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Prendendo ad esempio l'evoluzione legislativa italiana in tema di programmi didattici, ne emerge
che l'obiettivo dell'educazione del buon cittadino nel contesto della nostra tradizione umanistica
e cristiana scompare ed è sostituito da un obiettivo formativo che si design con la nuova
espressione di 'convivenza civile'. La condotta retta nello spazio pubblico è avvertita come meno
urgente e meno importante, mentre oggi sarebbe più urgente formare delle persone capaci di
comportarsi correttamente innanzitutto nella sfera privata, persone attente e vigilanti nella cura
della salute, nell'alimentazione, nel comportamento affettivo sessuale. Decisiva sarebbe la
capacità di modulare opportunatamente la propria condotta nelle micro-relazioni prima che nelle
macro, queste ultime afferenti allo spazio pubblico in cui agisce il cittadino.
Il buon governante
Il buon governante deve essere innanzitutto una persona virtuosa, cioè una persona onesta,
diligente, previdente, dedita esclusivamente alla cura del bene pubblico. In una Repubblica, la
persona a cui viene consegnato il potere deve avere un certo carattere, esporre requisiti morali
comunemente apprezzati; nei regimi assoluti o dispotici, invece, conta di più la capacità di
incutere timore o anche terrore, l'essere pronti alla spietatezza. Infatti, Montesquieu scrive che
ad un governo monarchico o ad uno dispotico non occorre molta probità per mantenersi o
sostenersi, ma in una Repubblica il conseguimento dell'obiettivo di disporre di buoni governanti
dipende da una pluralità di fattori. Gli elettori devono essere sensibilizzati ed educati a compiere
scelte consapevoli e devono scegliere conoscendo bene il candidato, che deve presentarsi in modo
trasparente.
Il candidato ideale non può essere uno che fa politica perché incapace di svolgere un'altra attività
o perché mosso dal desiderio di facili guadagni. Plutarco, nel trattato di precettistica per il buon
politico, raccomanda che vi sia un sistema di educazione e di addestramento di coloro che si
preparano a candidarsi: il buon candidato deve essere espressione di una buona scuola politica,
virtuoso e mai geloso della propria posizione e deve favorire il ricambio.
Il buon candidato, inoltre, è un buon governante quando si sia impegnato con merito si livelli
meno elevati (richiamo al cursus honorum come elemento di valutazione per l'elettorato). Deve
parlare in modo schietto, dicendo ciò che effettivamente pensa e i cittadini dovranno di
conseguenza valutare con severità il difetto di sincerità di chi aspira al potere o di chi il potere ce
l'abbia già. Il potere rende l'uomo insolente, prepotente, fa limitare le ambizioni ed esalta il
narcisismo. Per questo motivo, il politico migliore sarà l'uomo semplice, moderato, disposto e
disponibile ad essere avvicinato da tutti. È affidabile quel politico che ami sul serio la Repubblica e
la ponga sopra tutto, a cominciare dalla propria carriera e dal desiderio di non dispiacere ai
cittadini, specie a parte a quella parte che lo abbia sostenuto. Per questo si deve diffidare di quel
governante che cerchi di corrompere i cittadini; Plutarco scrive che "tali tentativi in nulla
differiscono dalla caccia e dal pascolo delle bestie senza ragione". Il successo di un uomo politico
dipende anche dalla sua disponibilità di avvalersi di collaboratori competenti ed indipendenti nel
loro giudizio, che vigilino sul suo operato evidenziandone anche gli errori o le deviazioni, e se
necessario ne prendano le distanze. Infine, deve conoscere la Repubblica, le istituzioni e i suoi
cittadini, avendo come unico obiettivo il bene pubblico. Poiché corre il rischio di sentirsi
superiore a seguito del potere conseguito, questo deve essere contenuto in durata, per difendere
la Repubblica dal pericolo di abusi commessi dai governanti e dai loro collaboratori.
Il buon giudice
La nostra idea di giustizia terrena è affidata a quell'uomo che, professionalmente o
occasionalmente, si configura come giudice in una contesa tra uomini che invochino il diritto o la
legge. Montesquieu nel suo "La bouche de la loi" afferma che i giudizi non devono essere altro che
un testo preciso della legge. Obiettivo che si sarebbe dovuto perseguire non soltanto rafforzando
le prerogative della legge che imponeva un protocollo di chiarezza e semplicità, ma anche
infondendo ai cittadini amministrati sentimenti di fiducia verso il giudice amministratore. Costui
è un funzionario dello Stato ed è titolare di un potere invisibile o, anzi, di un non potere, ossia
applicare semplicemente nella contesa quanto prescrive la legge, senza che vi sia la possibilità per
il giudice di contribuire al contenuto decisorio della sentenza, di interpretare la legge ed adattarla
al caso concreto e alle sue circostanze.
È però un'utopia, perché il giudice non può sottrarsi all'ufficio della comprensione del significato
del messaggio normativo. Anche la Costituzione all'articolo 101 recita "i giudici sono soggetti
soltanto alla legge"; nei fatti però, i giudici interpretano la legge, ricavano messaggi e talvolta
forzano il dato letterale (importazione dalle strutture di common law, dove l'evoluzione
normativa è affidata ai giudici attraverso le sentenze).
