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FAMIGLIA E ORDINAMENTO GIURIDICO
Premessa.
La famiglia costituisce un fenomeno sociale che, l’ordinamento giuridico non crea, ma con il
quale è chiamato a confrontarsi. La famiglia, indubbiamente si inserisce tra le “formazioni
sociale ove si svolge la personalità” di cui parla l’art. 2 della Costituzione. Seguendo tale
considerazione è evidente che l’ordinamento deve riconoscere, garantire e tutelare tali
formazioni (considerate una realtà sociale, prima che giuridica nell’art. 29 Cost.),
esattamente nel modo in cui queste si atteggiano concretamente nella realtà, senza però,
limitare l’autonomia della famiglia in quanto: essa è la rappresentazione della più sicura
attestazione di democrazia dell’ordinamento. La famiglia (tenendo conto dell’art. 2. Cost),
ha quindi la funzione essenziale di formazione sociale atta a garantire le adeguate
condizioni per lo sviluppo della personalità dei suoi membri, in modo coerente con i valori
costituzionali di libertà ed effettiva eguaglianza. La famiglia inoltre è riconosciuta anche a
livello sopranazionale e mondiale.
1. Nozione giuridica di famiglia.
La considerazione, nella prospettiva attuale, della famiglia implica la valorizzazione della
convivenza. Ciò comporta che il modello di famiglia cui, in linea di principio, si riferisce
l’ordinamento vigente sia quello della famiglia nucleare: ovvero la formazione sociale
considerata “famiglia” è composta dai coniugi e dai loro eventuali figli, con l’esclusione di
altri parenti (si è ristretto il concetto di famiglia al solo nucleo composto da genitori e figli).
Nel passato invece vigeva il modello della grande famiglia o famiglia patriarcale, quale
aggregazione di soggetti accomunati da una medesima discendenza. Tale modello era
fondato su una struttura gerarchica tendente a far convergere nel capofamiglia poteri
autoritari nei confronti della moglie e dei figli (vi era quindi una disuguaglianza morale e
giuridica tra i coniugi).
Successivamente con il susseguirsi di fenomeni tra loro collegati, come quelli
dell’industrializzazione, dell’inserimento della donna in attività produttive e con l’entrata in
vigore della Costituzione (con i suoi fondamentali principi), i dogmi, presenti fino a quel
momento, in materia familiare sono stati profondamente modificati.
Nel 1975, infatti, nella necessità di adeguare la disciplina vigente ai principi costituzionali, è
stata l’attuata una laboriosa riforma del diritto alla famiglia, con la quale l’intero impianto
codicistico della disciplina dei rapporti familiari è stato ridisegnato in tutti i suoi aspetti.
2. Famiglia legittima e famiglia di fatto.
La famiglia che la Costituzione, nell’art. 29, assume come modello è quella “fondata sul
matrimonio”, ossia la famiglia legittima. Ciò secondo quel tradizionale collegamento,
appunto, tra famiglia e matrimonio quale suo momento costitutivo. Tuttavia questo
preconcetto non era del tutto inerente alla realtà, in quanto la stessa realtà sociale
presentava delle “formazioni sociali” (enucleate nell’art. 2 Cost.), formate dalla coppia e dai
figli, costituite senza matrimonio. In vista di queste incongruità dell’ordinamento nei
confronti della realtà, l’ordinamento ha riconosciuto queste formazioni come famiglie di
fatto. Il carattere ritenuto decisivo delle famiglie di fatto deve essere, ovviamente, la
stabilità della convivenza tra due soggetti di sesso diverso.
Negli ultimi tempi, in effetti, sulla problematica della rilevanza giuridica della famiglia di fatto
si è innestata quella del riconoscimento delle unioni omosessuali. Che differentemente da
alcuni paesi come la Spagna, non sono riconosciute in Italia.
Quindi alle coppie conviventi, ma solo di sesso diverso, è stato consentito l’accesso alle
tecniche di procreazione assistita, l’adozione (solo se la convivenza duri da tre anni e vi sia
l'impegno al matrimonio), le procedure finalizzate all’ottenimento dell’amministrazione di
sostegno, alla interdizione e alla inabilitazione. Inoltre le famiglia di fatto, oltre ad ottenere il
riconoscimento e l’applicabilità dei principi costituzionali, vantano anche delle forme di
tutela (che vedremo più avanti al punto 6).
3. Ordini di protezione contro abusi familiari.
Nel caso di condotta causante grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla
libertà nei confronti di un coniuge o convivente (anche minore), la parte lesa può adottare
delle misure di protezione contro tali abusi. Queste misure concernono essenzialmente:
1) L’allontanamento del responsabile dalla casa familiare, oltre alla inibizione di avvicinarsi
ai luoghi in cui si svolge la vita della vittima.
2) La possibilità di imporre il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone
conviventi destinate a restare prive di mezzi adeguati.
Questa forma di tutela è allargata ad ogni situazione di convivenza caratterizzata da una
certa stabilità della relazione di vita (ed è da ritenere anche tra le persone dello stesso
sesso).
