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CIL,

Inscriptionum Latinarum: il opera tuttora inconclusa ma aggiornata, rappresenta ancora oggi la più ampia

e importante raccolta di iscrizioni latine e lo strumento irrinunciabile per qualunque lavoro si debba compiere

Ettore De

su materiale epigrafico. Nel 1886 nacque il Dizionario epigrafico di Antichità, fondato e diretto da

Ruggiero; a Parigi nel 1888 fu fondata l’ “Année épigraphique”, una rivista che si proponeva di registrare tutte

le nuove pubblicazioni epigrafiche; a L’Aja nel 1898 storici ed epigrafisti misero a confronto i risultati delle

proprie ricerche inaugurando un modello di confronto rappresentato dallo strumento del congresso

scientifico; intanto prosperavano i corpora, i notiziari delle scoperte e i manuali, si discuteva entro e fuori le

accademie. La prima metà del Novecento realizzò in modo più maturo le iniziative precedentemente avviate

all’insegna di una crescente consapevolezza dell’identità del mondo classico: fiorirono i congressi di

archeologica classica e di papirologia, presero corpo importanti manuali e l’epigrafia cominciò a essere

concepita come disciplina autonoma nei pieni di studio delle università. Nel 1938 il primo congresso di

epigrafia ad Amsterdam sancì ufficialmente queste aspirazioni. Nel 1931, in linea con il clima di esaltazione

della romanità alimentato dal regime fascista, l’Accademia d’Italia diede il via alla raccolta delle Inscriptiones

Italiae, che si configurò come aggiornamento al CIL del patrimonio epigrafico italico. La situazione politica

che si creò nel secondo dopoguerra influì inevitabilmente sulla ricerca, ponendo il problema urgente del

recupero di siti monumentali e museo devastati dalla guerra. Verso la fine degli anni Cinquanta emerse la

tendenza a portare l’attenzione su temi che erano stati fino ad allora marginali, e cioè la storia dei ceti, delle

mentalità, dei paesaggi, dell’economia, dei processi di acculturazione, campi nei quali la documentazione

epigrafica è fonte principale, quando non unica. Dagli anni Sessanta a oggi i congressi e le occasioni di

incontro si sono moltiplicati, come pure i codici di conoscenza e gli strumenti di indagine, le iniziative e i

progetti editoriali. I volumi del CIL sono oggi 18 e quelli più antichi vengono continuamente revisionati

attraverso la pubblicazione di supplementi; il criterio della documentazione fotografica integrale di ogni

iscrizione è ormai adottato in tutte le edizioni critiche moderne. La gran mole di rinvenimenti epigrafici ha

posto nell’ultimo ventennio la comunità scientifica dinnanzi alla necessità di adeguare gli strumenti di ricerca.

1. DIVENTARE ROMANI

Alla caduta della monarchia (509 a.C.), Roma avviò un’ampia politica di espansione nella penisola italica: le

legioni mossero dapprima contro le città del Lazio che divennero alleate di Roma (493 a.C., foedus

Cassianum); poi Roma affrontò Equi, Sabini e Volsci e soprattutto conquistò la potente città etrusca di Veio

(396 a.C.), che la contrastava per il possesso dei giacimenti di sale presso la foce del Tevere. Nel frattempo,

negli Appennini meridionali la popolazione dei Sanniti aveva costituito una potente confederazione di tribù

decisa a espandere la propria egemonia nelle fertili pianure della Campania e a contrastare la crescente

potenza romana: nei cinquant’anni di guerre contro i Sanniti (343-295 a.C.) Roma dovette altresì far fronte

alla rivolta degli alleati latini e all’ostilità delle altre popolazioni italiche, che colsero l’occasione per coalizzarsi

con i nemici di Roma. Anche le città greche dell’Italia meridionale caddero sotto il dominio romano,

nonostante il tentativo di Pirro di suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma: malgrado alcune vittorie,

Pirro fu costretto ad abbandonare la penisola (275 a.C.) e a lasciare campo libero ai Romani. All’inizio del III

secolo a.C. l’Italia intera era ormai sotto il dominio romano. L’espansione determinò una strategia di dominio

e di integrazione che fu caratterizzata talvolta da estrema durezza e determinazione, ma soprattutto da

duttilità ed equilibrio: il dominio sull’Italia si basava sì sul principio del divide ed impera, ma principalmente

su un flessibile sistema di alleanze che aveva lo scopo di mantenere la pace garantendo ai popoli via via

conquistati tipologie graduali e progressive di sovranità e di cittadinanza, di mobilitare il potenziale militare

dell’Italia, di estendere la cultura e la lingua di Roma. A metà del III secolo Roma si trovò a un bivio decisivo:

o limitarsi a una dimensione statale in Italia oppure allargare il proprio orizzonte al Mediterraneo entrando

in contrasto con Cartagine, allora potenza egemone in senso commerciale su tutta l’area centro-occidentale

di quel bacino. Se infatti Roma aveva impiegato più di due secoli per espandersi in Italia, le furono necessari

soltanto pochi decenni per conquistare il resto del Mediterraneo: contemporaneamente alle vittorie su

Cartagine, soggiogata dopo tre guerre (264-146 a.C.), essa riuscì infatti a estendere il proprio predominio

sulle ricche monarchie ellenistico-orientali eredi dell’impero di Alessandro, come la Siria e la Macedonia,

istituendo anche un rapporto di supremazia rispetto al regno tolemaico d’Egitto; altrettanto significativo il

controllo che Roma stabilì sulla Grecia delle poleis. Il nuovo Stato multinazionale e multietnico si resse e si

consolidò su meccanismi di generale condivisione di interessi politici, economici e sociali nonché sugli ampi

spazi offerti dall’autonomia cittadina. Questo fenomeno di “romanizzazione” determinò un grandioso

processo di integrazione culturale delle popolazioni conquistate. La documentazione epigrafica si è da tempo

dimostrata uno strumento di indagine prezioso per la conoscenza dei processi di romanizzazione nelle diverse

aree dell’impero, permettendo in primo luogo di comprendere il complesso meccanismo di estensione delle

istituzioni romane ai territori conquistati, e poi di indagare il dispiegarsi di interventi di assimilazione o di

manifestazioni di resistenza.

