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LE RELIGIONI

Principi generali

Tutti i romani e tutti gli abitanti del mondo romano erano membri di parecchie religioni poiché la vita religiosa era

praticata in modo comunitario per tutti i livelli della società. Tutti i cittadini romani partecipavano al culto pubblico

di Roma, che abitassero o meno nell’Urbe. I cittadini erano anche dominus e avevano l’incarico di celebrare la

religione domestica. Secondo le loro occupazioni essi appartenevano a determinati collegi (artigiani e funzionari)

e partecipavano al culto del proprio collegio; inoltre potevano inoltre frequentare i culti delle comunità straniere

che vivevano in città.

Religioni comunitarie

Le religioni del mondo romano erano comunitarie e gli aspetti sociali avevano un ruolo centrale nell’espressione

religiosa. Un romano osservava i precetti religiosi perché apparteneva ad un determinato ambiente sociale e non

per scelta intellettuale. Nascendo figlio di cittadino o ricevendo la cittadinanza aderiva automaticamente alla

religione pubblica e diventava membro della comunità religiosa domestica. Ad esempio i romani per tutto il

principato considerarono gli Ebrei come un popolo e non come una comunità religiosa. La causa di questo

comportamento sociale dipende dal fatto che non esisteva distinzione tra vita religiosa e vita sociale. La

connessione tra politica e religione è strettissima: la città è il luogo di un sinecismo tra dei e uomini. La religione

pubblica non era quindi una religione di stato, una religione ufficiale imposta da uno stato laico. La religione era

pubblica, coinvolgeva tutti i cittadini poiché è attraverso essa che la res publica era governata e operava. Le divinità

erano del popolo romano e il culto nelle mani di tutti coloro che operavano nel nome del popolo. Per i cittadini,

quest’appartenenza religiosa non implicava una partecipazione attiva. In effetti non era nemmeno celebrata

ovunque ci fossero romani. I ruoli attivi spettavano ai magistrati e ai sacerdoti; ai cittadini spettava solo una parte

passiva (non turbare le cerimonie). Inoltre le donne non erano interessate al culto pubblico perché erano affari da

uomini.

Religioni ritualistiche

Le religioni romane erano anche ritualistiche, non richiedevano atti di fede esplicita e non comprendevano

iniziazioni o dottrine. Il sapere religioso e la dottrina si limitavano al calendario liturgico, ai rituali prescritti e al

modo di celebrazione tradizionale. I culti stranieri presenti a Roma davano un’alternativa al ritualismo tradizionale.

Esegesi ed interpretazione

L’esegesi si equivalevano tutte perché non erano imposte a nessuno e non derivavano mai da un’autorità pubblica.

Le esegesi più dotte erano fondate su un sistema filosofico. Le interpretazioni sono moltissime, ognuno da una

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propria opinione sull’origine o la natura degli dei, sui significati dei rituali e sulla loro storia.

Religione politeistiche

Le religioni del mondo romano, oltre ad essere ritualistiche e comunitarie erano anche politeistiche. Ogni

comunità aveva il proprio pantheon, ogni pantheon era politeistico ad eccezione della religione cristiana ed

ebraica. Alcune divinità avevano la sovranità su altri dei. Nessuna divinità poteva provvedere a tutto, ognuna aveva

una funzione. Come gli uomini, gli dei si dividevano in gruppi, non solo secondo la loro residenza ma anche

secondo la loro natura.

Culti pubblici

Il culto pubblico di Roma

Il numero elevato di cittadini aveva modificato le pratiche comunitarie ma sostanzialmente il culto funzionava

come prima, diventò però più spettacolare

La restaurazione augustea

Alla fine delle guerre civili l’organizzazione del culto era in pessime condizioni. Con Augusto si rimise ordine

restaurando o ricostruendo i templi con i bottini di guerra, fece restaurare i sacerdozi vacanti (la maggior parte

erano di rango senatorio), ripristinò i riti in disuso. La nuova organizzazione culminò nel 12 a.C. con l’elezione di

Augusto a pontefice massimo. Nell’11 a.C. il sistema rifunzionava totalmente e rimase in vigore fino al III sec. d.C.

La figura del princeps modificò l’equilibrio degli organismi politici, la restaurazione della religione arricchita di

nuove divinità, e un funzionamento diverso delle istituzioni religiose. Tutto questo fu rispettato dai successori di

Augusto.

Le figure del sacerdozio

Il nucleo centrale delle liturgie e delle istituzioni religiose rimase stabile sotto il principato. La figura del sacerdote

non cambiò molto. Come sotto la repubblica, i sacerdoti erano magistrati o senatori. Molti grandi rituali erano

celebrati dai magistrati che avevano il diritto di iniziativa in materia religiosa. I senatori partecipavano

regolarmente ed erano consultati in materia religiosa sulla base della riforma del sistema comiziale (potevano

scegliere i sacerdoti). Lo stesso popolo aveva potere religiosi. Almeno fino alla fine del I sec. d.C. le elezioni dei

sacerdoti più importanti erano fatti dai comizi. Inoltre i dominus continuavano a celebrare ogni anno i parentalia

