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NA S C ITA E SV ILU PPO D ELLO S PA Z I O MODERNO

Pro spet ti va e tipog rafi a

1.

Abbiamo già osservato che alle origini dell’età moderna troviamo un’omologia tra un’invenzione della cultura materiale e

un’istituzione situabile all’incrocio di diverse aree disciplinari del sapere o della cultura alta, propria dei vari sistemi simbolici.

L’una è la stampa a caratteri mobili (1450, Gutenberg), l’altra è la prospettiva. Lo studioso che con più lucidità ha indicato una

tale convergenza è stato Erwin Panofsky, mentre sul primo punto ha indagato McLuhan. Non è certo un caso che l’omologia

interna all’ambito del sapere sia stata avvistata assai prima dell’altra.

La prima teorizzazione della prospettiva fondata sulla piramide ottica è di Alberti, dunque con

Trattato della pittura,1435,

qualche anticipo sull’invenzione di Gutenberg: sfasatura che giunge opportuna, perché ci permette di ribadire come alla

tecnologia non spetti un ruolo deterministico. La similitudine dei vasi comunicanti consente di attribuire ad ogni ambito una

dignità alla pari, anche se ai vasi di più vasto diametro spetta un maggior grado di responsabilità.

L’Alberti spiega che la piramide risulta dai “razzi”, fili sottilissimi che legano l’oggetto all’occhio, che per questo deve essere

ridotto a una cuspide, contratto in una dimensione puntuativa. Nasce così la nozione del punto di vista, che violenta la

fisiologia e la psicologia della percezione, poiché questa è binoculare, e si vale di fori d’apertura (le pupille con la loro varia

graduabilità) tutt’altro che puntiformi. Inoltre compare anche l’altra esigenza di bloccare il tempo e il movimento.

La piramide costituisce ancor una realtà naturale o fisiologica. Perché si passi all’ambito artificiale occorre, spiega Alberti, una

“intersegazione, un piano quadrangolare che cali nella piramide raccogliendo così sulla sua superficie un’immagine

dell’oggetto, un suo simulacro. Alberti consiglia all’artista di avvalersi di un velo trasparente, meglio se quadrettato. Appare già

insomma la concezione di una misurabilità dello spazio affidata a quelli che si diranno gli assi cartesiani.

e il velo ha una sua realtà fisica e il farne uso corrisponde a una tecnica operativa, l’Alberti si affretta a indicare un suo

equivalente di natura più contemplativa; esso infatti funziona come una finestra aperta sulla realtà, il che del resto ribadisce

l’intervento del taglio quadrangolare. Com’è noto, la concezione della finestra aperta sarà poi la bestia nera di tutte le forme

simboliche dello spazio nate in età contemporanea, proprio perché essa si fonda su una interpretazione riduttiva della

percezione (puntuativa, monoculare, statica, istantanea). Evidentemente per Alberti l’arte è sinonimo di tecnica.

Solo che, rispetto alla fotografia, il processo di Alberti si situa interamente nello spazio esterno all’occhio. Per avere il

procedimento della fotografia basta trasferire la piramide dentro l’occhio, mostrare che essa si disegna nello spazio tra la pupilla

e la retina, secondo il fenomeno della camera oscura: i raggi filtrano attraverso un pertugio e vanno a colpire la superficie

interna della camera, opposta al foro d’entrata, dove tracciano un’immagine dell’oggetto virtuale e capovolta. L’unitarietà del

processo che dall’Alberti porta fino alla fotografia del XIX sec è un asse portate della modernità.

Panofsky trae tutte le conseguenze dell’istituzione della prospettiva a livello del sapere; dimostra come in tal modo sorga una

concezione fondata sulla rigorosa omogeneità dello spazio, fatto di punti che si estendono in ciascuna delle tre dimensioni

(isotropia); spazio quantitativo e non più qualitativo, dove cioè non valgono più alto e basso, sinistra e destra, zone focali o

sfocate. Ogni punto è ora determinato da tre misure oggettive riportabili sui tre assi (cartesiani). Non gli sfugge l’obiezione che

la geometria piana basata su punto, linea e superficie era già stata istituita dall’antichità grazie a Euclide; ma in quel ciclo

culturale non si era mai riusciti a trasferirla sul piano tecnico, a farne il fulcro di un sistema rappresentativo coerente e unitario.

Il compito di McLuhan è invece inseguire più arrischiate omologie tra un’istituzione mentale-teorica (o pratica, ma per oggetti

pur sempre simbolici come disegni e dipinti) e una macchina tecnologica, la stampa. Quali le corrispondenze funzionali?

a) La stampa accentua la diffusione della cioè di una superficie quadrangolare piana, facendone il

corrispondenze materiali. pagina,

supporto privilegiato; così come nel settore simbolico delle arti visive il supporto privilegiato diventerà il quadro.

b) i (staccati tra loro, a differenza dei segni continui della grafia manuale) e in formati standard.

caratteri a stampa sono discreti

Risultano così omologhi ai punti. I caratteri si collocano entro una gabbia tipografica che a sua volta conferma la normalità

dello schema rettangolare.

c) la della pagina: è necessario assumere una distanza prospettica, investirla con un fascio di

terza dimensione nasce con la lettura

raggi, cercando di neutralizzare il carattere binoculare della percezione, avvicinandola a una costituzione monoculare e

puntuativa. L’esercizio della lettura di pagine è favorevole allo stabilirsi del punto di vista, è una pratica capace di imporre con

paziente azione subliminale, quella che altrimenti resterebbe solo una alta costruzione teorica del sapere.

