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BASI EPISTEMOLOGICHE DEL GARANTISMO PENALE
Il modello garantista
L'epistemologia garantista
Il diritto penale è un prodotto prevalentemente moderno; i principi su cui si basa il suo modello garantista classico sono il frutto della tradizione giuridica illuministica e liberale; essi non sono univocamente liberali. Per esempio, le filosofie utilitaristiche possono fondare una concezione della pena come minima afflizione necessaria; ma possono anche informare tecnologie penali autoritarie e antigarantiste, come quelle della prevenzione sociale indirizzate allo scopo della massima sicurezza possibile. E il positivismo giuridico, da un lato è alla base del principio di stretta legalità, dall'altro consente anche modelli penali assolutistici caratterizzati dall'assenza di limiti del potere normativo del sovrano, ed è neutrale rispetto alle altre garanzie penali e processuali. I principi formano nel loro insieme un sistema coerente e unitario.
L'unitarietà del sistema dipende dal fatto che i diversi principi garantisti si configurano come uno schema epistemologico di identificazione della devianza penale diretto ad assicurare il massimo grado di razionalità e di attendibilità del giudizio, e quindi di limitazione della potestà punitiva e di tutela della persona contro l'arbitrio. Questo schema presenta numerose aporie logiche e teoriche, che ne fanno un modello ideale e in larga parte ideologico. Prima di intraprenderne la critica e la revisione teorica, è utile delinearne gli elementi costitutivi. Questi elementi sono due: l'uno relativo alla definizione legislativa, l'altro all'accertamento giurisdizionale della devianza punibile. E corrispondono ad altrettanti insieme di garanzie: penali e processuali. Convenzionalismo penale e stretta legalità Il primo di questi elementi è il convenzionalismo penale, quale risulta dal principio di stretta legalità.equivale alla necessità che le ipotesi di devianza siano definite in modo chiaro e preciso dalla legge. Non è possibile punire un comportamento se non è stato previamente definito come reato dalla legge stessa. In sintesi, il principio di legalità nella determinazione di ciò che è punibile richiede che ci siano due condizioni: il carattere formale/legale del criterio di definizione della devianza e il carattere empirico/fattuale delle ipotesi di devianza legalmente definite. La devianza punibile è quella indicata formalmente dalla legge come presupposto necessario per l'applicazione di una pena. Questo principio si basa sulla massima "Nulla poena et nullum crimen sine lege" e "Nulla poena sine crimine et sine culpa", che sottolineano l'importanza della riserva di legge in materia penale e la necessità che i comportamenti devianti siano definiti in modo chiaro e preciso dalla legge stessa.comporta il carattere assoluto della riserva di legge penale, in forza del quale la soggezione del giudice è soltanto alla legge: solo sedotate di precisi riferimenti empirici e fattuali le definizioni legali delle ipotesi di devianza sono infatti in grado di determinare in maniera tendenzialmente principio di mera legalità esclusiva il loro campo di applicazione. Chiameremo "la riserva di legge, che è una norma rivolta ai giudici cui prescrive l'applicazione principio di stretta legalità delle leggi comunque formulata; e per designare la riserva assoluta di legge, che è una norma rivolta al legislatore cui prescrive la tassatività e la determinatezza empirica delle formulazioni legali. Il principio di stretta legalità si propone come una specifica tecnica legislativa diretta a precludere le convinzioni penali non riferite a fatti ma direttamente a persone e quindi aventi carattere "costitutivo".
ciò che è punibile. Solo regole di comportamento che istituiscono un divieto, cioè una modalità deontica il cui argomento non può che essere un'azione di cui sia logicamente possibile così l'omissione come la commissione, l'una esigibile, l'altra non necessitata e quindi imputabile alla colpa o responsabilità del suo autore. "Auctoritas, non veritas facit legem" è la massima che esprime questo fondamento convenzionalistico del diritto penale moderno e insieme il principio costitutivo del positivismo giuridico: è solo ciò che dice autoritativamente la legge che conferisce a un fenomeno rilevanza penale. E la legge può qualificare solo comportamenti empirici determinati, come tali esattamente identificabili e insieme ascrivibili alla colpevolezza di un soggetto. A questa concezione si collegano due fondamentali acquisizioni della teoria classica del diritto penale e dellaciviltà giuridica liberale. La prima è la garanzia per i cittadini di una sfera intangibile di libertà, assicurata dal fatto che essendo punibile solo ciò che è proibito dalla legge, tutto ciò che la legge non proibisce è libero/permesso. La seconda è l’uguaglianza giuridica dei cittadini davanti alla legge: le azioni/fatti possono essere descritti dalle norme quali “tipi oggettivi” di devianza e come tali previsti e provati come presupposti di uguali trattamenti penali.
