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In relazione ai manoscritti l'originale è il testo autografo o idiografo da cui deriva tutta la tradizione;
analogamente si può considerare “originale” una stampa eseguita sotto il controllo diretto dell'autore. Se
l'originale è perduto, l'edizione critica è un'operazione di restauro che mira a riportare il testo a una forma il
più vicino possibile a quella corrispondente alla volontà dell'autore.
La relazione che corre tra il testo critico (= Tc) e l'originale (= O) si può rappresentare da uno schema del tipo
“Tc → O” che descrive il testo critico come un'entità che tende ad approssimarsi all'originale, ma che
non può mai coincidere con esso, sia perché in sua assenza si lavora su copie e nessuna copia è mai
assolutamente fedele al modello, sia anche perché l'originale ha di per sé uno statuto incerto. Anzitutto è sempre
una prima copia e come tale può contenere errori, per cui anche quando si conserva non è detto che rappresenti
integralmente la volontà dell'autore.
La volontà dell'autore, cioè ciò che l'originale fisicamente rappresenta, è infatti un riferimento dinamico e non
statico. La creazione letteraria, infatti, è un processo a cui è per lo più una ragione esterna a mettere la parola
fine. Il rapporto tra lo scrittore e il testo raramente si chiude in maniera definitiva. Se alla prima edizione ne
seguono altre curate dall'autore, il processo creativo in genere riprende. Questo fa sì che in relazione a un testo
possono darsi non una ma più volontà successive. Di norma è l'ultima quella a cui ci si riferisce, ma potrebbero
anche esservi ragioni particolari che inducano a una scelta diversa. Dunque uno stesso testo può avere non uno
ma più originali.
Naturalmente ci sono anche testi a cui l'autore ha messo davvero la parola fine, come nel caso dei “Promessi
Sposi” di Manzoni. In questo caso, quello che si dice essere il testo definitivo è affidato comunque a un
documento esistente. Le cose si complicano quando, in assenza di autografi o di edizioni a stampa redatte o
pubblicate sotto il controllo dell'autore, varianti appartenenti a redazioni differenti dello stesso testo, dunque a
originali diversi, si confondono nelle copie.
• Testi non autorizzati
L'originale si configura dunque quando l'autore ritiene concluso il processo creativo e decide di rendere
pubblico il testo. Se questa volontà non è stata mai espressa e nonostante ciò il testo, per l'autore ancora
provvisorio, viene messo in circolazione contro la sua volontà, esiste un originale? Ad esempio, si potrebbe
sostenere che l'originale dell'Eneide non sia mai esistito in quanto morto l'autore, Augusto ordinò che l'opera
fosse raccolta e pubblicata. L'Eneide può essere di fatto classificata come un testo non finito. Rientrano in un
certo senso nella stessa tipologia anche i testi privati, cioè quei testi che l'autore ha scritto a suo uso, come
appunti o diari, o per un particolare e unico destinatario, come una lettera: dunque non per la pubblicazione. Il
rispetto della volontà dell'autore di non pubblicare il contenuto di quel manoscritto confligge con il nostro
diritto a non essere privati di un testo di straordinaria importanza culturale e letteraria, oltre che umana. Sarà
la filologia a surrogare la funzione dell'autore, a tradurre cioè in libro quello che l'autore non aveva mai
concepito come tale.
La ricostruzione dell'originale costituisce la finalità dell'edizione critica. Ma l'incertezza del suo statuto
definisce nello stesso tempo un obiettivo dai contorni sfumati, talora neppure segnati. L'operare filologico
consisterà nel trovare empiricamente e con la maggiore coerenza possibile la soluzione più logica,
argomentando le proprie ipotesi sulla base dei dati disponibili, nella consapevolezza dell'incertezza e
provvisorietà dei risultati.
• Il testo corrente
L'originalità del testo resta in filologia un valore primario. Leggere un testo nella forma voluta dall'autore è
un'esigenza da tutti condivisa. Accade che alcuni testi si siano letti o si continuino a leggere così come trasmessi
inerzialmente dalla tradizione. Quando si danno queste condizioni al testo si dà il nome di vulgata. Nel
costituirsi di una vulgata ci sono in genere ragioni storiche, non scientifiche. La Vulgata per antonomasia è la
traduzione latina della Bibbia, realizzata da san Girolamo nel V secolo, che fino al Concilio ecumenico
Vaticano II è stata per la Chiesa cattolica il testo ufficiale dell'Antico e Nuovo Testamento.
Le vulgate hanno sempre un rilevante valore storico, non sono perciò mai trascurabili. Oltre alla dimensione
autoriale del testo esiste infatti quella che riguarda la sua ricezione. Se per secoli un autore, ad esempio Dante,
è stato letto in una certa forma, per quanto questa forma fosse lontana dall'originale, è con quel testo che gli
altri autori, oltre che i lettori, hanno fatto a lungo i conti. Sono state presente vive sempre, hanno influenzato
spesso in maniera decisiva gli autori di tutti i secoli avvenire. Le vulgate possono rappresentare dunque fasi
importanti della storia di un testo, che la filologia non può trascurare quasi fosse materiale di scarto.
