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IL FUNZIONAMENTO DELLA CURA AQUARUM Vitige

Quando nell’anno 537 gli Ostrogoti di interruppero

l’adduzione delle acque, Roma era stata servita da acquedotti per più di 800 anni. Le due familiae aquariae

avevano insieme un totale di 700 uomini. Da Frontino ricaviamo la notizia che gli uomini furono stanziati sia

dentro che “fuori” della città, per poter immediatamente entrare in azione se un condotto aveva bisogno di

riparazioni. A prestare fede a Frontino, era il curator aquarum a decidere personalmente quando

l’amministrazione dovesse far ricorso a imprenditori privati per restauri più ampi. In teoria, con una simile

organizzazione del lavoro, l’approvvigionamento idrico avrebbe dovuto essere sotto controllo, ma nella

realtà, ci dice Frontino, non era così. La disciplina era venuta a mancare nella cura aquarum in maniera

clamorosa. Per di più, ci sono nel suo trattato numerosi altri esempi di attività illegale del personale della

cura aquarum. Sotto la direzione di Frontino la disciplina della cura aquarum cambiò comunque in meglio,

perché fu istituito un mansionario che prevedeva istruzioni giornaliere per ogni membro delle familiae

aquariae. Già a partire dalla prima costruzione di un acquedotto a Roma, dobbiamo ipotizzare l’esistenza di

descrizioni o piante topografiche. Dobbiamo così ipotizzare l’esistenza di un archivio contenente informazioni

geografiche, topografiche, sul volume d’acqua e sui concessionari privati.

L’ENIGMA DELLA SEDE CENTRALE DELLA CURA AQUARUM Non sappiamo dove i documenti fossero

collocati. Sembra naturale che l’archivio fosse preservato nella sede centrale dell’amministrazione, ma anche

l’ubicazione di questa sede, la cosiddetta statio aquarum, è incerta. In generale sappiamo pochissimo quale

aspetto avessero le sedi amministrative e come fossero organizzati gli archivi nel mondo romano. Chiaro è

comunque che l’amministrazione aveva un carattere molto più “personale” dell’anonimo sistema burocratico

capitalistico-tecnocratico. Si potrebbe ipotizzare che anche l’archivio della cura aquarum fosse conservato

Filippo Coarelli

presso un tempio. ha proposto che la statio aquarum fosse originariamente localizzata nella

Porticus Minucia vetus.

4.3 Acqua per i pochi e per i molti: la distribuzione

La capacità degli undici acquedotti, quando tutti funzionavano, era impressionante. Sicuramente la

gente comune a Roma disponeva di un volume d’acqua più grande di quello che era a disposizione degli

abitanti delle città europee più progredite ancora nel tardo Ottocento. Nel parlare dell’erogazione dell’acqua,

Frontino fa riferimento a una tripartizione di destinazione: per l’usus publicus, nomine Caesaris e privatis. Per

i bisogni dell’imperatore si erogava il 17% del totale, ad alcuni privati andava il 38%, mentre per il pubblico

restava il 44%. I privati e la corte imperiale usavano condotti di piombo di loro proprietà per le erogazioni

d’acqua ad essi destinate, ma il grande pubblico era costretto a recarsi alle fontane pubbliche. Il permesso di

istallare un condotto privato diventò un privilegio concesso dall’imperatore, un beneficium principis.

Malgrado l’acqua fosse un beneficium, sembra che i beneficiari dovessero pagare per il privilegio. L’acqua era

Frontino

necessaria anche per usi “industriali” che potevano interessare i ceti superiori o i loro dipendenti.

non registra il numero dei privati privilegiati, ma tramite vari calcoli è possibile pervenire a una stima fra i

mille e i duemila. Nonostante l’enorme quantità concessa ai privati, non tutti quelli che desideravano un

condotto privato venivano soddisfatti. Il numero dei detentori di questi privilegio imperiale era infatti

ristretto.

5. CASE E ABITANTI A ROMA

5.1 La Roma più antica

La capanna di Romolo era il simbolo di un mondo primitivo, essendo Romolo l’ultimo di una serie,

che risaliva ad Evandro, di capi-tribù sul Palatino. Le superstiti buche di pali di capanne dell’età del ferro

avvalorano il mito successivo, confermando l’esistenza di insediamenti dell’età del ferro sulla sommità del

Palatino, dell’Esquilino e dell’Aventino. Ma è anche importante, per comprendere l’età storica, il fatto che la

capanna di Romolo sia stata accuratamente conservata come reliquia storica. Se la capanna di Romolo fu

custodita gelosamente come una reliquia di un passato pre-urbano, allo stesso modo la casa del suo

successore Numa fu una reliquia della fase proto-urbana. La leggenda attribuiva diverse ubicazioni alle case

di ciascuno dei sette re. Ciascuna di queste case era situata dove in seguito sorgerà il luogo sacro: quella di

