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SPAZIO/TEMPO
Sono tutte e due forme pure e a priori della sensibilità.
Lo spazio è più “potente” del tempo perché l’intuizione interna obbedisce alla condizione formale
del tempo.
Proprietà della sensazione.
Sensibilità (facoltà dell’animo uguale in tutti noi) ha una componente recettiva e una reattiva, nella
prima è passiva, nella seconda è attiva.
Oggetto (cosa fuori di noi che si da spontaneamente a me) -> viene ricevuto dalla sensibilità come
modificazione -> componente ricettiva
Poi + componente reattiva -> riorganizza le modificazioni secondo forme a priori dell’anima ->
estensione e successione.
Il senso esterno mi permette di assumere qualcosa che mi si dà a me e condiziona il mio senso
interno che dopo aver subito questo mutamento lo rielabora.
Da queste modificazioni del senso interno, da questi mutamenti accade che essi mi determinano la
rappresentazione di un prima e un dopo per permettermi di essere consapevole che in me c’è
stato un mutamento.
Io ho bisogno ovvero è necessario a me, rappresentarmi una successione di stati interni -> in
questo senso il tempo diventa una rappresentazione necessaria che sta a fondamento di ogni
rappresentazione perché si fonda sul mutamento del mio senso interno e del mio senso interno.
Ho bisogno, è necessario, che ci sai un elemento rappresentativo che mi possa restituire l’unità e
la costanza di me attraverso le modificazioni che affliggono il mio senso interno ed il mio senso
esterno.
Solo quando mi riconosco sempre lo stesso soggetto intuente che è stato interessato da delle
modificazioni in tempi successivi (tempo) allora posso ricollocare ed unificare quelle percezioni
che mi hanno modificato (spazio).
Quindi lo spazio si fonda sul tempo; il tempo mi permette la rappresentazioni di intuizioni interne
mentre lo spazio di quelle esterne (?)
22/03/17
23/03/17
Kant nega sia la concezione cartesiana che leibniziana del tempo.
Lo spazio non può essere associato ad una determinazione delle cose altrimenti non sarebbe a
priori.
Se il tempo poi riguardasse una relazione dei fenomeni, ho la sua concezione solo quando
esperisco i fenomeni ma di conseguenza sarebbe a posteriori e non potrebbe permettermi di
esperire i fenomeni derivando da essi: il tempo è la forma del senso interno.
La forma del tempo fonda quella dello spazio e garantisce il fenomenizzarsi di tutto gli oggetti, sia
del senso interno che di quello esterno.
Per Kant senso esterno (5 sensi) e senso esterno sono la stessa cosa perché sono tutti proprietà
dell’anima (della ragione) -> le cose esistono dal punto di vista conoscitivo quando producono una
modificazione in me e a fondamento di questa modificazione c’è la forma del tempo per darmi
un’idea di coerenza, resto me stesso, nonostante le modificazioni.
Il tempo mi permette di dire che il mutamento è avvenuto in me, nel mio senso interno, ma io sono
rimasto lo stesso, nel senso che non mi alieno, non divento un’altra o altre persone -> senza ciò
non potrei distinguere tra me che conosco e oggetti fuori di me.
Se non avessi un’intuizione a priori del mio rimanere me stesso nonostante le modificazioni non
potrei avere coscienza della mia attività conoscitiva, distinguendomi dal mondo esterno, perché mi
alienerei da me stesso tante volte quante sono le modificazioni.
La forma del tempo mi dà la possibilità della “successione”, grazie alla quale posso riconoscermi
sempre me stesso nonostante le modificazioni del senso interno durante l’atto conoscitivo.
Il tempo non è parte della mia soggettività, tale intuizione pura che mi permette di avere la
successioni delle modificazioni del senso interno è uguale per tutti siccome essendo indipendente
dall’esperienza è indipendente anche dalla mia singola intuizione sensibile.
Spazio e tempo però non sono indipendenti dal mio intuire, hanno significato solo nel momento in
cui intuisco ovvero non hanno un in sé assoluto -> nel momento che intuisco essi esulano la mia
soggettività e permettono il fenomenizzarsi degli oggetti fuori di me.
Differenza tra qualità (Galileo, Cartesio, Locke)
Le qualità primarie permangono identicamente al variare degli osservatori e che riguardano
l’estensione, il movimento, la quantità, appartengono di necessità alle cose.
Le qualità secondarie al contrario variano al variare del soggetto che esperisce.
Per Kant questa distinzione seicentesca è superata nel momento in cui dice che tutte le “qualità”
sono soggettive ma in queste sono presenti delle caratteristiche costanti che provengono dalle
peculiarità della ragione -> per avere un molteplice che si dà a noi deve esserci una funzione a
priori che mi rende possibile la sintesi e l’unità di questa molteplicità.
Non stiamo facendo una scienza di cose in quanto tali ma di fenomeni che si danno alla
conoscenza.
Idealità trascendentale non vuol dire che il tempo o lo spazio è un’idea pura , Kant non ricade in
una concezione idealistica, ma consiste nel dire che il tempo è un condizione, una funzione, una
regola, un operatore, un meccanismo che ha una sua indipendenza dall’esperienza ma nel
momento in cui non stiamo intuendo (ovvero non ci stiamo modificando attraverso un qualcosa
fuori di noi) ovvero nel momento in cui non lo stiamo più utilizzando esso svanisce -> in questo
senso Kant parla di idealità trascendentale.