La Copia
Prima dell'invenzione della stampa la trasmissione del testo avveniva mediante copiatura manuale. Quella del
copista era una vera e propria professione. Richiedeva, oltre all'ovvia padronanza della lettura e della scrittura,
delle abilità specifiche che riguardavano, ad esempio, l'arte di realizzare uno stile grafico coerente o di
progettare un'accettabile messa in pagina del testo. –
Nel Trecento e Quattrocento erano attivi nelle principali città centri scrittori legati a istituzioni conventi,
–
capitoli di cattedrali, università ma ne esistevano anche di privati, organizzati come botteghe artigiane.
Negli ultimi decenni del XV secolo, quando la stampa era già capillarmente diffusa, lettori ricchi ed esigenti
rifiutavano di riconoscere un posto d'onore nella propria biblioteca a libri prodotti con la nuova arte meccanica,
giudicati rozzi a paragone dei bei pergamenacei scritti in elegante umanistica e decorati finemente con vivaci
miniature policrome. Ma i testi volgari viaggiavano in prevalenza su canali più modesti. Il più largo bacino
d'utenza e la conseguente maggiore richiesta di letteratura in volgare induceva al “fai da te”. Chiunque avesse
una pratica sufficiente della scrittura poteva confezionarsi il libro che amava possedere. I testi si trasmettevano
così, passando di mano in mano, di copia in copia. È attraverso passaggi di copia che la tradizione si costituisce
e purtroppo il testo si corrompe. Conoscere dunque come il copista lavorava, a quali inconvenienti il suo lavoro
poteva dar luogo, è fondamentale per compiere quel cammino a ritroso nella tradizione che ha come mira le
restituzione del testo alla supposta forma originaria.
• Fenomenologia della copia
Il copiare comporta un aspetto mentale e uno materiale. Come ogni lavoro che richiede attenzione e precisione,
contano le condizioni del momento: l'illuminazione, lo stato della vista, la stanchezza hanno incidenza sulla
resa qualitativa del lavoro, ma contano anche la cultura, l'origine geografica, le motivazioni personali.
L'atto del copiare si realizza per tratti progressivi di testo più o meno brevi. L'operazione è scomponibile in
una successione istantanea di atti, e ad ognuna di queste fasi possono essere imputati degli accidenti che
alterano il testo:
(a) Lettura del modello
L'atto del copiare non avviene parola per parola. La prima operazione è quella di leggere dall'esemplare una stringa di
testo costituita di più parole. Noi, tuttavia, non percepiamo con l'occhio analiticamente tutti i grafemi che costituiscono
la parola, ma solo due-tre-quattro di essi, e ricostruiamo mentalmente il resto sulla base del contesto. Si ingenerano in
questa fase errori di lettura. Può indurre a una cattiva lettura una grafia poco chiara, ma conta anche il momentaneo
stato psicofisico del copista, la sua cultura. A seconda dello stile grafico della fonte possono nascere equivoci nella lettura
di certe lettere o di altre. L'errore può anche nascere dall'errato scioglimento di un'abbreviatura. Questi sono detti errori
di origine paleografica. Invece gli errori che riguardano la soggettività del copista riguardano in generale la tendenza a
modificare che va dal meno noto al più noto, dal raro all'usuale, dal difficile al facile. Gli errori di lettura sono quasi
sempre classificabili come banalizzazioni. Esse sono sempre il risultato di un'interferenza fra la cultura del copista e
quella dell'autore. Questo meccanismo è fondamentale quando si è chiamati a scegliere fra due varianti di cui una ovvia,
concettualmente debole e un'altra non comune, più significativa.
(b) Memorizzazione
Questo passaggio richiede la necessità di mandare a memoria una porzione di testo. Anche in questa fase
possono intervenire processi ti banalizzazione. Ma gli errori specifici di questo passaggio riguardano per lo
più l'omissione di parole brevi, soprattutto se sintatticamente deboli.
(c) Dettato interiore
La lettura di una pericope consiste in un'acquisizione visiva che nel momento della sua memorizzazione viene
tradotta mentalmente in una rappresentazione acustica, prima che la mano la trasformi nuovamente in
rappresentazione visiva sulla pagina. Questo passaggio mette in gioco le abitudini di pronuncia del copista: nel
passaggio dalla memorizzazione visiva alla dettatura interiore il suono si può trasformare. Si produce quindi
un'alterazione fonetica del testo.
(d) Esecuzione
Nella fase di scrittura possono avvenire salti o duplicazioni di lettere o di sillabe, fusioni di parole.
(e) Ritorno al modello
Dopo aver trasferito sulla carta la porzione di testo letta e memorizzata, nel ritornare alla pagina da cui si copia
si cerca con l'occhio l'ultima parola trascritta. Se poco più avanti rispetto al punto in cui si era giunti è ripetuta
la stessa parola o una a essa molto simile, può avvenire che si riprenda dalla seconda e non dalla prima a cui
ci si era fermati. In questo modo si salta la porzione di testo compresa fra le due parole identiche o quasi
au même, cioè “salto dallo stesso allo stesso”.
identiche. Questo errore è detto saut du même
• Classificazione degli errori detti “trascorsi di penna” o lapsus calami.
Ognuno di noi scrivendo commette piccoli errori, ch