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FONTI DEL DIRITTO.
Fonti del diritto. Gerarchia e competenza.
Sono fonti del diritto gli atti o i fatti considerati dall'ordinamento idonei a creare, modificare o estinguere norme giuridiche. Le fonti sono a loro volta individuate da altre norme (sulla produzione giuridica). Ogni norma è posta da una superiore: al vertice della gerarchia è la Costituzione, il fondamento della quale risiede nella sua legittimità. La pluralità e l'eterogeneità delle fonti ha il suo momento unificante nell'ordinamento che concorre a produrre. Le fonti sono ordinate nella gerarchia:
- a) fonti costituzionali (Costituzione e leggi costituzionali);
- b) fonti comunitarie (atti normativi dell'Unione europea) e talune fonti internazionali;
- c) fonti primarie (leggi ordinarie statali, decreti legislativi e decreti legge, regolamenti parlamentari, referendum abrogativo di leggi ordinarie e atti con forza di legge, leggi regionali);
- d) fonti secondarie (regolamenti amministrativi);
- e) fonti terziarie (consuetudini).
La Costituzione vigente è rigida, cioè non può essere modificata da leggi ordinarie del Parlamento; al contrario, le fonti primarie, poiché sono subordinate alla Costituzione, devono avere un fondamento costituzionale.
La gerarchia indica la forza attiva (capacità di creare, modificare o estinguere norme) e la forza passiva (capacità di resistere all'abrogazione) della fonte, collocandola in una scala gerarchica ove il livello inferiore cede rispetto alla forza di ogni livello superiore. La competenza indica la materia o il rapporto sul quale la fonte è abilitata a porre norme giuridiche. L'unica fonte a competenza generale è la legge ordinaria dello Stato, abilitata a regolare qualsiasi materia o rapporto, salvo che la Costituzione non vi escluda l'attribuzione di competenza ad altre fonti.
Costituzione, Codice Civile, leggi ordinarie.
Le norme costituzionali sono in una situazione di supremazia rispetto alle altre, al vertice nella gerarchia delle fonti. Norme fondamentali (regole o principi) sono direttamente applicabili. La legge, dunque, è subordinata alla Costituzione. La Costituzione è rigida: può essere modificata soltanto con una maggioranza qualificata del Parlamento, diversamente da quanto previsto per le norme c.d. ordinarie; tuttavia, la “forma repubblicana” non è modificabile da nessuna maggioranza. La Costituzione repubblicana risale al 1948 e si inserisce nell'ottica del rispetto dei diritti fondamentali della persona, al contrario del Codice Civile, in vigore dal 1942, la cui ottica di fondo è essenzialmente produttivistica. Esso è una fonte (del rango di legge ordinaria) contenente un insieme di proposizioni prescrittive raccolte in modo coerente e sistematico al fine di disciplinare in maniera tendenzialmente completa un settore.
Fonti del diritto della Unione europea.
L'ordinamento giuridico comunitario, distinto da quello statale, ha proprie fonti e un insieme di competenze ristrette alla materia economica e, in minor misura, sociale. La specificità dell'ordinamento comunitario non sottrae le fonti comunitarie al vincolo della legalità e della legittimità dello Stato italiano, altrimenti la loro forza normativa non avrebbe alcuna giustificazione all'interno del territorio nazionale. I cittadini italiani sono destinatari delle norme comunitarie e i giudici nazionali devono applicarle. Le fonti comunitarie operanti sul territorio nazionale devono essere ordinate con tutte le altre fonti nazionali fino a formare un sistema italo-comunitario. La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.