Parlando di sussistenza dello spazio Kant parla di esso non di una caratterisitca assoluto dei corpi
ma è una condizione.
Già il Leon Battista Alberti nel ‘400, nel “Trattato sulla famiglia” sostiene come il tempo sia il
carretto che porta fuori qualcosa fuori dalla mia mente e lo rende operativo.
E’ come l’acqua dell’Arno che c’è ed è mia nel momento in cui la uso; ma nel momento in cui
smetto di usarla essa non è più mia e non c’è più.
Per Cartesio al contrario l’estensione c’è indipendentemente dal fatto che ne faccia uso o no
perché è un’idea innata.
Per Kant appunto non è un’idea, è un trascendentale, e ha una sua realtà, si oggettiva solo nel
momento in cui il soggetto ne fa uso.
Kant tenta di non andare né verso l’empirismo né verso l’idealismo.
Io posso intuire ma solo nel modo in cui è presente una forma che appunto formalizzi la mia
intuizione, ovvero il tempo.
Spazio e tempo pongono le condizioni e i limiti della sensibilità.
La condizione per raccogliere dei dati dall’esterno è la stessa che mi permette di elaborarli -> non
cataloghiamo e basta la molteplicità esterna ma la faccio mia e ciò significa antropomorfizzarla
ovvero getto su essa la mia immagine.
Le forme pure mi permetto di prendere dalle cose, qualcosa che diventa compatibile come me nel
momento in cui lo prendo, qualcosa che è diventato mio.
Nella mia intuizione sensibile deve già esserci questa condizione che mi permette di armonizzare e
omogeneizzare a me ciò che recepisco da fuori di me.
Per conoscere dobbiamo intuire ma ciò che intuiamo non è detto che siano gli effettivi rapporti che
collegano le cose tra loro; non conosciamo le cose in quanto tali ma solo la loro parvenza.
Conosciamo la realtà esterna come elaborazione di ciò che interessa a noi della conoscenza di
questa realtà esterna, la nostra mente non è uno specchio che riflette e rispecchia in noi l’identità
delle cose e della realtà esterna.
Ridurre la natura a delle leggi, a delle formule condivisibili che non esprimono la natura ma come
noi conosciamo.
Le leggi che noi servono per conoscere la natura sono leggi umane all’interno delle quali la natura
è imbrigliata in canoni condivisi.
Le condizioni della nostra conoscenza sono condizioni finite.
I miei tentativi di catturare le cose mi portano solo elementi del mio modo di conoscere le cose,
non le cose in sé, anche attraverso infinite intuizioni ( anche con infinite congetture ci sarà sempre
lo stesso scarto tra la mia conoscenza e la mia meta – Cusano ).
Se poggiamo la certezza della conoscenza sugli oggetti geometrici e della matematica da dove
viene questa certezza? Non dalla natura oggettiva delle cose.
L’intuizione sensibile della geometria è possibile grazie allo spazio e al tempo.
L’intuizione sensibile non deriva da un’esperienza esterna ma deriva dalla modalità che il mio
anima ha di operare su se stesso, da un’affezione provocata dalla sensibilità sull’animo , che
permette quindi l’intuizione, ovvero di una stessa attività dell’animo.
27/03/17 ANALITICA TRASCENDENTALE
La conoscenza richiede due fonti : intuizione pura (resa possibile dallo spazio e tempo come
funzioni pure) e materia sensibile che ci affetta.
Quindi 2 sorgenti -> una datità esterna ed il pensiero che agisce all’interno del soggetto.
L’unica condizione conoscitiva è quella di ricevere dall’esterno un’intuizione sensibile, sulla quale si
basa appunto la conoscenza umana; poi l’intelletto un contenuto concettuale ad essa.
L’intuizione sensibile e le forme pure che permettono la sintesi del molteplice sensibile nell’unità
della percezione NON sono due atti separati ma avvengono in contemporaneamente.
Se ciò non fosse così le forme, gli operatori che mi permettono di sintetizzare la molteplicità
sensibile sarebbero già date nella materia sensibile e sarebbe a posteriori e non a priori.
La nostra conoscenza consiste nell’antropizzazione o nella riconduzione alla facoltà razionale di
ciò che sta al di fuori di noi -> in questo senso il problema della conoscenza è trascendentale ->
noi conosciamo il fenomenizzarsi della datità esterne , l’esperienza è prodotta , elaborata da noi,
non è rappresentata all’interno della nostra mente, la nostra mente NON rispecchia la datità
esterna a noi (idee innate ecc…).
La mescolanza tra forma e materia dell’intuizione produce una rappresentazione.
Ciò che mi colpisce è una datità oggettivamente esterna a me che appunto mi colpisce attraverso
le sue molteplici manifestazioni.
Ciò che restituisco in forma di rappresentazione dice non solo qualcosa di ciò che mi ha affettato
ma anche qualcosa di me -> l’insieme sintetizzato della molteplicità delle affezioni non è l’oggetto
esterno nella sua datità ma è l’oggetto esterno filtrat