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Pietro Marso ci fornisce anche informazioni sul suo secondo viaggio rivolto a conseguire il diritto di
incoronare poeti nel giorno del natale di Roma. Oltre a queste notizie generiche sui viaggi si sa
poco della vita di Pomponio anche negli ultimi trenta anni, cioè nel periodo in cui tenne il suo
insegnamento allo Studium. Sappiamo che si sposò intorno al 1479 e che acquistò una casa a
Roma il 17 aprile dello stesso anno. Sono diverse le notizie relative all’ubicazione della casa e
della vigna di Pomponio e non si è certi se quest’ultima si trovasse nei paraggi della casa o lontano
e se le case fossero due. Zabughin, seguendo Sabellico, distingue la casa col giardino
sull’Esquilino, che allora includeva parte dell’attuale Quirinale, dalla vigna del Quirinale che si
sarebbe trovata nella zona dell’attuale Pincio. Sara Magister ritiene che la casa e la vigna non
fossero completamente separate, ma che costituissero un unico complesso posto nei pressi delle
terme di Costantino e probabilmente di fronte alla chiesa di San Silvestro. La vicinanza del
campicello alla casa sembra trovare una conferma nell’Elogium di Michele Ferno, quando si dice
che il discepolo Mattia avrebbe ereditato, alla morte del maestro, il campicello, la piccola casa,
pochi libri e una modesta suppellettile. Dal discepolo Mattia, erede dei beni di Pomponio, la casa
passò ad Angelo Colocci, che continuò a riunirvi gli accademici tra il 1545 e l’inizio dei Seicento, fu
proprietà di Tranquillo Ceci e della sua famiglia e passò in seguitò ad altri proprietari fino al
momento della sua demolizione avvenuta nel 1615 con le rovine delle terme di Costantino. Nella
sua casa, Pomponio aveva raccolto numerose epigrafi. Oltre alle iscrizioni vere e proprie dovevano
far parte della collezione di Pomponio altri oggetti antichi. Molto probabilmente Pomponio aveva
trovato i suoi pezzi antichi nello stesso suo terreno o durante i suoi itinerari nella città. Gli allievi
parlano della sua casa sul Quirinale: Pietro Marso la definisce ludus (scuola) e officina dicendi
(officina di eloquenza) da cui uscirono più maestri di discipline che condottieri dal cavallo di Troia.
Michele Ferno all’inizio del suo discorso ricorda la casa allietata da vari animali: i pavoni, la
cagnetta, gli uccellini; Sabellico dirà che attendeva ad allevare uccelli acquatici e da ogni parte
animali da cortile.
Sia Pietro Marso che Michele Ferno si soffermano nelle loro orazioni sui gusti e le abitudini di vita
del maestro, tra cui l’avversione per il fasto e le case dei principi, dovuta al timore di suscitare le
vendette della Fortuna e all’innato desiderio di libertà, sulla scelta di un vitto leggero e frugale, sul
suo estroso modo di vestire. Marso dice che ornava la sua casa con l’onestissima affluenza della
gioventù romana e di altri dotti. Anche Ferno dirà che disprezzò il fasto in modo da tenersi sempre
lontano dalle corti dei principi per la natura del suo carattere e per l’amore della libertà. Non risulta,
infatti, che Pomponio abbia scritto opere in cui venivano elogiate le imprese di principi o signori, ha
composto sì un’opera di carattere storico, i Caesares, che illustrava le vite di alcuni imperatori. Sia
Ferno che Sabellico descriveranno il suo modo originale di vestire, talvolta trascurato, che voleva
evocare l’abbigliamento degli antichi. Troviamo una dettagliata descrizione fisica di Pomponio nella
lettera di Sabellico che non rende certe l’immagine di una persona bella nell’aspetto. Michele
Ferno farà riferimento ad altri aspetti del suo carattere, come per esempio all’avversione per i
cortigiani, gli adulatori, i curiosi inopportuni, all’amore per le antichità di Roma e per
l’insegnamento. Riguardo alla sua passione per l’insegnamento è noto il passo in cui descrive il
maestro che si precipita, anche nei giorni più freddi e piovosi, dalla sua casa sul Quirinale nell’aula
del Ginnasio: le sue lezioni si svolgevano all’alba e la folla degli ascoltatori era tale da poter a
stento entrare all’interno dell’edificio e finiva col creare una lunga coda fuori dalla porta. L’amore
per l’antichità è ben sottolineato nel passo della lettera di Sabellico, il quale mette in evidenza
come Pomponio disdegnasse i propri tempi e come trovasse rifugio in un passato migliore.
