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L'infanzia e l'adolescenza di Carlo ono dunque segnate anche dal lutto e dalla perdita. Oltre alle probabili difficoltà con il marito,
anche il rapporto con i marchesi si è nel frattempo caricato di conflitti, la famiglia di origine di Angiolina si trova costretta a
combattere contro il marchese Garzoni Venture e i rapporti della famiglia Orzalicon il marchese degenerano a tal punto da arrivare
alla rottura. Il fratello di Angiolina reagisce con veemenza alle accuse contro la sua famiglia che per fronteggiare la nuova
situazione finanziaria era stata costretta a contrarre debiti. Siamo nel 1842, anno in cu Carlo decise di interrompere gli studi nel
seminario. Se si pensa al clima i cui questa decisione avvenne essa non appare come immotivata. Il ragazzo scelse infatti di non
attenersi più alla volontà del marchese che gli finanziava gli studi. Carlo seguì invece il consiglio dello zio Giuseppe che lo fece
iscrivere all'attuale liceo classico. Dei dieci figli dei Lorenzini ne sopravvivranno solo 4: Maria Adelaide e i tre maschi. Anche grazie
al lavoro dello zio che era stato assunto come copiatore nella galleria Pitti, le condizioni economiche della famiglia migliorarono. La
famiglia Lorenzini potè trasferirsi da via Taddea in una casa più spaziosa in via Santa Apollonia. Al contrario dei Venturi, i Ginori si
dimostrarono sempre molto disponibili verso la famiglia dei loro dipendenti, sopratutto nei confronti di Paolo che divenne dirigente
della Manifattura Ginori. La famiglia materna sembra esercitare per Carlo un ruolo dominante rispetto alla famiglia del padre: a
Collodi compie gli studi elementari, vi si recherà in varie occasioni per scrivere e vi soggiornerà dopo la morte della madre.
Interrotti gli studi superiori nel 44, a 18 anni Carlo comincia a lavorare presso la libreria editrice Piatti. In quello stesso periodo, a
causa delle cattive condizioni di salute il padre aveva lasciato definitivamente la famiglia ed era andato ad abitare a casa del
fratello a Cortona dove morì alla fine del settembre 1848. Grazie al lavoro nella libreria Piatti Carlo entrò fin da giovanissimo in
contatto con i letterati e gli studiosi che la frequentavano. Qui strinse amicizia soprattutto con l'amministratore della libreria,
Giuseppe Aiazzi. Oltre al lavoro da commesso il ragazzo aveva il compito di redigere un bollettino dei nuovi libri e poté dare avvio
ad un apprendistato che lo portò a collaborare alla rivista di Firenze. Il primo articolo di Carlo Lorenzini, L'arpa, firmato con la sigla
L. uscì sull'Italia musicale nel 1847. Era dedicato ad uno strumento che in quel periodo si trovava a vivere una fase di decadenza.
Durante lo spostamento al fronte,Carlo sente il bisogno di comunicare per via epistolare l'entusiasmo e le impressione del milite
partito volontario. Le lettere erano destinate all'amministratore della libreria Piatti. La prima lettera è dell'aprile 1848. Accanto
all'esaltazione patriottica, l'esperienza diretta della guerra fa nascere nel giovane Lorenzini una forte avversione nei confronti degli
alti ranghi militari e degli stessi ufficiali. Come scrive all'Aiazzi, essi mostravano grande inefficienza e incapacità di organizzazione,
a tale sentimento si aggiungono dubbi e la sensazione di essere stato "baloccato". Con questo stato d'animo Lorenzini prese parte
alla sfortunata battaglia di Montanara dove il battaglione dei toscani fu sopraffatto e decimato da quello degli austriaci.
Anche dopo il ritorno a Firenze l'esperienza della prima guerra d'indipendenza sembrò coinvolgere Carlo molto profondamente.
Nonostante la delusione della sconfitta non rinunciò all'impegno politico ma decise di dar vita ad un foglio satirico tutto nuovo,
accogliendo l'invito dell'editore Tofani fondò, insieme al fratello Paolo, Il Lampione che doveva far lume a chi "brancolava nelle
tenebre". In un articolo del 24 luglio il Lampione sosteneva he l'unico mezzo per assicurare stabile felicità alla toscana era quello
di dotarla di istituzioni democratiche. Ogni numero conteneva in prima pagina un articolo di fondo di carattere politico e ideologico,
nelle pagine interne vi erano invece articoli satirici e la puntata di un romanzo. Anche le scelte grafiche rendono esplicita la linea
politica del giornale, dopo la capitolazione di Milano il Lampione compare listato a lutto e con l'annuncio" Il sacrificio della Patria è
consumato". Le alterne vicende che in quel periodo sconvolsero la politica fiorentina fecero sentire il loro contraccolpo sul giornale;
dalla fuga del granduca a Gaeta, alla nomina del governo moderato costituzionale di Capponi e Ridolfi, all'instaurazione del
governo provvisorio, sino alla presa del potere da parte del Guerrazzi dopo la notizia della sconfitta di Carlo Alberto a Novara. La
politica di restaurazione che Leopoldo si trovò ad attuare al suo rientro non fu però all'insegna del rinnovamento e delle riforme
auspicate. Le scelte politiche del granduca provocarono un contraccolpo immediato non solo sul giornale di Lorenzini, che venne
soppresso, ma anche sulla sua carriera impiegatizia. Al rientro a Firenze dopo la guerra il giovane Carlo aveva trovato impiego
come aggregato commesso del Senato toscano, ma al ritorno del granduca venne licenziato. Di l' a pochi mesi tuttavia, grazie
all'intervento di Aiazzi venne riassunto e divenne suo coadiutore. Il fratello Paolo invece era andato a lavorare come impiegato
