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Nel 1890 Bedier studia la tradizione manoscritta del lai de l’ombre con il
metodo di Lechmann e ne disegna lo stemma codicum. Paris, recensendo
il suo lavoro, sostiene la falsità dello stemma, che tutta la ricostruzione è
sbagliata; invece che derivare da due famiglie la tradizione manoscritta
del Lai deriverebbe da tre famiglie distinte.
Nel 1913 Bedier osserva che tutti gli schemi da lui copiati e conservati
non sistematicamente sono a due rami, che tutte le tradizioni arrivano ad
avere due rami soltanto.
Perché succede questo: all’inizio chi prepara un’edizione di un’opera
parte da una tradizione con più rami, ma nel momento dell’ultima
operazione trova sempre qualche motivo per arrivare a due solle famiglie,
come se volesse liberarsi dalla rigidità del sistema.
In effetti, applicando alla lettera il metodo di Lachmann, le combinazioni
sarebbero infinite.
La soluzione di Bedier è quella di non toccare il manoscritto ma di
mandarlo in stampa così com’è, correggendo solo gli errori evidenti.
3 Critica dei testi classica e romanza
Vi è il pericolo di rimanere prigionieri di una tradizione del testo
consolidata e di non cercare alternative e quindi di aggiungere solo senza
innovare.
Il Barbi studiò 396 loci critici della Divina Commedia che dovevano
servire ad esaminare numerosi testimoni.
Questo progetto però si arenò.
Il Vandelli, su suggerimento del Rajna, fece una storia delle lezioni di
ogni singolo passo dei manoscritti più antichi cosa che non portò a nulla
di importante.
Il metodo dei loci selecti porta a innumerevoli accoppiamenti e non
richiederebbe nessun concreto contributo alla qualificazione dei testimoni
nella loro interezza Questo metodo aumenta la confusine.
I critici spesso nelle introduzioni alle loro lezioni fanno riferimento
all’archetipo.
La tradizione di un testo può essere:
Quiescente si verifica soprattutto con le opere classiche greche e latine,
con le quali il copista si confronta in modo più reverenziale.
Attiva quando il copista agisce sul testo in modo attivo, ad esempio nei
testi romanzi.
4 La critica testuale come studio di strutture
Gli errori comuni parziali definiscono gli antigrafi. L’oggettività della
recensio è la vera innovazione, tanto che una lezione buona può risultare
da emandazio. La crisi del lechmannismo culmina con il famoso articolo
di Joseph Bedier su la tradition manoscrite du Lai de l’Ombre.
La sua soluzione per individuare il miglior manoscritto era non seguire
l’edizione lachmanniana. La tradizione orale differisce da quella scritta
solo quantitativamente o semmai va assimilata al comportamento di
quegli scribi che intervengono sugli errori visibili e non né lasciano
comparire alcuno.
5 Segre
Bedier ha dedicato un importante paragrafo dei suoi Commentaires sugli
errori di assonanza o del codice O.
L’ipotesi di partenza è che il copista avendo turbato lo schieramento di
assonanze regolari, abbia cercato, resosi conto dell’errore di
mimetizzarlo, fornendo un appoggio al verso con un altro della stessa
assonanza.
6 Stemmi bipartiti
Joseph Bedier osservò che gli stemmata codicum tracciati dagli editori di
testi medievali erano, nella maggioranza, a due soli rami.
Le cause di questo strano fenomeno è un’inconscia aspirazione dei
filologi a conservarsi le mani libere nella scelta delle varianti. Con tre
combinazioni sono possibili ventidue tipi semmantici.
L’unico elemento in comune ai ventidue tipi elencati dal Maas è costituito
dal fatto che i codici superstiti erano sempre tre.
Ma di combinazioni genealogiche di tre codici superstiti su un numero
imprecisato di codici originariamente esistenti ve ne sono non ventidue,
ma infinite.
A chi voglia ottenere un certo numero di copie da un manoscritto nel più
breve tempo possibile conviene far copiare il modello una sola volta, poi
far copiare contemporaneamente, da due diversi copisti il modello e la
prima copia.
Con questo procedimento, che il Castellano chiama production maximum
si possono ottenere in due unità di tempo tre copie, cinque copie, ecc…
Questo tipo di diffusione porta ad una notevole riduzione della
ramificazione iniziale dello stemma.
Il modello della production maximum si adatta molto meglio alla
pubblicazione di un’opera nuova di un autore medievale di un testo
antico.
Un’altra ipotesi è data da d’Arco Silvio Avalle. La biparticità di tanti
stemmi dipenderebbe da un procedimento di pecia embrionale: il modello
sarebbe smembrato in due parti, due copisti ne avrebbero copiato una
metà ciascuno e si sarebbero scambiate le parti, in tal modo era possibile
compiere due trascrizioni impiegando lo stesso tempo in cui un solo
copista avrebbe compiuto un’unica trascrizione.
Un altro possibile motivo di bipartizione degli stemmi ha richiamato
l’attenzione il Dain. Gli archetipi possono aver subito mutamenti nel
corso del tempo.
Se da un archetipo è stato tratto dapprima un apografo A -> poi da quel
medesimo alterato altre due copie B e C. la traduzione in realtà è a tre
rami, ma il filologo sarà portato ad attribuire le innovazioni comuni ad B
e C e a tracciare uno stemma bipartitio.