Nell’idea di antichità rientravano naturalmente i luoghi, i monumenti, le rovine di Roma. Tra le
opere di Pomponio ce ne sono alcune che esaminano la topografia della città, come ad esempio
gli Excerpta, ossia la rielaborazione del catalogo delle quattordici regioni di Roma. È noto il passo
dell’Elogium di Ferno che ci mostra Pomponio vagare solitario tra le rovine, tutto preso dalla
passione di indagare il passato da sembrare quasi lo spirito di un defunto. Il 9 giugno del 1498,
secondo il racconto di Michele Ferno, Pomponio muore consumato da una malattia.
Parte II – L’insegnamento universitario e gli studi
Zabughin distingue nell’insegnamento di Pomponio tre periodi. Il primo va dagli anni 1469-70,
quando a Pomponio fu di nuovo attribuito ufficialmente l’insegnamento presso lo Studium dopo
l’imprigionamento, fino al 1480, quando intraprese il viaggio nell’Europa orientale. Questo primo
periodo è caratterizzato dai commenti ai poeti antichi, soprattutto epici (Lucano, Stazio, Silio Italico,
Ovidio, Virgilio, Marziale, Properzio), anche se nello stesso periodo Pomponio cura edizioni di testi
linguistico-grammaticali, come il De compendiosa doctrina di Nonio Marcello e il De lingua Latina
di Varrone (1471), e appronta una rielaborazione della sua grammatica Romulus. Il secondo
periodo abbraccia gli anni che vanno dal 1480 al 1484: gli studi di Pomponio riguardano questioni
di carattere filologico-grammaticale, come per es. il De lingua Latina di Varrone, che fu oggetto di
vari corsi tenuti allo Studium. Secondo Zabughin dovrebbe risalire a questi anni la composizione
dei manuali di grammatica: i manuali tramandati nei codici Vat. lat. 1497 (Romulus) e Vat. lat. 2793
vanno anticipati agli anni 1466-67, cioè a prima dell’imprigionamento in Castel Sant’Angelo, per cui
dei manuali noti a Zabughin (quattro in tutto: Vat. lat. 2727; Vat. lat. 1497; Vat. lat. 2793 e
l’incunabolo stampato nel 1484 a Venezia presso de Tortis) soltanto quello tramandato nella
stampa del 1484 può ascriversi al secondo periodo. Tra il 1457 e il 1458 circa sono stati composti
due opuscoli grammaticali, tramandati anonimi nel codice Marciano lat. XIV 109. La retrodatazione
di alcuni dei manuali confermerebbe un interesse più antico per le questioni grammaticali. Paola
Piacentini ha dimostrato che cinque manoscritti, tra i quali il codice di Quintiliano Vat. lat. 3378, in
base alla tipologia della scrittura e ad un esame della tradizione manoscritta risultano composti in
un periodo anteriore al 1470 e probabilmente al processo (1468). Questi codici dovevano essere
serviti allo studio personale di Pomponio che li avrebbe poi utilizzati successivamente nel corso del
suo insegnamento. Il terzo periodo, secondo la divisione di Zabughin, abbraccia gli ultimi anni, dal
1484 al 1498 (anno della morte): l’attività di Pomponio è dominata da interessi di carattere storico-
archeologico. In questi anni Pomponio progetta molto probabilmente la composizione di un’opera
storica e inizia a raccogliere il materiale che servirà alla stesura dei Caesares, cioè del Romanae
historiae compendium. Rivolto allo studio delle antiche magistrature romane è il trattatello De
magistratibus, sacerdotiis, iurispeitis, et legibus. Gli interessi topografici di Pomponio, già presenti
negli anni precedenti la congiura, si realizzano negli Excerpta, resoconto di una passeggiata
archeologica che Pomponio fece in compagnia di un allievo proveniente dal nord per le vie di
Roma, la cui composizione va posta dopo la morte di papa Sisto IV (quindi dopo il 1484). L’altra
opera di carattere archeologico-topografico è la rielaborazione del Catalogo delle quattordici
regioni di Roma, che è stata ritoccata da Pomponio nel corso degli anni con aggiunte e variazioni.