1.1 Le strategie dell’integrazione

Nel mondo greco, la tradizionale esperienza di libertà e di autonomia delle poleis, gli istituti e le prassi

politiche consolidatesi durante la prima età ellenistica furono utilizzati per esercitare un controllo indiretto

sul territorio; spesso Roma si limitò a trarre vantaggio dalle rivalità tra gli Stati greci inserendosi nelle contese

e rivendicando un ruolo di mediatrice tra le parti. Gli stessi Romani evitarono di stipulare con gli Stati greci

trattati ufficiali di alleanza, limitandosi ad accordi informali basati sulla collaborazione reciproca. Roma operò

nel senso di una valorizzazione delle città e di un sostegno alle élites locali, che rappresentarono il mezzo con

cui la dominazione romana si impose. Per molti aspetti l’instaurarsi dell’egemonia romana fu un fenomeno

inevitabile, non dovuto esclusivamente alla cieca ambizione imperialistica di Roma, ma soprattutto alla prassi

sempre più frequente per le città, le leghe e i regni ellenistici di rivolgersi alla potente repubblica occidentale

per mediare le loro controversie. Sotto il profilo culturale, occorre infine ricordare che la cultura greca

contribuì in modo sostanziale alla costruzione e alla ricomposizione dell’identità del mondo romano.

Filippo V:

L’intelligenza politica romana è evidente nel caso del confronto con la Macedonia di dopo averne

annientate le truppe a Cinocefale, i Romani misero a punto un accordo di pace che teneva conto degli

Pidna

interessi comuni, garantendo un’interessata autonomia e libertà alle città greche; soltanto dopo (168

a.C.) la Macedonia fu annientata, la monarchia soppressa, il territorio diviso in quattro repubbliche

Emilio Paolo

indipendenti: il generale fece elevare una colonna per celebrare la propria vittoria. In realtà i

Romani ritirarono il proprio esercito dall’Oriente e non imposero alcuna riorganizzazione amministrativa

nelle città greche; soltanto dopo la repressione della rivolta di Andrisco (148 a.C.) la Macedonia fu ridotta in

provincia, tutte le leghe furono sciolte e ovunque vennero imposti regimi aristocratici di provata fedeltà. Un

documento interessante per comprendere le difficoltà in cui versavano le città greche durante il terzo

conflitto macedonico è un’iscrizione proveniente da Thisbe, città della Beozia, e datata nel 170 a.C.: si tratta

Gaio Lucrezio,

della versione greca di un senatoconsulto emesso da Roma. In seguito alla resa del pretore la

citta di Thisbe, colpevole di una politica filomacedone, aveva perso ogni diritto di proprietà sul territorio e sui

beni dei cittadini; un gruppo di cittadini filoromani aveva però chiesto che gli effetti di questa deditio fossero

cancellati, che la città potesse rientrare in possesso dei suoi territori e che ai Tisbei fossero restituite le loro

proprietà. La risposta di Roma fu molto dura: essa prevedeva che soltanto coloro che si erano mostrati fedeli

alleati beneficiassero delle immunità che Roma era disposta a concedere, mentre gli avversari erano tenuti

a raggiungere Roma per essere giudicati; l’oro confiscato non sarebbe stato in alcun caso restituito,

considerato una specie di indennità di guerra. Nella parte occidentale del Mediterraneo, nelle due Gallie e

nella Spagna Roma operò in modo diverso. Intanto mancava una tradizione consolidata di politica comune e

soltanto alcuni popoli erano avviati a un primo sviluppo socio-insediativo di tipo urbano. La seconda guerra

punica aveva sollevato due gravi problemi: la necessità di occupare la Spagna e di riconquistare la Gallia

Cisalpina. In Spagna fu decisa un’occupazione militare con la presenza stanziale di truppe, cui seguì una

politica di annessione che sfociò nella riduzione in provincia. L’invasione annibalica aveva compromesso

gravemente i risultati ottenuti in quella prima fase; la riconquista determinò perciò un enorme impegno di

Cesare

Roma. La conquista della Gallia Transalpina da parte di (58-51 a.C.) fu la manifestazione più matura

della volontà imperialistica di Roma. Sul versante occidentale, l’espansione imperialistica significò

innanzitutto l’annessione della penisola iberica. Dopo la sconfitta di Cartagine, i Romani erano insediati lungo

le coste mediterranea a atlantica, nella valle del fiume Baetis e nella porzione settentrionale a nord del fiume

Ebro: all’interno della penisola però esistevano zone non ancora controllate, abitate da tribù indigene con

forte vocazione guerriera, dotate di scarsa sedentarietà. Qui la condotta romana della g

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Publisher
A.A. 2017-2018
39 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Epigrafia latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Gregori Gian Luca.