(ogni anno festa dei morti) dal 13 al 22 febbraio. Assumevano così la funzione di sacerdoti pubblici. I sacerdoti

propriamente detti erano i sacerdotes del popolo romano che assicuravano la celebrazione dei grandi riti pubblici

e assistevano i magistrati nei loro doveri sacerdotali. La loro funzione era la gestione e la produzione del diritto

sacro (erano l’autorità più alta in materia). Raccolti in collegi, i sacerdoti si divideva no in due gruppi chiamati

maggiori e minori, in funzione delle loro competenze e soprattutto nell’elezione dei nuovi sacerdoti operate dai

comizi (da 17 tribù) della quale solo i 4 collegi più importanti beneficiavano; i collegi minori invece erano reclutati

per cooptazione. I collegi più importanti erano: i pontefici, auguri, quindecemviri e septemviri. Il collegio

pontificale comprendeva 16 pontefici, un re dei riti sacri (rex sacrorum), 3 flamini maggiori (di Giove, di Marte e

di Quirino), 3 pontefici minori e una decina di flamini minori (di Carmenta, Flora, Cerere etc.) ai quali si

aggiungevano 6 vestali e forse i flamini degli imperatori divinizzati. Dopo la restaurazione augustea i pontefici e i

flamini minori erano di rango equestre, tutti gli altri membri del collegio pontificale erano di rango senatorio. I

flamini maggiori e il rex sacrorum erano patrizi. Il rex sacrorum, i flamini e le vestali celebravano culti specifici; i

pontefici solo certi riti e gestivano il diritto sacro. I 16 auguri, tutti senatori, definivano gli spazi sacri per le funzioni

pubbliche, profane o religiose e esercitavano il diritto degli auspici. I 19 quindecemviri dei riti sacri, di rango

senatorio, celebravano i culti secondo il rito greco (giochi secolari) inoltre conservavano i libri sibillini (al Palatino,

nel santuario di Apollo) fino al 19-18 sex a.C. Infine la decina di septemviri, tutti senatori, celebravano i banchetti

rituali e le processioni in occasione die grandi giochi. Accanto ai collegi maggiori esistevano sodalizi arcaici che

Augusto aveva in parte restaurato promuovendoli a rango di sodalizi pubblici. Conosciamo quello dei 12 fratelli

Arvali (collegio con ricca documentazione epigrafica) restaurata verso il 29-28 a.C. celebrava il culto di una divinità

legata al ciclo agrario. I 20 sodales augustales e i membri degli altri sodalizi celebravano il culto dei loro principi

divinizzati; successivamente questi culti si distribuirono tra 4 compagnia (culti degli Antonini e dei Severi

divinizzati). 2 sodalizi particolari formati da senatori, patrizi e cavalieri. Il numero di tutti i collegi sacerdotali rimase

stabile sotto il principato.

La liturgia

Le liturgie celebrate da tutti questi rappresentanti del popolo comprendevano feste regolari iscritte nel calendario

ufficiale. Questo calendario comprendeva feste e riti legati al ciclo agrario, della guerra. A queste feste si

aggiungevano feste mobili: anniversari dei templi, commemorazioni e riti associati alla vita pubblica. Queste

liturgie regolari erano accresciute da riti occasionali: atti di ringraziamento, trionfi, scioglimento di voti legati al

corso degli eventi etc.) il rituale centrale era il sacrificio (tranne auspici, consultazione libri sibillini o aruspici). Il

sacrificio aveva varianti a seconda del dio, a seconda del rito (romano, greco o etrusco), secondo la circostanza e

il tipo di offerta. Un sacrificio era la condivisione di un’offerta alimentare con una divinità nella quale si proclamava

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l’immortalità e la presenza del dio. Secondo l’importanza del rituale la cerimonia comprendeva più sacrifici, era

definita festa pubblica, occupava molti giorni e di solito finiva con i giochi. Sotto il principato non cambiò ma si

arricchì; una di queste trasformazioni era la neutralizzazione del sistema auspicale poiché solo il principe aveva il

diritto di trarre gli auspici o di condurre la propria politica con il consegno divino. Inoltre il principe in virtù

dell’imperium maius non poteva ricevere auspici inferiori a quelli di un proconsole (non potevano esser contestati).

Più che di una trasformazione si trattò di una modifica, continuarono comunque a funzionare ma a livello

subordinato: era un’arma usata solo dal principe.

Innovazioni

Con questo privilegio Augusto si trovò sullo stesso piano dei sacerdoti (era al disopra di ogni sacerdote eccetto di

Lepido che però era in esilio). Nel 29 a.C. gli si accorda il diritto di nominare candidati alle elezioni sacerdotali

anche se non apparteneva al collegio sacerdotale. Questo privilegio si annullò quando entrò a far parte del collegio

stesso. L’ultima tappa di queste trasformazioni fu l’elezione di Augusto a pontefice massimo il 6 marzo del 12 a.C.

Un’altra novità fu la modifica dell’inquadramento materiale del culto. Molti anniversari di templi e cerimonie

furono cambiati e uniti alle commemorazioni per le grandi imprese del principe; il culto fu arricchito di nuove feste,

collegate agli avvenimenti della storia (es. celebrare le vittorie di Augusto e gli anniversari della sua famiglia).

Numerosi sacrifici, dediche e voti furono fatti per la salvezza del principe; questo comportò un arricchimento dei

rituali celebrati in pompa magna.

Il culto imperiale

Fu l’elemento più caratteristico della religione pubblica sotto il principato soprattutto la divinizzazione degli

imperatori morti e il culto a loro reso. L’imperatore vivente non riceveva mai un culto almeno nei paesi di cultura

latina. Si sacrificava al suo genio o al suo numen che non era tradotto come divinità ma come potenza creatrice.

L’epiteto augustus era tratto dal registro religioso pe essere applicato ad un uomo eccezionale. Anche in terra

greca il principe vivente era detto theòs (non come dio perché ancora in vita). È un epiteto che è applicato agli dei

e agli imp

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A.A. 2016-2017
78 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/03 Storia romana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher 1Lorenzo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antichità e Istituzioni romane e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Gregori Gian Luca.