Cognitivismo processuale e stretta giurisdizionalità
Il secondo elemento dell’epistemologia garantista è il cognitivismo processuale nella determinazione in concreto della devianza punibile. Riguarda quella sola parte delle pronunce giurisdizionali, costituita dalle loro “motivazioni”. Assicurato dal principio di stretta giurisdizionalità, che richiede due condizioni: la verificabilità/falsificabilità
Delle ipotesi accusatorie e la loro prova empirica in forza di procedure che ne consentano la verificazione/confutazione. Comportamenti come l'atto osceno o il vilipendio corrispondono a figure di reato "in bianco", la cui identificazione giudiziaria è rimessa, a causa dell'indeterminatezza delle loro definizioni legali, più che a prove, a valutazioni del giudice inevitabilmente discrezionali che vanificano sia il principio formalistico della legalità sia quello empiristico della fattualità. Anche il giudizio penale, oltre alla legge, abbia carattere "ri-cognitivo" delle norme e "cognitivo" dei fatti da queste regolati.
Il presupposto della pena deve essere conseguentemente la commissione di un fatto univocamente descritto e denotato come reato non solo dalla legge ma anche dalle ipotesi di accusa, onde sia provabile/smentibile giudizialmente.
Nulla poena et nulla culpa sine iudicio secondo la formula "nulla poena sine iudicio".
Occorre che le ipotesi accusatorie siano concretamente sottoposte a verificazioni ed esposte a confutazione, e risultino convalidate solo se suffragate da prove e controprove. Nullum iudicium sine probatione secondo la massima "nulla sentenza senza prova". Si capisce che il requisito della stretta giurisdizionalità suppone logicamente quello della stretta legalità; Aristotele afferma che per la soddisfazione del principio "che delle leggi ben stabilite determinassero esse stesso tutto quanto è possibile e lasciassero ai giudici il meno possibile". Ne risulta un modello teorico e normativo di processo penale come processo di cognizione o di accertamento, ove la rilevazione del fatto configurato dalla legge come reato ha il carattere di un procedimento probatorio di tipo induttivo, che esclude quanto più possibile valutazioni ed ammette solo/prevalentemente asserzioni/negazioni di cui siano predicabili la verità/falsità processuale. A proposito.della giurisdizione si rovescia Veritas, non auctoritas facit la massima hobbesiana sulla legislazione, si dirà "iudicium ius dicere ius dare". La giurisdizione infatti è e non è un'attività normativa che si distingue da ogni altra, dalla legislazione, amministrazione e attività negoziale. Se l'etica è "senza verità", una giustizia penale non arbitraria deve essere in qualche misura "con verità", cioè basata su giudizi penali prevalentemente cognitivi (in fatto) e ricognitivi (in diritto). Questa concezione cognitivistica della giurisdizione è volta ad assicurare altre due acquisizioni etico-politiche della cultura penale illuministica: Il valore della certezza nella determinazione della devianza punibile, affidata esclusivamente alla tassativa formulazione legale e giudiziaria di fattispecie generali e astratte; risulta esattamente determinata la classe delleLa separazione tra diritto e morale, e tra diritto e natura; è solo per convenzione giuridica che un determinato comportamento costituisce reato.
I modelli autoritari
L'epistemologia inquisitoria
La tradizione autoritaria è prevalentemente il frutto irriflesso e consolidato delle prassi, legislative/giurisdizionali/poliziesche. Il modello di diritto e di processo penale che ne risulta si configura come una specifica epistemologia penalistica. Essa può essere a sua volta caratterizzata sulla base di due aspetti/elementi, simmetricamente contrari ai due requisiti dell'epistemologia garantista e come questi riguardanti l'uno la definizione normativa, l'altro l'accertamento giudiziario della devianza penale.
Sostanzialismo penale e cognitivismo etico
Il primo aspetto dell'epistemologia antigarantista è la concezione ontologica/sostanzialistica della devianza.
penalmente rilevante. Oggetto di conoscenza e di trattamento penale è la devianza criminale in quanto di per sé immorale/antisociale, il reato è visto come una manifestazione contingente, sufficiente ma non sempre necessaria a giustificare la punizione. Questa idea ha avuto svariate versioni/visioni del reato: dottrine moralistiche → peccato; d. naturalistiche → segno di anormalità/patologia psico-fisica del soggetto; d. pragmatistiche e utilitaristiche → rilevanza solo se sintomo privilegiato e allarmante della pericolosità del suo autore. Queste rappresentazioni si riflettono con una svalutazione del ruolo della legge come criterio esclusivo ed esaustivo di definizione dei fatti devianti. La tecnica più diffusa è la previsione di figure di reato elastiche indeterminate, idonee a connotare in termini vaghi/valutativi modelli globali di devianza. Si danno forme ancor più radicali di svalutazione del ruolo definitorio della legge, cheapprodano alla dissoluzione dello stesso c