nella fabbrica dei Ginori ed è proprio in quel periodo che la famiglia si trasferisce ne mezzanino del palazzo Ginori ma, quando
Paolo sposò una ricca vedova e si trasferì in via de' Calzaiuoli, Carlo, che non riusciva ad andare d'accordò con la cognata decise
di separarsi dalla famiglia per andare a vivere insieme al fratello Ippolito a casa della sorella Maria Adelaide. Nella nuova casa
viveva anche Ulisse Zipoli, forse il fratello prete del secondo marito di Maria Adelaide. Sembrerebbe che il periodo trascorso
accanto allo Zipoli abbia lasciato un segno profondo nella formazione intellettuale di Carlo che, proprio in quegli anni si perfezionò
nella lingua francese, imparò a leggere la musica e a suonare il piano. Lorenzini ha intanto iniziato a lavorare con vari giornali. Nel
1853 è direttore dello Scaramuccia che, grazie al sostegno dello zio paterno, diventerà di sua proprietà. L'impegno per il suo
giornale è totale tanto che arriverà a scriverne quasi tutti gli articoli. Nel 1856 inizia la collaborazione di Lorenzini con La Lente,
giornale umoristico in cui usa per la prima volta lo pseudonimo di Collodi. Alla fine dell'anno Collodi abbandona Firenze e va a
Bologna come corrispondente de "L'Italia musicale" di Milano, giornale di letteratura e belle arti. Secondo Ferdinando Martini
Collodi dovette adeguarsi ai tempi segnati da una forte censura smorzando e camuffando le critiche politiche ma reagendo sempre
con veemenza contro coloro che spudoratamente avevano tradito gli ideali risorgimentali per trarne vantaggi personali. Uno dei
bersagli preferiti in quel periodo fu il poeta Giovanni prati che con i suoi versi di "stramba fattura" si proclamava a favore di casa
Savoia e devoto a Carlo Alberto. Lorenzini iniziò ad attaccarlo sullo Scaramuccia con una serie di articoli in cui metteva in ridicolo
anche il poeta Rodolfo e lo chiamava cicala, a sua volta il poeta si rivendicò nel prologo di Stana e le grazie definendolo un
topolino... Lorenzini però non rispose perchè nel frattempo aveva venduto Scaramuccia. Solo dopo l'unità d'Italia gli sarà possibile
debuttare in teatro. Nel 1856 scrive un romanzo a vapore, Da Firenze a Livorno, si tratta di una guida di viaggio ironica, in quel
periodo scrisse I misteri di Firenze. Scene Sociali in cui metteva in dubbio la natura del testo. In questo periodo si dà al bere
smodato, al gioco e fa le ore piccole. Queste avventure contribuiranno a creargli la fama di donnaiolo. Subito dopo la sua morte
infatti il fratello Paolo si affrettò a bruciare tutte le lettere del fratello per cancellare la testimonianza di certe vicende. La scelta dello
pseudonimo Collodi sembra ribadire il suo legame non solo con la madre ma anche con la famiglia materna. Non sembra ci sia in
quegli anni nel rifiuto di Carlo per il matrimonio un'impossibilità di amare, quanto piuttosto la difficoltà di accettare un legame
sentimentale duraturo a livello sociale cui origine sembrava destinarlo. Carlo si innamorò di una signora di Firenze sposata e
madre di due bambini, forse non era soltanto lo stato civile ad impedire il matrimonio, non è improbabile che un impedimento a tale
legame derivasse anche dal ceto della donna. Tale legame non può durare in eterno, la separazione dalla donna amata provoca in
lui una delusione profonda. Che lo spinge verso l'alcol e il gioco d'azzardo.
Il viaggio intrapreso nel 1859 lo riportò verso il nord , si arruolò e partecipò alla seconda guerra d'indipendenza nel reggimento
Cavalleggeri di Novara. Partì per la guerra forse per allontanarsi dalla difficile situazione sentimentale che viveva in quel periodo.
La seconda guerra d'indipendenza fu sostanzialmente la guerra del Piemonte. La popolazione non si mostrò altrettanto coinvolta
come nella prima e la campagna assunse un carattere esclusivamente militare. L'abilità diplomatica del conte di Cavour nel
frattempo aveva garantito al Piemonte il riconoscimento di una propria posizione autonoma nel panorama europeo. Anche Collodi
pone l'accento sulla nuova politica attuata da Cavour.
L'armistizio di Villafranca, concluso da Napoleone III di Francia e Francesco Giuseppe I d'Austria l'11 luglio 1859, pose le
premesse per la fine della seconda guerra d'indipendenza. Fu la conseguenza di una decisione unilaterale della Francia che, in
guerra a fianco del Regno di Sardegna contro l'Austria, aveva la necessità di concludere la pace per il pericolo che il conflitto si
allargasse all'Europa centrale. L'armistizio di Villafranca causò le dimissioni del presidente del Consiglio piemontese Cavour che lo
ritenne una violazione del trattato di alleanza sardo-francese. Quest'ultimo prevedeva infatti la cessione
al Piemonte dell'intero Lombardo-Veneto diversamente dai termini dell'armistizio che disposero la cessione della sola Lombardia.
In Giannettino è documentato tutto lo sgomento che seguì la pace di Villafranca e il clima di ostilità e rancore che si diffuse. Per
lunghi mesi fu a capo della Toscana uno degli uomini più in vista della Firenze granducale, il barone Ricasoli che aveva
partecipato alla restaurazione del regime granducale nel 1849. La morte improvvisa di Cavour nel 1861 avrebbe favorito l’ascesa
del barone che in seguito a questa circostanza sarà chiamato a governare l’Italia. Per un periodo di tempo dopo l’armistizio di
Villafranca Lorenzini preferirì non t