Ad accrescere la vecchia usanza di classificare i codici assiologicamente
raggruppandoli in due categorie dei Meliores e dei Deteriores.
E’ probabile che ci sia spesso limitati a trasferire la vecchia bipartizione
basata su giudizio di valore e si siano fatti discendere dall’archetipo due
apogrifi, il buono e il cattivo.
Qualche volta accanto alle due famiglie dei Meliores e dei deteriores, i
vecchi editori ne collocavano una terza, dei mixti, ma classificazioni di
questo tipo dureranno poco, perché i successivi editori finivano o per
aggregare i mixti alla famiglia dei deteriores, oppure accorgendosi che i
misti erano più o meno tutti i codici.
Ma le cause più gravi di bipartismo sono dovute alla contaminazione.
7 Filologia d’autore
i testi letterari dell’antichità classica e quelli del medioevo ci sono giunti
non in originale, ma in una o più copie il cui esame consente di risalirne
all’originale perduto.
Spesso però è difficile arrivare a conclusioni sicure perché si
contrappongono due o più lezioni ottime tanto da far nascere il dubbio
che ciascuna risalga alla penna dell’autore: può succedere che egli abbia
dato da copiare un suo componimento e che poi abbia modificato
l’esemplare; conservatosi le due copie ecco che ci troviamo di fronte a
varianti prodotte non da due copisti ma dall’autore stesso.
Es -> Era venuta nella mia mente sonetto dantesco i cui versi iniziali
presentano nella tradizione manoscritta differenze che sono attribuite a
Dante. Si parlerà di REDAZIONI diverse nel caso di entità così remote
che non ha senso confrontarle. Nel caso di un confronto si parlerà di
differenti stesure di una medesima opera.
La filologia d’autore riguarda i problemi editoriali e si esercita soprattutto
sui testi di età postmedievale, dato che da allora aumenta la quantità di
originali conservati.
Nel medioevo è raro che di un’opera letteraria siano rimasti uno o più
autografi. Eccezionale è il caso del Codice Vaticano latino 3196, venti
carte che conservano alcune testi che sarebbero entrati a far parte del
Canzoniere petrarchesco.
Nella nostra età si è diffusa l’abitudine di costituire un vero e proprio
archivio privato di carteggi, documenti personali di ogni genere con tutte
le carte accumulate in vista di un poesia, romanzo o di un saggio. Es. i
Malavoglia.
La rappresentazione lineare integrale è in sostanza un’edizione
diplomatica perché dato un manoscritto costellato di correzioni, le
varianti sono collocate nella stessa riga. Un aspetto positivo di questa
soluzione è nel fatto che il lettore acquisisce informazioni pertinenti senza
spostare gli occhi dalla riga.
8 Filologia dei testi stampa
la filologia dei testi a stampa ha tre compiti essenziali:
l’identificazione dell’operato del personale nella produzione del
- testo.
L’individuazione delle differenze all’interno di un prodotto in
- apparenza uniforme.
L’interpretazione del nesso tra la funzione meccanica e lo spirito
- umano.
Nel bilancio di un libro antico la voce carta era la più onerosa. Ciò
imponeva al tipografo un uso mirato, egli si procurava le scorte
precise e le esaminava prima di comprarne altre.
Al centro della rivoluzione gutenberghiana sta il carattere mobile, che
attraversa tre fasi di manifattura: il punzone, la matrice, il getto.
Il punzone era un fusto rettangolare in acciaio sulla cui estremità la
lettera era incisa in rilievo. Imprimendo il punzone con un colpo di
martello in un blocchettino di rame si otteneva la matrice che riceveva
il metallo fuso il quale, solidificandosi, dava vita al carattere.
Passando alla composizione e alla stampa del testo, ogni libro
attraversa quattro fasi distinte:
il manoscritto che fornisce il testo base
- l’assemblaggio del testo in metallo
- le prove di stampa e la correzione delle bozze
- la stampa definitiva
-
Così il libro antico a stampa si creava foglio per foglio, con una
correzione delle bozze spezzata, perché eseguita forma per forma, e
frettolosa per il poco tempo a disposizione.
Lo studio filologico del libro antico parte dal presupposto che gli
esemplari non siano perfettamente omogenei e pertanto bisogna
conservare e collezionare più copie per individuare varianti interne.
Nel caso shakesperiano la circostanza che rese possibile la collezione di
più esemplari fu la presenza delle 79 copie del Frist Folio radunate da
Henry Clay Folger, nella biblioteca di Washington.
Un caso esemplare è rappresentato dall’Orlando Furioso, vi sono
riscontrate 37 varianti in 11 esemplari. L’edizione è in-quarto composta
da fascicoli di 8 carte, ossi di 2 fogli stampa, uno esterno e l’altro interno,
in modo che sono necessarie 4 forme per imprimere il fascicolo completo.
Lo studio del carattere tipografico del Furioso rivela un difetto in matrice
che lascia un codino su alcune r minuscole.
Il filologo ha il dovere di capire perché e quando il testo fu ricomposto.
Le cause possibili sono essenzialmente 4:
un aumento della tiratura dopo l’inizio della stampa del libro;
1) un incidente al torchio oppure un errore nel conteggio;
2) la correzione di una lezione inaccettabile;
3) la rinfrescatura di un’edizione vecchia con la stampa.<