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6. IL NOME DELLE PERSONE

A partire dal 45 a.C. ufficialmente l’onomastica completa di un cittadino romano maschio libero di

tria nomina

nascita si articolava nei (praenomen, nomen, cognomen), integrati dall’indicazione del nome del

padre e dall’indicazione della tribù, cui si era stati ascritti.

Il prenome In origine era il nome personale del cittadino romano; questi, col tempo, non furono più

adoperati come prenomi, ma si trasformarono in gentilizi o in cognomi. Dal III secolo a.C. si affermò l’uso di

impiegare un ristretto numero di prenomi in forma abbreviata. Quelli che godettero di maggiore diffusione

sono Caius, Lucius, Marcus, Publius, Quintus, Sextus, Titus e nel I secolo d.C. Tiberius. Il nuovo nato riceveva

il prenome nove giorni dopo la nascita, ma lo assumeva ufficialmente solo quando prendeva la toga virilis,

anche se, nell’uso pratico, si impiegava prima di quel momento. Talora, per i bambini, al posto del prenome

si poteva usare la parola pupus, abbreviata PVP. Le bambine ricevevano il prenome dopo otto giorni, ma le

donne lo usavano solo in ambito famigliare o in contesti non ufficiali, poiché non vi era alcuna necessità di

distinguere ufficialmente una donna dall’altra, dal momento che erano tenute lontane dalla vita pubblica. Se

vi era qualche necessità di identificarle, la distinzione era fatta in base all’indicazione del nome del padre e/o

del marito; oppure, nel caso di sorelle, con maior, minor o con altri aggettivi indicanti l’ordine di nascita.

Il nome o gentilizio Indica la famiglia di appartenenza dell’individuo e designa tutti i membri di una

medesima gens; si trasmette dal padre ai figli, sia ai maschi sia alle femmine, che, sposandosi, lo conservano.

Nel caso in cui marito e moglie abbiano lo stesso gentilizio, si deve pensare a un matrimonio fra due liberti

dello stesso padrone, oppure che uno dei due coniugi fosse un liberto dell’altro, oppure che fra i due

intercorresse un grado di parentela tale da consentire il matrimonio secondo le leggi romane. In origine era

un aggettivo formato dal nome del padre con l’aggiunta del suffisso -ius (Quintius = figlio di Quintus), talora

abbreviato in -i, soprattutto in età repubblicana. I gentilizi più frequenti sono quelli tipici delle grandi famiglie

e degli imperatori: la loro diffusione fu favorita dal grande numero dei loro liberti e dal fatto che i soldati e

gli stranieri che ottenevano la cittadinanza romana prendevano il gentilizio del magistrato o dell’imperatore

che aveva loro concesso tale beneficio.

La filiazione o patronimico I cittadini romani nati da genitori liberi, indicavano la loro condizione giuridica

inserendo dopo il gentilizio il prenome del padre in caso genitivo, seguito dal sostantivo filius/a, abbreviato

FIL. Gli appartenenti a famiglie illustri, spesso dopo il prenome del padre ponevano anche quello del nonno,

seguito dalla sigla N (nepos) e persino del bisnonno, con la sigla ABN (abnepos). Per i figli nati da una donna

libera, ma al di fuori di nozze legittime e quindi giuridicamente senza padre, si formava il patronimico con il

prenome del nonno materno, oppure si ricorreva alla formula Spuri filius.

La tribù Ogni individuo che godeva della cittadinanza romano era iscritto, ai fini politici e censitari, a auna

delle tribù che corrispondeva originariamente a una circoscrizione dl territorio romano, costituendo l’unità

di voto nei comizi tributi. Di fatto, però, essa andrò perdendo il suo valore territoriale. Dalla fine della

Repubblica, poi, divenne individuale e talvolta ereditaria nell’ambito famigliare, mentre in età imperiale

acquisì quasi esclusivamente il valore di segno distintivo fra chi era in possesso della cittadinanza e chi ne era

privo. Attestata anche per i liberti, la menzione della tribù, che di norma veniva inserita fra il patronimico e il

cognome, è particolarmente documentata fra la seconda metà del II secolo a.C. e il II d.C., mentre tende a

sparire dal III secolo d.C. Il nome della tribù può comparire per esteso in caso ablativo, seguito o meno dalla

parola tribu, ma più spesso, è presente in forma abbreviata, con la parola tribu sottintesa.

Il cognome Era in origine un soprannome non ufficiale, che serviva a individuare con maggior precisione

le persone; poteva richiamare caratteristiche fisiche, psicologiche o caratteriali, avere carattere

beneaugurante, derivare da nomi di città o di popolo, di mestiere, di animali o di piante, essere legato

all’ordine di nascita, rievocare personaggi storici, mitologici o letterari. Nelle grandi famiglie di notabili, un

cognome, unito al gentilizio, serviva a distinguere i diversi rami di una stessa famiglia e talora, all’interno di

un ramo, segnava un’ulteriore suddivisione: si trasmetteva anch’esso, come il gentilizio, per via ereditaria.

L’uso del cognomen, in origine appannaggio degli aristocratici, si affermò lentamente e divenne frequente a

partire dall’età di Silla, prima fra i liberti e poi fra la gente comune; nei testi epigrafici il suo uso diviene

regolare tra la fine della Repubblica e la prima metà del I secolo d.C. Chi veniva adottato, assumeva

l’onomastica dell’adottante e trasformava in cognome il proprio gentilizio, aggiungendo il suffisso -anus.