U n a i n v ari ant e del l ’e tà mo de r n a

2.

Nata la grande istituzione della prospettiva, resta da constatarne la continuità e permanenza.

Il suo processo di destituzione inizia con Cézanne. Significa che nel pari arco di tempo non si sono avuto rivoluzioni

tecnologiche clamorose. Occorre però precisare che la tecnologia gutenberghiana è scindibile in due fasi: dove il ruolo

prima,

trainante è svolto da una tecnologia dell’ambito delle comunicazioni (il libro), e non in quello della produzione (che resta

artigianale) e della locomozione (che resta animale); con la rivoluzione tecnologica dell’energia termica.

seconda,

Come si spiega che una tale rivoluzione non abbia trovato un corrispettivo nell’ambito delle forme simboliche visive, non abbia

portato cioè a mutamenti del modello della piramide rovesciata? Un ipotesi è fatta da McLuhan: le due tecnologie, quella di

specie informativa della stampa e quella di produttiva e di locomozione della macchina a vapore, siano tra loro omologhe. I

medesimi schemi razionali, i medesimi contenitori geometrici euclidei intervengono in entrambe.

Questa constatazione suona a maggior gloria del fattore tecnologico, ma anche a sua limitazione quanto a capacità euristica.

Che esso impronti di sé ben quattro secoli ne conferma l’importanza, ma lo neutralizza, lo tramuta in una invariante, gli fa

perdere potere illuminante. Ciò interviene a rettifica circa la presunta onnipotenza dello strato culturale-materiale, a scongiuro

verso i rischi del determinismo: le omologie tra tecnologia e cultura alta ci sono quando ci sono; non si tratta insomma di

trovare dei corrispettivi tra l’un ambito e l’altro ad ogni passo, in modo ingenuamente meccanici e speculativi.

Come allora animare un plesso storico così vasto, ben 4 secoli di storia dell’Occidente, tra i più creativi? Scattano i fattori degli

altri due piani: le correlazioni tra le varie discipline e i movimenti interni al solo ambito delle arti; acquistano peso le variabili

degli altri due livelli.

McLuhan fa riflettere sugli sfasamenti tra la data d’introduzione di una nuova tecnologia e la sua assimilazione a livello di

abitudini psicologiche e sensoriali. Un caso è quello dell’invenzione gutenberghiana e del suo anticipo dal parte della

prospettiva: una prontezza di rispondenza che si spiega forse col fatto che entrambi i ritrovati sono di natura tecnica. Ma l’uomo

tale cioè da aver introiettato le conseguenze alto-culturali di questa rivoluzione fino a darsi una logica e una

tipografico,

psicologia adeguate, ci metterà parecchi decenni prima di nascere: la tipografia, col suo potenziale analitico-meccanico, fa i

primi quassi quando viceversa l’Umanesimo celebra i suoi fasti invocando la rifioritura della retorica, dell’eloquenza, del sapere

fondato sull’uomo secondo una concezione antropocentrica. La prospettiva non può non riflettere tutto questo, e così, nell’uso

che ne fanno le prime generazioni del ‘400 (Masaccio, Beato Angelico, Paolo Uccello, Filippo Lippi, Domenico Veneziano, i

“nati attorno al 1400”), essa è sancita a livello mentale, volontaristico, ma non assecondata nelle sue conseguenze logiche (già

l’Alberti nota che i raggi si indeboliscono man mano che si allontanano dall’oggetto, con l’atmosfera): l’effetto di lontananza è

lucidamente amministrato, da questi teorici orgogliosi del loro sapere matematico appena conquistato, ma in modo da non

infiammare la forza del disegno, l’esibizione dell’attore umano, padrone del cosmo.

Né il discorso cambia per le due generazioni successive, i nati attorno nel ’20-’30 (Piero della Francesca, Andrea del Castagno,

Pollaiolo, Verrocchio, Giambellino, Antonello da Messina, Crivelli, Mantegna, Cosmé Tura) e i nati nel ’40-’60 (Botticelli,

Signorelli, Ghirlandaio, Perugino, Pinturicchio). Il che ci consente di ribadire che non è detto che una generazione debba

rompere rispetto a quelle precedenti, spesso ha il compito di continuqre e normalizzare.

Gi o r g i o Vasari e le t re “ man i e re ”

3.

Non di rado da una generazione cui sembra spettare un ruolo normalizzate o di accentuazione quantitativa, emerge il

rinnovatore. Fu così Cézanne, per Leonardo (che segna un primo grande passo di adeguamento tra la pratica e lo spirito della

prospettiva: con lui finisce il primato del disegno e subentra la prospettiva aerea, che tiene conto del senso dell’aria, lo

“sfumato”). Una simile rivoluzione trova delle corrispondenze omologiche interdiscilplinari. Segna la fine

dell’antropocentrismo, il delinearsi di una concezione cosmocentrica pre-galileiana; e a livello di facoltà logiche, l’incipiente

sfortuna della retorica (Leonardo si compiaceva di essere “omo senza lettere”) a vantaggio della ragione analitica.

Ma accanto a queste conseguenze interdisciplinari sono più vistose le altre inerenti a una mera storia di stili. Lo spettacolare

mutamento fu teorizzato da due studiosi che si possono considerare l’uno come il primo cultore della fenomenologia degli s

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Publisher
A.A. 2017-2018
12 pagine
4 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher crptch di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fenomenologia delle arti contemporanee e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Grandi Silvia.