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Vicolo dell’acciaio, La Vita Agra e Vogliamo tutto sono romanzi accomunati dal
fatto che si tratta di autori non molto conosciuti, sommersi che dagli anni 60 fi-
no al 2010 hanno scritto sul lavoro rappresentando i lavoratori e la fabbrica in
modo negativo, critico. Il periodo di maggiore fortuna della letteratura indu-
striale è negli anni 60 perché assistiamo al benessere e al miracolo economico
che induce gli scrittori a riflettere sugli effetti di queste conseguenze. Prima del
miracolo economico c’è uno scrittore completamente irregolare, Luciano Bian-
cardi. Egli è uno dei pochi scrittori che in quegli anni non scrive di fabbriche, ma-
lessere degli operai, catena di montaggio, ecc. ma parla del cosiddetto lavoro
immateriale, che non sfrutta materie prime. E’ stato definito lavoro cognitivo,
non prevede quasi mai un contratto, delle tutele, si lavora a cottimo. Questo
settore di lavoro viene definito Il quinto stato. Il terzo stato era quello della
borghesia e della rivoluzione francese, il quarto stato quello della classe operaia
e contadina e il quinto stato l’evoluzione della classe operaia. Le opere di Bian-
ciardi non si trovano in un meridiano (che contiene le opere degli autori del 900)
ma in un libro chiamato Antimeridiano. Bianciardi nasce a Grosseto nel 1922.
Diventa partigiano e sceglie di stare vicino alla cultura e alla politica antifascista
iscrivendosi al “Partito d’Azione”. Alla fine della guerra si laurea all’università e
diventa un vero e proprio operatore culturale. Si occupa della biblioteca comu-
nale di Grosseto inventandosi addirittura un mezzo per raggiungere le frazioni, i
villaggi, i paesini dimenticati della provincia e portare i libri anche a loro.
Quest’esperienza la racconta nel suo primo libro che fa parte della cosiddetta
Trilogia della rabbia, intitolato Il lavoro culturale. Inizia, inoltre, a collaborare
con le riviste legate al partito comunista di quegli anni scrivendo di cinema e let-
teratura. Data fondamentale che segna una svolta nell’esistenza dell’autore è il
1954: quasi in anticipo con gli anni del miracolo economico succede un inciden-
te sul lavoro che provoca morti, esplode la miniera di Ribolla, dentro cui lavora-
vano minatori clienti della biblioteca di Grosseto di Bianciardi. Quest’ultimo ini-
zia a fare una specie di inchiesta e scopre le responsabilità dell’azienda che co-
me sempre non è attenta alle condizioni di sicurezza dei lavoratori.
Quest’elemento biografico torna ne La vita agra e viene anche raccontato, in
collaborazione con lo scrittore toscano Carlo Cassona, in un libro-reportage, inti-
tolato I minatori della Maremma, con l’editore pugliese Laterza. Negli anni in cui
esplode questa miniera, attraverso dei contatti che lui ha grazie alla sua collabo-
razione con questa rivista, l’autore viene invitato a Milano per lavorare con la
Feltrinelli. Successivamente, però, viene licenziato perché non sottosta’ alle loro
condizioni ed inizia a stabilire contatti di collaborazioni esterne con le aziende
culturali. Questa parentesi fallimentare con la Feltrinelli confluisce in un suo se-
condo romanzo facente parte della trilogia intitolato Integrazione (termine iro-
nico, in realtà è un rifiuto dell’integrazione). Si apre una stagione di precarietà,
inizia a lavorare come collaboratore esterno. Il terzo romanzo della trilogia, La
vita agra, il cui titolo sembra volersi contrapporre al film La dolce vita di Fellini,
esce nel 1962, molte persone si riconoscono nella sua descrizione e per questo
motivo viene addirittura denunciato per diffamazione. Bianciardi fa per lo più il
traduttore che in quegli anni è il mestiere del lavoro culturale più pagato. Tra-
duce gli scrittori americani che si narra scrivessero a ritmo delle improvvisazioni
jazz o del primissimo rock: Miller, Eduard, ecc. Traduce anche saggi o altre cose
di servizio e collabora con grandi riviste culturali degli anni 50 e 60. Un altro fi-
lone narrativo di Bianciardi, lontanissimo da questa scrittura legata alla sua con-
dizione lavorativa degli anni 60 è quello della sua passione giovanile per Gari-
baldi: scriverà, per esempio, un libro che attualizza alcuni eventi del Risorgimen-
to. Muore nel 1971 di cirrosi epatica a causa della sua esistenza da precario.
