato due volte) dell’ordine degli Umiliati, fu il più fecondo e solido scrittore in volgare

settentrionale.

- Era un insegnante privato, proprietario della propria scuola destinata ai figli della borghesia

benestante. Dedicò un poemetto in latino alla sua professione, il De vita scholastica, largamente

diffuso e stampato ancora in età umanistica.

- Il suo orientamento civile emerge da un trattato encomiastico, ricco di particolari concreti, del

1288 in latino: il De magnalibus urbis Mediolani.

- Alla borghesia morigerata ma non priva di umorismo è destinata la sua abbastanza vasta opera

di poeta moralista e narrativo in lingua volgare: un’opera tutte in corrette quartine monorime in

alessandrini in cui l’autore traduce o parafrasa scritture didattiche o edificanti, mettendo a

disposizione questa bonaria esperienza a disposizione di coloro che non conoscevano il latino.

Parecchie di tali opere in volgare sono scritte sotto forma di conflitti o disputazioni dialogiche;

altre sono strettamente precettistiche come ad esempio quello sulle cortesie a tavola; altre sono

di tipo escatologico (come quelle di Giacomino da Verona), una su tutte, il Libro delle Tre Scritture

(nera – dedicata all’Inferno, dorata – dedicata al Paradiso, rossa – dedicata alla Passione).

1. De pirrata

Scrisse anche opere di tipo didascalico come il caso delle Laudes de Virgine Maria (i titoli sono in latino), dai

cui aneddoti è tratto il DE PIRRATA = leggenda molto diffusa nei marialia = collezione di miracoli mariani,

una versione della quale era inserita nel Vita scholastica tra i miracoli prosastici (verseggiatore milanese

appare, come altre volte, parafrasista di sé stesso).

La lingua adoperata (opera meritoria, sprovvista di precedenti autorevoli, almeno a Milano) conferma il

carattere colto e municipale dell’autore. La ricopre un velo latineggiante che spesso non va oltre alla

grafia. La poesia Sacra

INTRODUZIONE:

- LAUDA = canzone a ballo di argomento sacre, con le stanze destinate a un solista o a un gruppo e

la ripresa, ripetuta dopo ogni stanza, destinata al coro. Cominciata nel Duecento e svolta nel Tre

e Quattrocento, la lauda venne praticata da congregazioni laiche, di parecchie delle quali ci sono

conservati i repertori, e in particolare da Disciplinati o Battuti, così detti perché tra i lori riti

penitenziali c’era quello dell’autoflagellazione collettiva. L’iniziativa si fa risalire, con colore più o

meno leggendario, a un perigino di formazione francescana, RANIERI FASANI, e all’anno 1260

(da cui la profezia di Gioacchino da Fiore faceva cominciare l’età dello Spirito Santo o del Quinto

Vangelo. L’Umbria fu il centro di questo vasto movimento escatologico, le città minori dell’Umbria,

delle Marche e della Toscana orientale hanno lasciato i laudari più antichi, seguite dopo un certo

intervallo da quasi tutte le regioni italiane.

- Il movimento dei Disciplinati aveva avuto del resto altri precedenti duecenteschi, e in essi erano

confluiti laudesi più antichi; alla preistoria della lauda appartengono anche le francescane Laudes

Creaturarum. Vere e proprie ballate furono composte da Guittone d’Arezzo.

Jacopone da Todi (1236 – 1306)

BIOGRAFIA

Le notizie sulla vita di Iacopo de’ Benedetti detto Iacopone sono scarse e frammentarie; spesso derivano

da biografie scritte parecchi anni dopo la sua morte con tono leggendario. Nato a Todi circa nel 1233,

notaio, abbandona la vita mondana dopo la tragica morte della moglie.

La disgrazia avviene durante una festa, in seguito al crollo del pavimento di un castello; Iacopone scopre

sul corpo della moglie un cilicio, strumento di penitenza, e ne segue per lui una crisi spirituale che lo porterà

a entrare nell’Ordine dei Frati minori. In seguito, fu imprigionato per aver sottoscritto un documento

contrario al papa Bonifacio Vlll, e morì tre anni dopo la liberazione dalla prigione di Todi, nel 1306.

Difficile attribuire con certezza le Laudi di Iacopone (circa 92), e l’ordine cronologico di composizione,

tranne nei casi di componimenti legati all’attualità del tempo, dunque a fatti storici noti.

Nei suoi componimenti esprime aspirazione ascetica e disprezzo del corpo, affronta argomenti politici e

civili (come l’operato di Celestino V e Bonifacio Vlll), con una notevole forza espressiva, o addirittura

violenza verbale, che caratterizza il suo linguaggio.

INTRODUZIONE:

- Jacopone da Todi è il più celebre autore di

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
142 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher clizia02 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Brambilla Simona.