Si crede che questa crisi derivi da più ragioni:
Suggestione derivante dal modello americano;
Incapacità del legislatore di scrivere regole chiare e coerenti;
Maggiore rapidità rispetto alla legge nell'attuare le riforme per la sentenza;
Accessibilità consentita a qualunque cittadino all'istituzione giudiziaria;
Non accettazione di sottoposizione alla legge da parte del ceto giudiziario.
Il dovere dei giudici è essenzialmente quello di non attentare alla struttura fondamentale
dell'ordinamento normativo in cui operano. Lo stesso vale per le associazioni di magistrati,
costituite per la tutela degli interessi del ceto, che hanno il dovere di rispettare il principio della
separazione dei poteri e non dovrebbero quindi proporsi pubblicamente a sostegno o in critica
del legislatore.
Il giudice deve essere rimanere indifferente rispetto alle parti in conflitto e all'oggetto del
conflitto, dovendo serbare un atteggiamento di equidistanza verso i litiganti e verso una certa
soluzione della lite, alla quale dovrà pervenire solo all'esito del giudizio. Perciò, dovrà rifuggire
anche la sua visibilità, tanto che Montesquieu scriveva che il potere giudiziario deve diventare un
potere quasi invisibile. Il giudice, quindi, non deve proporsi quale protagonista della vicenda
giudiziaria, non deve comunicare pubblicamente le proprie opinioni o il procedere delle indagini
sugli accertamenti, non deve nemmeno partecipare alla vita pubblica o mondana o sociale della
comunità in cui opera, perché la loro indifferenza o indipendenza troverebbe facili occasioni di
compromissioni. Inoltre, il giudice deve essere competente (dovere che incombe sullo Stato, che
dovrà organizzare un percorso educativo idoneo a costituire la miglior competenza possibile per i
futuri giudici), non deve atteggiarsi a dominus del processo, alieno dal procedere dogmatico e
deve seguire sempre il dubbio metodico. Infine, deve essere sempre umile rispetto alla legge, alle
parti ed al processo. In Italia il forte deficit di spirito pubblico fa apparire fittizia la responsabilità
dei giudici, poiché è una responsabilità in parte senza sanzioni e pertanto affidata ad un'etica
pubblica assente.
Etica della responsabilità versus etica dei diritti
Responsabilità significa essere responsabili. Vi sono almeno tre accezioni di questo termine:
Responsabilità-RISPOSTA (resposum): investe il soggetto agente chiamato a rispondere e
rendere conto delle proprie scelte operative. È valutativa e punitiva.
Responsabilità-QUALITÀ: valorizza l'attitudine, la serietà, la capacità dell'agente ed è meno
interessata alle conseguenze dell'azione. È persuasiva ed elogiativa.Viene evocata quando
si afferma di essere responsabili e volersi assumere le proprie responsabilità, la quale si può
risolvere in una dichiarazione di orgoglio, un'auto valutazione positiva che può anche
essere immotivata.
Responsabilità-LIBERTÀ: la libertà è limitata dalle regole giuridiche, etiche, morali che
orientano le scelte. Non si è responsabili se la propria condotta non abbia alternative in
quanto costretta da una necessità insuperabile. La categoria della necessità assoluta può
essere strumentalizzata al fine di negare una responsabilità: questo accade spesso nei
processi per legittima difesa dove si discute dell'effettiva ricorrenza di una necessità
assoluta ad agire senza alternative in una certa direzione. Ed è proprio dalla necessità
coartante che si sono fondate teorie giustificazioniste volte ad escludere o ad attenuare la
responsabilità.
Il principio di responsabilità fonda l'ordinamento giuridico sia civilistico che penalistico.
Nell'ordinamento privatistico laresponsabilità è quel del debitore, mentre nel nostro caso la
responsabilità è quella del cittadino-debitore che non adempie ad un obbligo che a ragione ci si
attendeva da lui. In una Repubblica il cittadino è libero di condursi come crede, ma con il limite
del rispetto degli altri, delle istituzioni e dei loro scopi. Tale limite è intrecciato dalla legge e
dall'etica, dunque il cittadino dovrà condursi responsabilmente. All'affermazione diresponsabilità
deve seguire la sanzione nel caso di comportamento irresponsabile, poiché l'impunità è un fattore
di corruzione e dissoluzione di una repubblica (Machiavelli).
Weber distingue tra:
Etica della convinzione o dell'intenzione: qui il soggetto è responsabile solo per la conformità
della sua azione all'ideale o al valore che occorre realizzare. Le conseguenze e i mezzi non
contano, ha rilevanza soltanto l'intenzione, la purezza dell'agire e la sua motivazione.
Etica della responsabilità: è quella dei cittadini di una repubblica ben ordinata. Tale
responsabilità sussiste sempre ed è ineludibile, anche per quegli uomini che si trovano al
comando. *HANS JONAS: “Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano
compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla Terra”.
Talora i responsabili di gravi reati sono puniti mitemente o addirittura impuniti, possono anche
acquisire notorietà e profitti dalla situazione quando si tratta di personaggi di forte attrattiva
pubblica. In una repubblica ben ordinata la maggiore responsabilità grava sui titol