4. Convivenza.
La rilevanza della convivenza è stata riconosciuta sia ai fini della successione del
convivente nel contratto di locazione stipulato dall’altro, nel caso di morte di quest’ultimo o
di cessazione della convivenza, sia per accordare al convivente il risarcimento del danno,
nel caso di uccisione da parte di un terzo del partner.
Sotto il profilo dei rapporti tra i conviventi, vi deve essere il dovere morale e sociale di
reciproca assistenza. Questo induce all’obbligo di corrispondere un assegno (di
mantenimento, di alimenti o di divorzio) a suo favore da parte del coniuge separato o dell’ex
coniuge (non all’ex convivente).
La diversità delle rispettive situazioni del convivente e del coniuge, costantemente ribadite
dalla giurisprudenza, è stata ritenuta idonea a legittimare, al solo coniuge il diritto di
successione.
5. Parentela e affinità.
Parentela: è il vincolo della persona che discendono dallo stesso stipite. Ai sensi dell’art.
75, sono parenti in linea retta coloro che discendono l’uno dall’altro, immediatamente
(genitori figli), o per generazioni successive (nonni e nipoti); sono parenti in linea collaterale
coloro che, pur avendo un ascendente in comune, non discendono l’uno dall’altro (fratelli e
sorelle, zii e nipoti, cugini).
Il rapporto di parentela è giuridicamente rilevante fino al sesto grado.
Con la legge del 2012 – in correlazione al nuovo art. 315, per cui “tutti i figli hanno lo stesso
grado giuridico” - si è stabilito che il vincolo di parentela sussiste “sia nel caso in cui la
filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di
esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”. Il sorgere del vincolo di parentela viene escluso
solo “nei casi di adozione di persone maggiorenni”.
Affinità: è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. Il rapporto di affinità non
cessa con la morte dell’altro coniuge da cui deriva (e, si ritiene, neppure col divorzio);
cessa, invece, in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio.
6. Gli alimenti.
L’obbligo di prestare gli alimenti è l’obbligo che incombe a carico di determinate categorie di
parenti ed affini di provvedere alle esigenze necessarie del loro familiare che non è in grado
di sostenersi autonomamente.
I vincoli di solidarietà che devono intercorrere tra i membri di una stessa famiglia non
trovano il loro fondamento solo in obblighi di carattere morale, ma anche in numerose
norme di legge che stabiliscono, tra l'altro, il diritto agli alimenti ed il diritto mantenimento.
.
Ci occupiamo qui del diritto agli alimenti che, a norma dell'art. 438 c.c :" possono essere
chiesti solo da chi versa in stato bisogno e non è in grado di provvedere al proprio
mantenimento".
Vi sono quindi due condizioni per ottenere gli alimenti:
Lo stato di bisogno: che non è solo la mancanza del necessario per alimentarsi, ma
anche la mancanza del necessario per vestirsi, per l'abitazione etc. cioè la mancanza o
l'insufficienza dei mezzi per venire incontro alle necessità primarie della vita
Non essere in grado di provvedere al proprio mantenimento e ciò per diverse cause,
come la malattia, da accertarsi caso per caso considerando, però, anche la posizione
sociale dell'alimentando, le sue condizioni psicofisiche e le sue capacità intellettuali.
L'alimentando ha diritto, quindi, al necessario per vivere, inteso come soddisfazione delle
sue esigenze primarie.
In ciò si coglie la differenza tra il diritto agli alimenti e quello del mantenimento.
Quest'ultimo ha contenuto molto più ampio (vedi ad es. art. 147 c.c.) e va ben oltre la
soddisfazione dei bisogni primari, concretandosi anche in tutto ciò che è necessario per
svolgere una adeguata vita di relazione secondo l'ambiente sociale in cui la famiglia vive,
sempre, ben inteso, in relazione alle sostanze degli obbligati ed alle loro capacità. Il diritto
al mantenimento, inoltre, prescinde dallo stato di bisogno del beneficiario .
Tornando agli alimenti, questi sono dovuti in proporzione del bisogno di chi li domanda ed
in proporzione delle condizioni economiche di chi li somministra; sono inoltre dovuto dal
giorno della domanda giudiziale o dalla costituzione in mora dell’obbligato.
Circa le modalità di somministrazione, l’obbligato può scegliere se prestarli in denaro, o
accogliendo mantenendo direttamente nella propria casa l’alimentando. Si tratta, quindi, di
obbligazione alternativa, ma con delle peculiarità poiché il giudice può determinare il modo
di somministrazione.
Se dopo la relativa assegnazione “mutano le condizioni economiche di chi li somministra o
di chi li riceve”, sarà l’autorità giudiziaria a provvedere, secondo le circostanze, nel senso
della cessazione, riduzione o aumento. L’obbligazione ha natura personale e, quindi, cessa
con la morte dell’obbligato. MATRIMONIO
Premessa.
Il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia; esso è considerato l’atto col quale gli
sposi assumono l’impegno di fondare una famiglia. Il matrimonio è un negozio bilaterale,
dato che si crea attraverso la volontà dei due nubendi. L’elemento costitutivo del
matrimonio è rappresentato dalla sola volontà manifestata personalmente ed
incondizionatamente dagli sposi nelle forme previste dalla legge (t