Numa divenne la Regia, al termine del Foro. Per quanto riguarda le domus aristocratiche evidenziate dagli

scavi alle pendici del Palatino, il quadro che emerge è quello di una sequenza di case, di forma rettangolare,

di dimensioni notevoli (circa 900 metri quadri), che risalgono alla fine del VI secolo e continuano a essere

ininterrottamente utilizzate, fino alla tarda Repubblica. La forma di tali case è comparabile a quella della

classica casa ad atrium, con uno stretto ingresso fiancheggiato da negozi, che si apre su un ampio cortile con

la caratteristica disposizione cruciforme di un’area centrale di ricevimento con ai due lati degli ambienti. Nella

ricostruzione proposta, i cortili presentano un impluvium centrale, che suggerisce tetti spioventi verso

l’interno. Le fondazioni sono in pietra vulcanica locale, cappellaccio, e presumibilmente sostenevano muri di

fango e argilla battuta; questi sopravvivono fino alla fine del III secolo, quando si ha una ricostruzione su

ampia scala in opus caementicium. Gli autori successivi non solo consideravano la forma della casa ad atrium

come una tradizione antica, ma la associavano anche esplicitamente ad alcuni aspetti caratteristici di

strutture sociali romane tradizionali. La prima è la familia, costituita attorno al ruolo dominante del

paterfamilias, con il suo corrispettivo nella materfamilias, ed il suo incontrastato potere su quelli in potestate:

i figli, gli schiavi e la moglie. La stretta connessione di domus e familia trova espressione simbolica in diversi

aspetti caratteristici e rituali: la posizione del letto matrimoniale nell’atrium centrale di fronte all’ingresso; o

l’aspettativa che la materfamilias circolasse visibilmente nell’area centrale, leggendariamente colta nel

tessere notturno di Lucrezia, espressivo di per sé della cura per il benessere dell’intera famiglia, opposta alla

forza distruttiva dell’adultero tiranno Sesto Tarquinio. Si dice che nella tarda Repubblica un ristretto numero

di famiglie avesse conservato l’usanza tradizionale di vivere insieme in unità familiari estese. La gens è

qualcosa di diverso dalla familia. Essa è costituita da un gruppo legato da antenati comuni, associato da un

nome comune, comuni diritti e pratiche rituali, la cui funzione più importante era di costituire l’unica

intermedia tra la famiglia e la curia. Non vi sono prove e non è nemmeno plausibile che la gens vivesse in

comune in una singola struttura. La seconda struttura sociale tradizionalmente connessa con la forma della

casa ad atrium era la clientela. L’enorme porzione di spazio riservata a quelle che noi chiameremmo “aree

aperte” senza dubbio facilitava quella specie di ricevimento pubblico in massa, individuato nelle descrizioni

del rituale della salutatio mattutina della fine della Repubblica e dell’inizio dell’impero. L’effetto

dell’organizzazione architettonica era che la vista dalla porta d’ingresso, attraverso le fauces, nel cuore della

casa fungeva da magnete visivo per attirare il passante.

5.2 Roma repubblicana

È quando ci spostiamo in età storica, con le guerre puniche, che dalle fonti scritte emerge un quadro

più chiaro riguardo all’intero tessuto urbano. L’immagine che ci si offre del Foro nel terzo secolo è ancora

quella della piazza di una città-mercato, circondata da abitazioni private e negozi ordinari, vicinissimi ai templi

e alle antiche aree sacre. I negozi su entrambi i lati, che più tardi furono soppiantati dalle basiliche, sono

ricordate come un imbarazzante aspetto tipico del passato. Le macellerie sono particolarmente fatte oggetto

di menzione. La concentrazione di macellerie in quest’area è sicuramente connessa con la concentrazione di

Varrone

templi: i templi richiedono sacrifici e carne. considera la sostituzione di tali macellerie con banche

come un primo passo verso l’accrescimento di dignità del Foro. Questa notazione è attestazione

dell’ideologia che indusse alla progressiva espulsione del commercio e delle abitazioni private dal centro, e

alla sostituzione con sontuosi edifici pubblici, che si completa con il I secolo a.C. Alla ricostruzione di Roma

dopo il sacco gallico, venne rimproverata l’assenza di strade rettilinee, la mancanza di connessione tra

sistema viario e sistema fognario, e un tracciato urbano più tipico di un insediamento di abusivi che di una

città opportunamente pianificata. Già nel III secolo possiamo immaginare la città caratterizzata da case che

si elevano molto più in alto rispetto al tipo della casa ad un solo piano dell’Italia romana. Piani superiori di

legno venivano utilizzati comunemente, molto prima che l’introduzione del conglomerato cementizio

permettesse di costruire solidi edifici a più piani. Le localizzazioni preferite per le case della classe politica si

concentravano attorno al Foro: il colle Palatino primeggia con un ampio margine, seguito dalla stessa area

del Foro, dalla Velia, dalle Carinae, mentre alcune erano disseminate sul Quirinale, sul Viminale e sul Celio.

Una posizione centrale di per sé non era sufficiente: la struttura stessa della casa doveva accrescerne il nobile

profilo. Il carattere aperto dell’attività che si svolgeva al centro, e dello spazio dell’atrium per la circolazione,

accresciuto dalle ulteriori aree aperte del tablinum e delle alae, tutti questi elementi garantivano un elevato

grado di visibilità, che non trova molti confronti in altre società. L’architettura domestica della tarda

Repubblica sviluppa una serie di tecniche per accentuare la visibilità, dagli aggiustamenti delle proporzioni

dell’atrium, alla diffusione dei peristili alle spalle dell’atrium che ne accrescono la trasparenza, allo sviluppo

della sequenza prospettica che da un’area all’altra cattura il visitatore. Viene valorizzato soprattutto il senso

della spaziosità. Visibilità e spaziosità sono la diretta conseguenza dei rituali sociali della classe senatoria. I

rituali sociali dell

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Epigrafia latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Gregori Gian Luca.