Tra le fonti comunitarie si rilevano i regolamenti e le direttive. I regolamenti hanno portata generale.
e sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Le direttive, al contrario, non sono
immediatamente applicabili, ma richiedono che ciascuno Stato le attui, emanando norme interne
corrispondenti. Se lo Stato non recepisce una direttiva, è responsabile del danno che l’inerzia o il
ritardo nella recezione provoca al cittadino. Da qualche tempo si è individuata una categoria di
direttive con efficacia diretta, quando esse siano incondizionate, sufficientemente precise e sia
scaduto il termine concesso allo Stato membro per il recepimento, la direttiva è direttamente
applicabile nei rapporti tra cittadino e autorità statale (c.d. efficacia verticale), mentre è esclusa
l’applicabilità diretta delle direttive nei rapporti tra cittadini (c.d. efficacia orizzontale).
Regolamenti e direttive con efficacia diretta prevalgono sulle leggi ordinarie interne. Tuttavia, essi
sono pur sempre gerarchicamente sottordinati alla Costituzione italiana. Le fonti comunitarie,
infatti, non possono essere contrarie ai principi fondamentali e ai diritti inviolabili della persona
garantiti dalla Costituzione; se ciò accade, esse sono incostituzionali e prive di efficacia nel nostro
ordinamento. Anche se le fonti comunitarie non sono atti dello Stato, la Corte Costituzionale ha il
potere di dichiarare incostituzionale una norma comunitaria.
In conclusione, dunque, per “legge dello Stato” si deve intendere non soltanto la legge statale, ma
qualsiasi disposizione avente forza di legge nel territorio statale.
Segue. Distinzione e vincolatività degli atti comunitari.
L’integrazione delle fonti nazionali e di quelle comunitarie ha prodotto un sistema italo-comunitario
del fonte, il giudice, se valuta la direttiva direttamente applicabile, disapplica la legge ordinaria
statale con essa contrastante; diversamente, applica soltanto la legge statale, interpretandola in
modo conforme alla direttiva.
Altre fonti. Leggi regionali. Consuetudine.
Fanno parte delle fonti primarie le leggi regionali, competenti per le materie non espressamente
riservate dalla Costituzione alla legislazione dello Stato. Nelle materie di legislazione c.d.
concorrente la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata allo Stato. La legislazione regionale, inoltre, non può riguardare materie di
diritto privato dirette a salvaguardare l’unità e l’eguaglianza.
La consuetudine (o uso normativo) è una fonte-fatto, mancando di una dichiarazione imputabile alla
volontà normativa di un soggetto determinato (fonte-atto); essa risulta da un comportamento
reiterato e costante dei consociati. Affinché il comportamento costante (usus) costituisca una
consuetudine, occorre che sia tenuto nel convincimento della sua doverosità. La consuetudine è
fonte terziaria, poiché subordinata alle leggi e ai regolamenti. Nelle materie regolate dalle leggi o
dai regolamenti ha efficacia soltanto se da essi richiamata: c.d. consuetudine secundum legem. La
tradizione ammette la consuetudine praeter legem nelle materie non coperte da fonti primarie o
secondarie. E’ inammissibile, invece, la consuetudine contra legem, in contrasto con una specifica
disposizione inderogabile e con un principio del sistema giuridico. Ogni consuetudine deve essere
controllata circa la sua rispondenza ai principi fondamentali, al fine di escludere la vincolatività
dell’uso che non abbia, in termini di meritevolezza, valutazione positiva da parte dell’ordinamento.
E’ fonte del diritto la consuetudine che presenti o assenti fonti primarie e secondarie superi il
giudizio di conformità a Costituzione.
Fonti internazionali.
Le consuetudini internazionali hanno un rango superiore alle fonti primarie e assimilabile a quelle
costituzionali. L’ordinamento italiano si conforma alle “norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute”, sì che il diritto interno si adegua automaticamente alle norme
internazionali generalmente osservate.
Per la vigenza dei trattati internazionali sul territorio nazionale è richiesto un atto-fonte di
recepimento. Ciò avviene o con una legge apposita che dia l’ordine di esecuzione del Trattato o con
specifici atti normativi, i quali introducono nell’ordinamento interno una disciplina che corrisponde
a quanto il trattato stabilisce.