Questo soprattutto in età repubblicana, mentre in età imperiale prevalse l’uso di aggiungere all’onomastica

dell’adottante anche il nome del padre naturale, e a volte anche quello della madre, senza alcuna modifica.

In altri casi, si aggiungeva a l proprio nome non solo il cognome o i cognomi del padre, ma anche quelli degli

avi, unendovi pure elementi onomastici della madre e dei suoi antenati, giungendo così a creare formazioni

onomastiche estremamente complesse. 1)

La trasmissione di prenome, nome e cognome Prenome: non sembra che esistessero regole fisse;

nell’uso comune, il primogenito prendeva quello del padre o, talvolta, quello del nonno; in alcune famiglie

2)

illustri esistevano dei prenomi che si trasmettevano meccanicamente per via ereditaria. Nome: i bambini

legittimi ricevevano il gentilizio del padre, mentre gli illegittimi, nati da una donna giuridicamente libera,

prendevano generalmente il gentilizio della madre. Il figlio di una donna vedova, che si risposasse, conservava

3)

il gentilizio del padre defunto, a meno che non venisse adottato dal nuovo coniuge. Cognome: non

esistevano regole fisse, ma solo consuetudini non sempre rispettate; spesso il primogenito prendeva lo stesso

cognome del padre, mentre il secondogenito quello della madre e il terzogenito assumeva un cognome

derivato da quello del padre.

L’onomastica degli schiavi e dei liberti In origine lo schiavo non aveva nome proprio, ma veniva indicato

semplicemente con il termine generico puer, preceduto dal prenome del padrone in caso genitivo.

L’espansione romana nel Mediterraneo portò a Roma un grande afflusso di schiavi: sorse così la necessità di

distinguerli, dando loro un nome, di solito scelto dal padrone. Si prediligevano nomi beneauguranti o collegati

a divinità particolarmente venerate, oppure quelli di personaggi del mito o delle opere letterarie più famose;

secondo una moda piuttosto diffusa, si preferivano nomi di origine greca. Nelle iscrizioni, l’indicazione dello

stato servile è data dalla parola servus/a scritta per intero, abbreviata con l’iniziale S o sottintesa, e preceduta

dalla denominazione del padrone. A volte, invece del termine servus si può trovare verna, che indica

normalmente lo schiavo nato nella casa del suo padrone. Se lo schiavo apparteneva all’imperatore, la sua

condizione veniva indicata premettendo o il nome del sovrano o, più spesso, la sigla AVG. Nel caso di schiavi

pubblici, ovvero appartenenti allo stato o a una città, il nome è preceduto dal nome della città o da quello

dei suoi abitanti in genitivo. Un caso particolare nell’onomastica servile è rappresentato dalla presenza di un

secondo elemento, caratterizzato dal suffisso -anus: si tratta di schiavi che sono passati da un padrone a un

altro per vendita, testamento, dono o confisca.

I liberti Se uno schiavo veniva liberato dal suo padrone o si emancipava, entrava di fatto nella famiglia del

suo ex padrone. Assumeva perciò prenome e nome dell’ex padrone e trasformava in cognome il suo

originario nome personale. Per indicare la propria condizione di affrancato, per legge doveva inserire tra

nome e cognome il prenome dell’ex padrone seguito dalla parola libertus/a. Se lo schiavo veniva liberato da

una donna, non potendosi mettere il prenome, si ricorreva alla lettera C retroversa (Ɔ) o più raramente alla

M rovesciata (ꟽ), mentre in alcuni casi si poteva mettere il prenome del marito o del padre della donna. Nei

casi di servi pubblici si adottava un prenome generico e come gentilizio si usava Publicus o un gentilizio

ricavato dal nome della città cui lo schiavo era appartenuto o si usava il nome della citta o dei cittadini al

genitivo seguito da libetus/a. Se lo schiavo apparteneva all’imperatore, con la liberazione assumeva prenome

e nome dell’imperatore, cui faceva seguire l’indicazione del suo stato giuridico con la parola libertus,

preceduta dalla denominazione dell’imperatore al genitivo. Di solito i liberti, fatta eccezione per quelli

imperiali, tendevano per ovvi motivi a omettere l’indicazione della propria condizione.

Gli stranieri gli stranieri (peregrini) di condizione libera portavano solo il nome personale, spesso seguito

dal patronimico. Nel caso ottenessero la cittadinanza romana, assumevano i tria nomina, prendendo

prenome e nome del magistrato o dell’uomo politico o dell’imperatore che l’aveva loro concessa,

conservando il patronimico e trasformando il nome personale in cognome. In molti casi si assiste a un

fenomeno di assunzione dei tria nomina come assimilazione, spesso illegale.

Nel corso dei secoli, il sistema onomastico dei cittadini romani subì radicali cambiamenti, che riflettevano il

mutarsi delle condizioni storiche, economiche e sociali. Dall’unico nome personale in età arcaica, si passò a

una formazione bimembre per arrivare, nel I secolo a.C., all’uso generalizzato dei tria nomina. Dal I secolo

d.C. la struttura a tre elementi cominciò a semplificarsi: il prenome venne impiegato con sempre minore

frequenza, e dal II secolo d.C., non venne più inserito nelle iscrizioni. Stessa sorte toccò pure al nomen, a

causa soprattutto della larga diffusione dei gentilizi imperiali. Il cognome rimase così l’unico elemento

veramente identificativo di un individuo, e dal IV secolo d.C., l’unico a essere usato regolarmente nelle

iscrizioni della gente comune: si tornò così al sistema del nome singolo.

La titolatura imperiale Ne

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A.A. 2017-2018
30 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Epigrafia latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Gregori Gian Luca.