vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
L’epica si basa sul senso comunitario, sia gli autori che gli ascoltatori sono parte di una “coralità”
condivisa. Il romanzo è individuale, lo scrittore scrive in solitudine, il lettore altrettanto nutrendosi
nel mentre di un’esperienza individuale. La modernità, abbandonando l’epica per il romanzo, ha
perso la capacità di scambiare esperienze, scompaiono dunque arte del narrare e trasmissione di
saggezza. Allo stesso tempo possiamo vedere come il romanzo si sta sempre di più avvicinando
all’epica: eroi dei fumetti, saga di Harry Potter, ovvero un universo narrativo dove si uniscono
frammenti di epica contemporanea dando forme a “iper-romanzi”, sistemi narrativi complessi e
corali costituiti dal montaggio e un intreccio di miriadi di informazioni. Oggigiorno questi e altri
oggetti narrativi si espandono e si allargano in forme di narrazione transmediale: non solo i
racconti si estendono per diversi romanzi o stagioni televisive, film, ma si muovono agevolmente
da una piattaforma a un’altra e da un canale di distribuzione all’altro. Non si tratta di “traduzioni” di
un racconto su diverse piattaforme e canali ma di “un’espansione” in parti e sviluppi differenti
coerentemente ordinati e organizzati in un universo narrativo complesso ma unitario. Non a caso si
parla di franchise nei media nel mondo contemporaneo, ovvero marchi che rappresentano interi
mondi narrativi. Parliamo anche dell’epica nel quotidiano, di soggetti comuni (“eroi”) che affrontano
piccole e grandi esperienze, come gli sportivi o anche coloro che partecipano ai reality show, dove
la grande ritualizzazione drammaturgica, rende il pubblico e i giudici come divinità con il controllo.
L’importanza del ritorno dell’epica nella modernità è il suo essere autoconclusiva, totalizzante e
coerente: il suo essere attraversata da grandi racconti trasversali, linee di forza che ne mettono in
scena le dinamiche alla altrimenti incontrollata e insensata proliferazione di pratiche e dispositivi.
4. Breve storia dell’artificiale
Abbiamo detto come i media nascono all’interno della cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”,
un’epoca caratterizzata da profonde trasfigurazioni tecnologiche e sociali. Qui vediamo come
l’individuo entra in contatto con dispositivi e macchinari che lo fanno uscire dal suo campo
quotidiano e lo portano a ristrutturare le condizioni e le forme dell’esperienza; questa si fa più
rapida, veloce e sfuggente, frammentata e discontinua. Si ha quindi una netta opposizione tra
naturale e artificiale, due condizioni esperienziali opposte e incommensurabili. La tecnologia entra
sempre più radicalmente nelle esperienze di tutti i giorni, nell’intimo dell’individuo, dando vita a
molti racconti distopici in cui viene riportato questo mondo inquieto e talvolta angosciato, della
perdita dell’autenticità e di radicamento del soggetto. Tra la seconda metà dell’ottocento e la fine
del novecento, questa opposizioni si incomincia a sviluppare, determinando le relazioni tra oggetti
e dispositivi tecnologici. I media quindi hanno costituito lo spazio di negoziazione della relazione
tra le possibilità naturali soggetto e l’artificialità dei dispositivi che ne ospitano la presenza vivente.
Con gli ultimi decenni del novecento, la tecnologia abbandona lo spiegamento di una potenza
percepibile all’interno degli spazi sociali, diventa invisibile e impercettibile, non si riesce a
distinguere tra le varie interazioni, portando alla vaporizzazione dell’opposizione di artificiale e
naturale quale strumento culturale pertinente all’interpretazione dell’esperienza.
L’epos della soggettivazione
2. First person shot
Il first person shot è una “iper-soggettiva”, dove troviamo una trascrizione immediata di
un’esperienza soggettiva del mondo e la relazione di simbiosi e ibridazione tra un soggetto umano
e una macchina da ripresa. Infatti la soggettiva è utilizzato nel cinema per darci il punto di vista di
un personaggio, noi guardiamo ciò che fa lui e ci muoviamo quando si muove lui; invece la first
person shot è l’unione del nostro sguardo con quello di chi sta vedendo ma con l’unione di un
dispositivo mediale, un esempio è lo spot di Google che fu lanciato nel 2012 (One day) che ci
mostra l’utilizzo dei Google Glass. Questa tipologia di girare le cose è una figura espressiva
radicalmente postmediale, in quanto deriva dalla interazione di dispositivi e inoltre è espressione
della soggettivazione dell’esperienza.
3. Piccola archeologia del first person shot
Il first person shot deriva da sei grandi innovazioni tecnologiche che dall’inizio degli anni ottanta
hanno investito il panorama della comunicazione e varie pratiche sociali. La prima innovazione fu
l’avvento della steadicam, una macchina di ripresa cinematografica e televisiva fissata al corpo
dell’operatore che garantisce una ripresa fluida e stabile. Fu introdotta nel 1975, negli anni ottanta
fu molto utilizzata ma soprattutto negli anni novanta, nelle serie televisive, fu sfruttata al massimo
poiché permetteva i movimenti anche in spazi angusti. La seconda innovazione è l’avvento delle
videocamere digitali portatili all’inizio degli anni novanta: utilizzata molto per riprendere la realtà
con i documentari o mockumentary (film di fiction che si presentano come documenti), ma con il
tempo si avvicinano alla cinematografia vera e propria con film dìazione, bellici o anche reality
show e video prodotti per il web. Una terza innovazione fu la possibilità di miniaturizzare le
videocamere come la helmet camera (per gare di motociclismo), le combat cameras (documentare
azioni belliche), microcamere ad alta definizione tipo le GoPro, quelle dei droni, dei telefoni etc..
