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MOLTEPLICE SINTESI/UNIFICAZIONE
intuizioni rappresentazioni
rappresentazioni concetti
concetti giudizi
Il principio alla base di una qualsiasi sintesi è detta unità qualitativa del molteplice.
L’aggettivo “qualitativa” sta ad indicare che non è “quantitativa”: non è 1+1+1+… ma una “regola delle
regole” (dietro ad ogni attività sintetica c’è questa “regola” sintetica, che corrisponde alla “meta-categoria”
io penso).
• Che differenza c’è tra concetti e universali medievali?
“Universale” è ciò che accomuna più realtà racchiudibili in una classe, genere, specie, ecc.
Io conosco Andrea, Mario, Laura ma non ho mai conosciuto l’”uomo” in senso generale.
Vengono prima i singoli uomini particolari, e l’”uomo” è solo qualcosa di nominale per indicarli tutti
generalmente, oppure l’”uomo” è un’idea realmente esistente di cui ogni persona particolare ne è istanza?
Potremmo dire che l’idea di Kant si va a porre nel mezzo: il concetto, avendo natura trascendentale, è solo
una funzione che però “trova spazio” nell’intelletto solo nel momento in cui serve: non ha né natura logica
(non è uno schema mentale), né ontologica (non è qualcosa di fisicamente esistente).
• Qual è la gerarchia dei giudizi (sintetici)?
Con un’analogia insiemistica, il predicato, di un giudizio sintetico, deve stare in un insieme “superiore”
rispetto al soggetto, altrimenti sarebbe un giudizio analitico.
• L’intelletto sintetizza le affezioni con spazio e tempo, ma allora a chi appartengono?
Possiamo vederli come “ministri” dell’intelletto chi si chiamano spazio e tempo nel sensibile e forme pure nei
concetti ma sempre di sintesi si tratta, anzi sempre della stessa sintesi si tratta. Sia che si tratti di intuizioni
sensibili, sia che si tratti di rappresentazioni sia che si tratti di forme per la sintesi stessa.
L’intelletto è forza che muove a prescindere da cosa muove.
• Differenza fra concetto puro ed empirico?
Entrambi sono “scatole” per rappresentazioni, ma mentre quello puro è una scatola vuota quell’empirico è la
scatola riempita. Il concetto puro è detto anche categoria (rifacendosi parzialmente ad Aristotele, sebbene
quelle aristoteliche avevano natura sostanziale) ed è la regola, il collante che lega insieme soggetto e
predicato.
Kant individua 12 categorie (movimenti possibili dell’intelletto per questo collegamento) ricavandole dalle
tavole dei giudizi (anche se in realtà sarebbe il contrario: è dalle categorie che si articolano i giudizi).
• Come rapportare le categorie all’esperienza?
Quando ho il concetto di corpo so che non esiste l’oggetto “corpo” ma in esso vi è qualcosa di sensibile tant’è
che posso giungere dal concetto di corpo al corpo di Luca. Sembrerebbe che nelle categorie vi sia qualcosa di
sensibile ma ciò è non è possibile in quanto esse sono a pure priori. Non è importante esperire qualcosa di
“causale” per aver giungere al concetto puro di causa bensì è necessario il viceversa: si dovrà applicare prima
il concetto puro.
Le categorie tengono insieme i concetti empirici in 12 modi diversi come spazio e tempo lo fanno in 2 modi
diversi con le intuizioni sensibili.
• Che ruolo svolge il tempo nei concetti?
Ciò che tiene insieme, per esempio, gatto, cane, mamma nel concetto di corpo è il tempo. Per avere concetto
di corpo infatti viene tolto tutto ciò che può e non può esserci nel corpo: posso dire il corpo ha due gambe (se
penso ad un uomo) ma anche che ne ha quattro (se penso ad un tavolo) e non cadrei in una contraddizione.
Non ho mai conosciuto un gatto ma ho avuto delle modificazioni del senso interno che grazie al tempo
percepisco come simultanee.
Per ogni concetto empirico faccio uso solo del tempo e non dello spazio in quanto il concetto è qualcosa solo
dentro di me.
• Cosa tiene insieme rappresentazioni di rappresentazioni (concetti empirici)?
Il giudizio, che grazie al tempo le rende simultanee. Va ricordato che l’unificazione che si attua, da un punto di
vista trascendentale, è sempre la stessa
• Qual è il momento più alto del processo conoscitivo?
Verrebbe da pensare che sia il momento del giudizio, in cui si compie l’astrazione massima, ma in Kant non vi
è astrazione ma sempre è solo sintesi, e perché questa avvenga è necessario che molteplice e forma del
molteplice siano sempre posti sullo stesso piano “logico”. Ancora, una volta, tutto è istantaneo e simultaneo!
• Di cosa si occupa Kant nella Deduzione Metafisica (delle categorie)?
Partendo dalle varie forme di giudizi conosciuti (partendo dalla logica aristotelica) ricava la tavola delle 12
categorie suddividendole in 4 gruppi (a loro volta ulteriormente divisi in 3): quantità, qualità, relazione,
modalità. Fin qui si è dato per scontato che le categorie non siano rintracciabili nell’esperienza, se infatti fosse
vero, per esempio la causalità sarebbe soltanto qualcosa di contingente.