Dopo il 1486 Pomponio apportò ritocchi al testo delle Stationes Romanae Quadragesimali ieiunio,
componimento in versi in cui sono elencate le chiede che il pellegrino deve visitare durante la
Quaresima: la redazione più antica dovrebbe risalire ai primi anni del pontificato di Paolo II. Le
principali edizioni dei classici curate da Pomponio sono: Donato, Ars minor; Frontino, De aquis
urbis Romae; Nonio; Plinio, Epistolarum libri; Sallustio con una vita composta da lui; Terenzio;
Varrone, De lingua Latina; correzioni a Vitruvio. I commenti ai classici sono: Cicerone, Claudiano,
Columella, Floro, Orazio, Lucano, Marziale, Quintiliano, Stazio, Valerio Flacco, Varrone, Virgilio, un
probabile commento a Giovenale. I documenti dell’insegnamento di Pomponio sono da Zabughin
distinti in chirografi e in dictata. Il chirografo è il testo classico di cui Pomponio si serve per la
lezione, sui margini del quale lo stesso professore o gli allievi hanno apposto glosse esplicative e
correzioni al testo, aggiunge anche tra le righe. Sono invece chiamati dictata gli appunti che gli
allievi prendevano durante la lezione ascoltando la viva voce del maestro; questi venivano poi
messi insieme e finivano col costituire un documento dell’intero corso. I dictata possono essere
appunti originali o copie di originali. I primi sono caratterizzati da frequenti correzioni, parole
ripetute, omissioni che possono lasciare la frase sospesa, aggiunte in margine e in interlinea; i
secondi presentano invece un testo dall’aspetto più ordinato che rivela una stesura più tranquilla.
Quasi sempre Pomponio annotava l’argomento delle sue lezioni, a causa forse di una certa
mancanza di memoria, oltre che per una certa difficoltà nella pronuncia, per cui gli tornava utile
poter avere un punto di riferimento durante la lezione nel testo scritto: per questo ci sono rimasti
molti codici corredati dalle sue annotazioni e dai suoi emendamenti.
I codici Mazzatosta Tra i documenti del primo decennio di insegnamento ufficiale (1469-70 fino
al 1480) troviamo gli eleganti codici della serie Mazzatosta, tutti autografi di Pomponio: Lucano
(Vat. lat. 3285, databile al 1469-70), Stazio (Vat. lat. 3279 Tebaide, databile al 1470-71), Silio
Italico (Vat. lat. 3302), Ovidio (Vat. lat. 3264, Fasti). Oltre questi quattro manoscritti, fanno parte
della serie Mazzatosta il manoscritto Vat. lat. 3875 (Stazio, Selve e Achilleide) e probabilmente i
manoscritti Roma, Biblioteca Casanatense 15 (Tibullo, Properzio, Catullo) e Londra, British Libr.,
King’s 32 (Marziale) I codici di Lucano, Stazio (Tebaide), Silio Italico, Marziale sono stati rubricati
da Bartolomeo Sanvito e decorati da Gioacchino de’ Gigantibus. Questi codici sono