Bianciardi, secondo una sua citazione, dice che La vita agra è la storia di una so-
lenne incazzatura. E’ scritto in prima persona e, a differenza di quanto ci si
aspetterebbe, ha una struttura lineare e cronologica (romanzi come Ulisse di
Joyce avevano il flusso di coscienza o monologo interiore e non seguivano una
struttura lineare perché c’era un’urgenza di confessare, esprimersi). Non rac-
conta una formazione ma una progressiva deformazione del soggetto che si
addentrerà sempre di più nel mondo del lavoro precario. Questa scansione li-
neare può essere registrata nell’uso dei tempi verbali: per la prima parte del
romanzo usa i tempi al passato, come se stesse ricordando le fasi precedenti del
presente in cui impugna la penna, racconta con la tecnica del monologo interio-
re del motivo per cui è arrivato a Milano e le sue prime esperienze fallimentari
di lavoro. Il motivo per cui arriva a Milano è legato all’esplosione della miniera,
ha fatto una promessa ad alcune famiglie degli operai morti e a se stesso di
vendicarsi, vuole far esplodere il cosiddetto torracchione, cioè la sede della fab-
brica che gestiva la miniera di Ribolla. Non è un personaggio positivo, abbando-
na la sua famiglia a Grosseto e si fa un’amante, quindi è molto vicino a La co-
scienza di Zeno. Ad un certo punto abbandonerà la sua prima casa, inizierà ad
entrare in contatto con le case editrici e si prenderà una nuova casa nelle perife-
rie di Milano con la sua nuova compagna. Questo spostamento è un simbolo che
ci fa capire che lui man mano si sta spostando dal suo iniziale obiettivo. Ad un
certo punto del romanzo ci fa entrare nel vivo delle sue sporche giornate di la-
voro utilizzando i tempi al presente. Questo romanzo è stato definito la storia di
una nevrosi, cioè una non integrazione; capisce gli effetti del miracolo econo-
mico nella vita degli individui, come i tempi di questo tipo di lavoro tocchino an-
che le relazioni sessuali e umane. La sua è una rabbia linguistica, interrompe la
narrazione per scagliarsi contro il miracolo economico che definisce una solen-
ne fregatura. Secondo Bianciardi la vita è legata ad un solo imperativo: produrre
il massimo possibile nel minimo tempo possibile. Torna costantemente
l’episodio in cui lui fa i conti economici per gestire la sua vita. La visione del
mondo di Bianciardi è una visione di rabbia nei confronti del miracolo economi-
co: tutto questo lo registriamo attraverso le scelte stilistiche, per esempio una
costante del romanzo è la tecnica dell’enumerazione, fa continui elenchi che
danno la sensazione del consumismo, della legge secondo cui tutto sta aumen-
tando e sta diventando più frenetico. Utilizza forestierismi, dialettalismi tosca-
ni, linguaggi settoriali burocratici prendendo in giro la democrazia del lavoro,
giochi di parole, metalinguaggio, anche frammenti della neolingua (nuova lin-
gua del miracolo economico). Altra tecnica utilizzata è l’intreccio tra termini au-
lici e termini bassi, disfemismi (parolacce). Ad un certo punto propone
un’alternativa esistenziale, cioè evitare di diventare vittime di nuovi tempi e
modi di lavorare che lui chiama un neocristianesimo a sfondo disattivistico e
copulatorio. Neocristianesimo vuol dire che tutti siamo uguali, a sfondo disatti-
vistico e copulatorio che invece di competere ed essere sempre attivi bisogne-
rebbe lavorare il meno possibile, solo per soddisfare i propri bisogni primari
mandando a quel paese il proprio padrone. Si accorge che anche il modo di
camminare per le strade sta cambiando perché è più veloce. Infine ci sarà una
via d’uscita folle, visionaria che si lega alla vita da matto. 2 anni dopo l’uscita de
La vita agra, ci saranno 2 film ispirati al suo libro che intendono rappresentare
l’alienazione degli operai italiani.
C’è poi una specie di intervallo nella letteratura italiana tra anni 80 e 90 in cui il
tema centrale del lavoro esce fuori dall’interesse della letteratura che in questo
periodo viene definita post-modernista. Accadono 2 fenomeni importanti: la
globalizzazione e l’informatizzazione, che intervengono concretamente nella vi-
ta lavorativa degli esseri umani. La globalizzazione viene considerata come una
nuova arma del capitale per reagire ai movimenti della classe operaia degli anni
70. Questo porta anche alla delocalizzazione, si spostano gli stabilimenti in varie
parti del mondo. Informatizzazione, in termini lavorativi, provoca la sostituzione
delle catene di montaggio con i computer, robot. Di conseguenza, ci sarà un li-
cenziamento di personale umano e l’operaio dovrà semplicemente spingere dei
bottoni. Il libro di Balestrini è considerato il più importante perché è proprio il
testo esemplare dei nuovi scioperi che stavano interessando l’economia indu-
striale italiana in quegli anni, i cosiddetti movimenti antisistema, quelli che par-
tono dal 1968 e si concludono nel 1977 in Italia. Nanni Balestrini nasce nel 1935
a Milano, è sempre stato attivo nella vita culturale e diventa protagonista della
neoavanguardia, cioè del movimento di sperimentazione linguistica e letteraria
degli anni 60 in Italia. Sarà il primo poeta in Italia a scrivere un testo poetico fa-
cendolo in realtà scrivere da quello che è considerato il nonno del nostro attuale
computer; avrà, quindi, un atteggiamento ambivalente con la tecnologia della
modernità provando a capire come si può usare in modo critico. Si avvicina pro-
prio agli ambienti culturali della cosiddetta nuova sinistra, che rifiutano la logica
parlamentare. Questi movimenti, però, a volte superano il confine della legalità
diventando dei terroristi, aderendo alla lotta privata delle brigate rosse ma nel
caso di Balestrini, non hanno aderito all’ideologia della violenza. Tuttavia, per
sconfiggere il terrorismo in Italia, la politica di quegli anni decide di fare di tutta
l’erba un fascio e un certo punto viene indagato anche Balestrini che, alla fine
degli anni 70, è costretto a scappare dall’Italia e andare a Parigi. Quando queste
accuse ricadono, rientra in Italia e fonda una delle poche riviste che anche negli
anni 80, anni del riflusso e del disimpegno, si occupa delle nuove questioni so-
ciali, chiamata AlfaBeta. Nel 1971 esordisce con Vogliamo tutto, che prende in
prestito lo slogan delle facce più es