• Che cos’è la Deduzione Trascendentale?
Nella Deduzione Metafisica Kant trova soluzione alle due domande: quante sono e quali sono le categorie,
giungendo alla tavola delle categorie. Ora è necessaria una legittimazione del loro utilizzo (che siano valide
non è nemmeno in discussione dal momento che ne faccio uso): come possono i principi puri a priori riferirsi
agli oggetti (rappresentazioni) del mondo esterno così bene? Come è possibile riempire quelle gabbie vuote,
i concetti puri, con delle rappresentazioni?
Non è una questione banale infatti non è per niente detto che i nostri modi (puri e a priori) di conoscere gli
oggetti siano così validi nel conoscere effettivamente (sensibilmente) oggetti reali.
-> Come possono le categorie applicarsi al materiale sensibile regolato da spazio e tempo?
-> Come può esserci universalità nella conoscenza?
In ambito giuridico la deduzione è la legittimazione di ciò che si sta affermando.
È quindi necessario dimostrare che le categorie sono indispensabili ad ogni conoscenza; esse sono ciò che
porta la contingenza del giudizio di percezione alla necessità di quello d’esperienza (conoscitivo): come passare
dalla doxa all’episteme.
Riassumendo: i pensieri presuppongono l’io penso e l’io penso opera attraverso le categorie, gli oggetti
presuppongono le categorie. Quindi l’uso delle categorie è validato dal fatto che non si applicano direttamente
agli oggetti reali ma al nostro modo di conoscerli mediatamente (fenomeni).
• Quali sono sintesi del processo conoscitivo?
La prima sintesi è quella dell’intuizione in cui i dati sensibili grezzi subiscono una prima forma di regolazione
da spazio e tempo. Questo primo livello di unità non è ovviamente sufficiente alla conoscenza: la realtà ci
apparirebbe molto confusa. La rappresentazione fin qui ottenuta è (già) raccolta in un concetto empirico che
poi viene legato ad altri concetti empirici (attraverso le categorie) in un giudizio.
Perché tali sintesi si possano compiere è però necessario un principio di sintesi, una unità di sintesi originaria
che viene prima. Essa non può ovviamente coincidere con la categoria di unità, perché è la condizione di
possibilità di ogni sintesi, quindi anche delle categorie. Non connette nulla concretamente ma permette che
questo sia possibile.
Quest’ultimo momento è il momento dell’appercezione trascendentale, l’autocoscienza, quell’io penso che
“deve poter accompagnare tutte le mi rappresentazioni”. -> È qui che il soggetto si rende conto non solo di
aver coscienza dell’oggetto ma di essere cosciente di tale coscienza mediata dell’oggetto.
Tale sintesi qualitativa del molteplice è la possibilità di ogni sintesi, quindi non è sostanza pensante (come per
Cartesio) bensì la funzione centrale di tutta la critica.
Se ogni nostra rappresentazione presuppone l’io penso e dato che l’io penso pensa opera attraverso le
categorie allora la natura fenomenica non può far altro che “obbedire” alle forme pure a priori. In questo senso
le categorie sono la condizione di possibilità dell’oggettività -> soggettività e oggettività hanno la stessa
origine: l’io penso che va a realizzarsi nelle categorie. Dal momento che la nostra conoscenza si articola non
su oggetti ma su concetti di oggetti (che sono la forma in cui la datità sensibile può essere conosciuta) allora è
lecito che ad essi si vadano ad applicare le categorie. In altre parole, dato che non conosciamo gli oggetti ma
una loro forma modulata in modo tale che possiamo averne conoscenza e tale forma è accompagnata sempre
dall’io penso che è comune ad ogni essere umano allora l’universalità è garantita. L’io penso è quell’attività
(comune a tutti gli uomini) che funge da principio per la sintesi.
Riassumendo allo stremo:
1. L’io penso accompagna ogni pensiero
2. L’io penso opera attraverso le categorie
3. Le categorie si applicano agli “oggetti” pensati (rappresentazioni)
4. L’io penso è comune ad ogni uomo
5. La conoscenza concettuale è universale
• Come opera l’io penso?
L’io penso opera attraverso le categorie: le intuizioni sensibili ordinate spaziotemporalmente necessitano di
un’organizzazione da parte dell’io penso attraverso le categorie. Gli oggetti non possono venir percepiti
spaziotemporalmente senza venir nel frattempo categorizzati.
L’io penso è la condizione necessaria di possibilità affinché i dati sensibili possano diventare oggetti per noi,
cioè fenomeni.
• Perché non può esistere verità per Kant?
Per Kant non c’è una verità assoluta in quanto essa non nasce da una conoscenza data bensì costruita. Non
c’è verità, non c’è verosimiglianza ma costruzioni di concetti di oggetti. Forse penetrando con la ragione gli
oggetti potremmo giungere alla verità ma non è questo il nostro tipo di ragione: una conoscenza che fa un
passo avanti rispetto al falso e uno indietro rispetto al vero.
Il mondo là fuori non è una datità bensì una costruzione (di concetti di oggetti), un prodotto dell’esperienza
- Risolvere un problema di matematica
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