Questi metodi di ripresa sono divulgati soprattutto tramite web, sono riprese “casalinghe” di
combattimenti bellici, gare ciclistiche, incidenti ripresi col telefono… La quarta innovazione fu lo
sviluppo del video digitale dal punto di vista di video di sorveglianza e di controllo che negli anni
novanta si sviluppano notevolmente, diventando sempre più precise ed economiche; vengono
usate sempre di più per sorvegliare luoghi pubblici, eventi, ma anche azioni legate più al
quotidiano come le telecamere sulle macchine per le manovre assistite o quelle ad infrarossi per la
visione notturna. La quinta innovazione fu la realtà virtuale che negli anni Ottanta sembrò essere la
grande e decisiva innovazione digitale che nel decennio successivo fu oscurata dal World Wide
Web. Solo nel 2014 rientrò sul mercato a gamba tesa proponendo realtà virtuali incredibili
soprattutto nel campo videoludico ma anche in quello bellico per esercitazioni di combattimento.
L’ultima innovazione furono i videogiochi giocabili in prima persona, dove il giocatore può entrare in
prima persona nel mondo diegetico non vedendo il corpo intero ma solo le ciò che lo circonda. Il
personaggio viene chiamato “avatar” e inizialmente i tre giochi principali erano gli shooters (dove si
sparava agli avversari), i vehicle (gare di automobili, moto…) e simulators. Col tempo divennero
sempre di più unendo avventura, azione, guerra, battaglie e strategia.
4. Una figura postmediale
Possiamo dire quindi che il first person shot, in quanto trascrizione immediata di una esperienza
soggettiva derivante dalla intima cooperazione di un corpo e di una macchina, nasce dalla
sovrapposizione di tre logiche di sviluppo dei dispositivi di ripresa: la loro dinamizzazione, la loro
miniaturizzazione e portabilità, e infine la loro virtualizzazione. Il loro sviluppo e diffusione non
deriva dagli sviluppi di un unico mezzo, ma dalla complessa e caotica serie di scambi, citazioni e
rimodulazioni che coinvolge praticamente ogni istituzione e apparato sociale, sia mediale che non.
5. Un epos del divenire
La first person shot si sviluppa così ampliamente e riceve così tanto apprezzamento perché
incarna il second grande epos della condizione postmediale, ovvero la soggettivazione
dell’esperienza. Innanzitutto, essa pome al centro dell’attenzione un’idea di esperienza vissuta,
sperimentata “on-line” e in secondo luogo, ci racconta che il soggetto nell’atto di fare esperienza
costituisce se stesso in modo dinamico e interattivo. Il soggetto così si racconta e nello stesso
momento prova su se stesso le esperienze, facendone prova agli altri e fruitore in prima persona.
L’epos della socializzazione
3. Esseri socievoli
Arriviamo così al terzo epos che attraversa la condizione postmediale, ovvero l’epos della
socializzazione. Dobbiamo dire che la società esisteva già prima e indipendentemente dai media,
era uno spazio fisico di convivenza la cui condivisione assicurava l’appartenenza a una comunità
di razza, valori, cultura, affetti… In questo contesto i media vengono percepiti come potenti
strumenti di influenza, capaci di interagire con le reti di comunicazione interpersonale e di
plasmare in tal modo opinioni e mentalità dei soggetti sociali: molti studi appunto si occupano degli
effetti dei media sulla società, sia che essi emergano nelle opinioni e nei comportamenti sociali, sia
che si esprimano nelle trasformazioni culturali, ideologiche e linguistiche dei gruppi sociali
nazionali. In alcuni casi, dunque, i media sono visti come strumenti di stabilizzazione di
comportamenti, identità e culture (tipo rappresentazioni di alcune culture ad esempio quella
americana nei film western…) oppure vengono visti anche come strumenti di evoluzione sociale
(ad esempio sono artefici delle modifiche nella società del secondo dopoguerra soprattutto nei
modelli di abbigliamento, comportamento e orientamento dei valori dei giovani). La cosiddetta
“società delle reti” sovrappone e sostituisce ai territori fisici si socializzazione, dove appunto
entrare in contatto e creare relazioni con gli altri, degli spazi virtuali in cui svolgono i giochi di ruolo
on line, navigazione sui social che collegano tutto il mondo o anche organizzazione di aziende,
software… Quindi non dobbiamo contrapporre da un lato la società e dall’altro i media, ma
all’interno del nostro panorama odierno possiamo dire che le reti di comunicazione sono i nuovi
dispositivi di costituzione della società. I social media mettono in evidenzia l’aspetto della
“socievolezza” ovvero il puro sentire di stare insieme, di operare insieme, di condividere e stringere
legami fiduciari; vediamo crescere ogni giorno sotto i nostri occhi delle microsocietà (nei film con
squadre di supereroi, nelle comunità videoludiche online, nei consumatori di un brand…). Esse<