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E: Sì.
S: Quindi, dirà bene chi dica nel modo che a lui sembra debba dirsi, oppure chi parli
come la natura vuole, e come le cose vanno dette. si deve che si dica e vengano dette.
Se no sbaglierà e fallirà. E: Mi sembra così.
S: Il denominare è parte del dire: infatti, perché gli uomini nominando parlano.
E: Certo.
S: Dunque, anche il denominare è un’azione, se lo è il dire?
E: Sì.
S: E non ci è parso che le azioni non sono quello che sono in relazione a noi, ma che
abbiano di per sé una particolare natura?
E: È così.
S: E dunque non occorre dare le denominazioni così nella maniera e per la via con cui
la natura pretende che le cose siano denominate, e non nella maniera in cui vogliamo
se anche questo deve concordare con quello che si diceva prima, e così ricaveremo un
qualcosa in più e assegneremo i nomi, diversamente no?
E: Mi pare di sì.
S: Ebbene, ciò che occorre tagliare, con qualche cosa, diciamo, che occorre tagliarlo?
E: Sì.
S: E ciò che bisogna tessere, con qualche cosa bisogna tesserlo? E quello che occorre
forare, con qualche cosa occorre forarlo?
E: Ma certo. S: Ciò che bisogna denominare, occorre denominarlo con qualche cosa?
E: È così.
S: Quale è lo strumento che serve a forare? E: Il trapano. S: Quale ancora quello con
cui tessere? E: La spola.
S: Quale quello con cui denominare?
E: Il nome.
S: Dici bene. Anche il nome dunque è uno strumento.
E: Certo.
S: Se ora domandassi: “Che strumento è la spola?” Non è quello con cui tessiamo?
E: Sì.
S: E, tessendo, cosa facciamo? Non distinguiamo forse la trama e l’ordito?
E: Sì.
S: E non avrai modo di dire così anche del trapano e degli altri strumenti? E: Certo.
S: E hai modo di dire lo stesso anche del nome? Quando denominiamo attribuendo
un nome, che è uno strumento, che cosa facciamo?
E: Non so cosa rispondere.
S: Non insegniamo qualcosa gli uni agli altri e distinguiamo le cose come stanno?
E: Certo.
S: Il nome dunque è un mezzo atto per insegnare, capace di farci cogliere l’essenza
come la spola a proposito del tessuto?
E: Sì.
S: La spola è un mezzo per tessere?
E: Come no?
S: Il tessitore si servirà bene della spola, e bene vuol dire da tessitore. Così chi è atto a
insegnare si servirà bene del nome e bene vuol dire da insegnante.
E: Sì.
S: Il tessitore poi dell’opera di chi dovrà servirsi bene, quando fa uso della spola?
E: Di quella del falegname.
S: Falegname poi è chiunque o chi possiede l’arte? E: Chi possiede l’arte.
S: E chi deve fare un foro dell’opera di chi dovrà servirsi bene quando fa uso del
trapano?
E: Di quella del fabbro.
S: Fabbro poi è chiunque o chi possiede l’arte?
E: Chi possiede l’arte.
S: Bene. E il maestro dell’opera di chi dovrà servirsi bene quando fa uso del nome?
E: Neppure questo so dire.
S: Neppure questo sai dire, chi ci assegna i nomi di cui ci serviamo?
E: Proprio no.
S: Non ti sembra che sia la legge ad assegnarceli?
E: Pare di sì.
S: Il maestro dunque quando si serve del nome dovrà fare uso dell’opera del
legislatore.
E: Mi pare di sì.
S: E ti pare che legislatore sia chiunque o chi possiede l’arte? E: Chi possiede l’arte.
S: Dunque non è proprio di ogni uomo porre dei nomi, Ermogene, ma solo di chi è
artefice di nomi. E questi è, pare, il legislatore, che tra gli uomini è il più raro degli
artefici.
E: Così pare.
S: Orbene considera a cosa bada il legislatore nell’imporre i nomi, e rifletti da quanto
si è detto in precedenza – a cosa bada il falegname quando fa la spola? Non forse a un
qualcosa che per sua natura è tale da essere atto a tessere?
E: Ma certamente.
S: Dunque? Se gli si spezza la spola mentre la costruisce, ne farà un’altra guardando a
quella che gli si è spezzata, o piuttosto all’idea guardando la quale costruiva quella che
gli si è spezzata?
E: All’idea, mi sembra. S: E non potremmo chiamare quell’idea ciò che è la spola in
sé? E: Mi pare di sì.
S: Ora poiché bisogna costruire spole per tessuti leggeri o pesanti, o di lino, o di lana
o di qualunque altra specie, occorre pure che tutte abbiano l’idea della spola, e che
quale per natura risulta la più adatta per ciascun lavoro, questa natura appunto
bisogna conferire alla spola per ciascun lavoro.
E: Sì.
S: E anche per gli altri strumenti è la stessa cosa: una volta che si sia trovato lo
strumento per natura adatto a ciascun lavoro occorre riportarlo su quel materiale del
quale costruisce l’opera, non quale lo vuole lo stesso artefice ma quale si impone per
natura. Un trapano infatti che per sua natura sia adatto a fare qualunque foro, bisogna,
pare, saperlo fare in ferro.
E: Ma certo. S: E la spola che per natura sia adatta a ciascun lavoro bisogna farla in
legno.
E: È così.
S: Ciascuna spola poi, per sua natura è adatta, pare, a ogni tipo di tessuto, e così le
altre spole.
E: Sì.
S: E dunque, carissimo, anche il nome che per sua natura è adatto a ciascun oggetto
bisogna che quel legislatore sappia imprimerlo nei suoni e nelle sillabe e guardando
proprio a quello che è il nome in sé, faccia e imponga tutti i nomi se vuole essere uno
che autorevolmente pone i nomi. E anche se ciascun legislatore non lo pone nelle
stesse sillabe, non bisogna in questo essere dubbiosi: infatti neppure ogni fabbro, pur
facendo lo stesso strumento per lo stesso scopo, fa ricorso allo stesso ferro; ma
tuttavia purché renda la stessa idea, sia pure in un ferro diverso, tuttavia lo strumento
riesce bene lo stesso sia che lo costruisca qui sia tra i barbari. O non è così?
E: Ma certo.
S: Dunque, farai la stesse considerazioni per il nostro legislatore come per quello dei
barbari, finché dia l’aspetto del nome adeguato a ciascun oggetto, con le sillabe che
vuole, e il legislatore di qui non sarà affatto peggiore di quello di qualunque altro
luogo.
E: Certamente.
S: Chi dunque dovrà sapere se in un qualunque legno è stata impressa l’idea adeguata
della spola? Colui che l’ha costruita, il falegname, o chi dovrà farne uso, il tessitore?
E: E più probabile, Socrate, chi dovrà farne uso.
S: E chi dunque dovrà fare uso dell’opera del costruttore di lire? Non è forse quello
che sa ben dirigere colui che la costruisce e, una volta che sia costruita, sa riconoscere
se è stata costruita bene o no?
E: Certo.
S: Chi?
E: Il citarista.
S: E chi si servirà dell’opera del costruttore di navi?
E: Il nocchiero.
S: E chi bene potrebbe dirigere l’opera del legislatore e una volta che sia compiuta
saprebbe ben giudicarne qui e tra i barbari? Non forse chi dovrà farne uso?
E: Sì.
S: E dunque costui non è uno che sa ben interrogare?
E: Certo.
S: Ed è anche lo stesso che sa ben rispondere?
E: Sì.
S: Ma colui che sa interrogare e rispondere non lo chiamerai dialettico?
E: Sì, proprio in questo modo.
S: Opera del falegname dunque è costruire un timone sotto la direzione del nocchiero,
se timone dovrà riuscire buono.
E: È evidente.
S: È compito del legislatore dunque porre i nomi, avendo a guida un dialettico se
vorrà porre bene i nomi.
E: È così.
S: C’è ben da supporre dunque, o Ermogene, che non sia cosa di poco conto Parte centrale Atteggiamento oracolare per
l’apposizione del nome, come tu pensi, né di uomini da poco, né dei primi capitati, e analizzare in dettagli ipotesi naturalista.
dice bene Cratilo sostenendo che gli oggetti traggono i nomi dalla natura e che non
tutti sono artefici di nomi, ma soltanto colui che guarda bene quello che è per natura il
nome per ogni singolo oggetto e che è in grado di introdurne l’idea sia nelle lettere
che nelle sillabe.
E: Non so, Socrate, come si confuti quello che dici; tuttavia non è facile esserne
convinti così su due piedi, ma penso che sarei meglio persuaso da parte tua, se tu mi
mostrassi quella che sostieni essere per natura la giustezza del nome.
S: Beato il mio Ermogene, non posso proprio dirtene alcuna; ma tu hai dimenticato
quanto dicevo poco fa che non ne so nulla ma che intendo farne ricerca insieme a te.
E ora mentre stiamo conducendo la ricerca, e a me e a te questo appare chiaro
contrariamente ai punti precedenti che, il nome ha per natura una sua correttezza e
che non è da ogni uomo saper porre il nome a un qualsivoglia oggetto. O no?
E: Ma certo.
S: Dunque, dopo di ciò, occorre cercare, se desideri saperlo, quale mai sia questa sua
correttezza.
E: Desidero proprio saperlo.
S: Fanne ricerca dunque.
E: E come bisogna farla questa ricerca?
S: La maniera più diritta, amico, è che tu la conduca con quelli che se ne intendono,
pagandoli con denaro e riconoscendo loro anche gratitudine. Questi sono i sofisti, dai
quali tuo fratello Callia, pagando molto denaro, ha tratto fama di essere saggio. E
poiché tu non sei più in possesso dei beni paterni, devi insistere presso tuo fratello e
pregarlo di insegnarti la giustezza che circa questi argomenti lui ha imparato da
Protagora.
E: Sarebbe ben fuori luogo la mia preghiera, Socrate, se, mentre non accetto affatto la
“verità” di Protagora, desiderassi poi accogliere come degne di un qualche valore le
argomentazioni addotte con una tale verità.
S: Ma se neppure questo ti appaga, occorre imparare da Omero e dagli altri poeti. SECONDA PARTE. LE ETIMOLOGIE
A partire da “E: E cosa dice Omero, o
E: E cosa dice Omero, o Socrate, a proposito dei nomi e dove? Socrate, a proposito dei nomi e dove?”
Platone introduce una distinzione, che
S: In molti passi, ma in modo più profondo e più bello in quelli in cui distingue i nomi tornerà con Frege e Russell, tra lessico
che agli stessi oggetti attribuiscono gli uomini e gli dèi. Non ritieni forse che in questi fondamentale e espressioni composte. Tra
luoghi dica qualcosa di grande e di meraviglioso sulla correttezza del nomi? È chiaro nomi primi (quelli fondamentali) e nomi
infatti che gli dèi quanto alla correttezza dei nomi fanno uso proprio di quelli che
sono tali per natura, non credi? secondi (composti, derivati).
Nomi primi. Platone non tratta i suoni
singolarmente ma li ritrova nelle parole,
E: So bene anch’io che se