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La proposta di valutazione di una competenza filosofica

Tuttavia, se nello schema di UdA sono indicate bene le competenze attese, le abilità e le conoscenze in gioco, le forme di valutazione in itineree finali con chiarezza, la griglia di valutazione è già definita. Troppi criteri, indicatori, etc. rischiano di confondere quello che è nato per essere unitario, come appunto una competenza per la vita. Caputo ritiene più interessante, per la valutazione delle competenze, l'autovalutazione, che implica un livello di riflessione sul percorso svolto, e consente allo studente di riappropriarsi di quanto fatto e valutare in cosa può migliorarsi. Caputo riprende l'esempio di una delle competenze filosofiche mirate che aveva indicato nel sillabo sui presocratici: "Mettere in discussione l'ovvietà dell'esperienza della natura". La valutazione si potrebbe organizzare in maniera

semplice e sintetica:

  1. livello base, se lo studente inizia a metterla in discussione;
  2. livello intermedio, se sa metterla in discussione in maniera puntuale;
  3. livello avanzato, se riesce a mettersi in gioco in maniera approfondita.

I livelli di competenza verranno individuati in base a quanto fatto durante tutte le fasi dell'UdA (discussione in classe, lavori di gruppo, esercitazioni con testi, esposizione, etc.) e in relazione al compito-prodotto finale.

- Come si costruiscono "compiti di realtà" e "situazioni-problema"?

Una valutazione può essere considerata autentica se non si limita a verificare ciò che è conosciuto dallo studente ma, nella logica delle competenze, se cerca di valutare "ciò che sa fare e ciò che sa": è quindi autentica se verifica quello che uno studente è in grado di fare in situazioni reali. Un "compito di realtà" prevede qualcosa che

rimandi a un contesto reale, è simile a un evento o a una questione che si può incontrare nella vita e che richiede un'applicazione integrata di conoscenze e competenze. Per capire se sto assegnando un compito autentico o meno devo verificare che esso sia realistico, per cui potrebbe prevedere: - indicazione di una situazione nel mondo reale; - ruolo che gli studenti hanno in essa; - destinatario finale della prestazione stessa; - caratteristiche precise che deve avere il lavoro e il prodotto finale. Un'altra proposta è quella della situazione-problema o compito sfidante, o prova-situata. Il principio di base è identico: si tratta di lavorare con esperienze concrete, che possano attivare competenze. Perrenoud individua due caratteristiche chiave di una situazione-problema: 1. è organizzata attorno al superamento da parte della classe di un ostacolo; 2. deve offrire una resistenza sufficiente, in modo che chi la incontra deve potersi mettere in gioco.discussione ed elaborare nuove idee. Il nucleo della costruzione delle situazioni-problema è il circolo che si crea tra ostacolo-superamento-ritorno riflessivo all'ostacolo. Anche alle competenze che Caputo ha indicato per i presocratici si possono applicare queste proposte. Innanzitutto si rilegge la situazione/sfidante (o "domande-chiave") a partire dalle domande fondamentali della storia della filosofia; che quindi applicheremo all'UdA specifica, chiedendoci qual è il problema particolare sollevato nel periodo storico (o dal filosofo) che stiamo prendendo in considerazione. Dopo di che, si può pensare qualche compito di realtà filosofico (es. Domanda: Qual è il senso di tutto ciò che mi circonda?, Compito: Tenere un seminario a coetanei che non studiano filosofia e spiegare loro perché è una domanda fondamentale). - Cosa obietta Roberto Maragliano alla teorizzazione dei "compiti di realtà"?

Pasticcio di realtà, R. Maragliano individua due problemi nel parlare di "compito di realtà":

  1. Per la filosofia è paradossale chiedere agli studenti un "compito di realtà", proprio perché essa ha sempre messo in questione l'ovvietà della realtà. Avrebbe più senso proporre dei compiti di ripensamento, reinterpretazione o scardinamento della realtà. Inseguire didatticamente la realtà non fa un favore alla didattica, ma la scuola può comunque aiutarci ad affrontare la realtà, semplicemente rimanendo scuola perché anche la scuola è realtà. Una scuola ben fatta e ben vissuta non ha bisogno di chiamare "compiti di realtà" quelli che sono compiti che aiutano ad apprendere conoscenze e competenze: li chiama compiti e basta.
  2. Per quanti compiti di realtà possiamo fare, la vita sarà diversa e saremo sempre un po' impreparati.

A viverla. I problemi autentici non sono sempre quelli che di fatto nella vita ci troviamo ad affrontare, anzi, spesso sono quelli che nella quotidianità non ci poniamo o sfuggiamo. Forse, le uniche domande realmente autentiche sono quelle filosofiche in quanto domande della vita e per la vita (perennemente aperte, senza risposta definitiva). Inventare test per valutare le competenze filosofiche di ipotetici compiti di realtà è un'autocontraddizione enorme, nella logica delle competenze: un mondo chiuso in cui scegliere tra alcune opzioni è inautentico e per nulla filosofico.

In conclusione, qual è il compito della didattica della filosofia? Quello che veramente può fare la didattica della filosofia è richiamare tutte le discipline alla loro natura. Più si scopriranno le competenze proprie di ciascuna disciplina, più vivremo con profondità e completezza il suo insegnamento e apprendimento. E più ci

aiuterà nella sua realtà e autenticità.

INSEGNARE CONCETTI. La filosofia nella scuola di oggi – Alberto Gaiani

1. La filosofia nella scuola italiana- Come potremmo tentare di definire il concetto di "competenza"? Consideriamo la definizione di "competenza" data nelle Indicazioni nazionali del 2010, che riprende quella proposta dal Parlamento europeo(2008): "comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale". Quindi competenza come capacità da utilizzare, mettere in pratica; qualcosa di comprovabile, diverificabile; estraibile dal contesto in cui è stata assunta ed applicabile ad altre situazioni di lavoro, studio, esistenza; implicante un'interazione particolare di conoscenze, abilità e capacità. Occorre analizzare le ragioni storiche di questa

Ascesa della logica delle competenze, per comprendere se davvero si tratta di una rivoluzione copernicana oppure se pare essere solo un' "ossessione".

Perché si ricorda la Legge Casati? Il primo ordinamento della scuola del nuovo Stato unitario consistette nell'estensione all'Italia unita (1861) di un regio decreto legislativo del 1859, promulgato nel Regno di Sardegna, la cosiddetta Legge Casati. Il modello era ricalcato sulle scuole superiori prussiane e prevedeva due percorsi superiori ben distinti: l'istruzione secondaria classica e l'istruzione secondaria tecnica. Solo l'istruzione secondaria classica permetteva di accedere a tutte le facoltà universitarie. Era articolata in un ginnasio di cinque anni, a carico dei comuni, seguito dal liceo, di tre anni, a carico dello Stato. L'insegnamento della filosofia era previsto negli ultimi due anni del liceo e i contenuti seguivano il modello sistematico-teorico già

Inuso nella scuola francese. L'insegnamento della disciplina era tripartito in logica, metafisica ed etica.

Quali sono i presupposti teorici della Riforma Gentile (1923)?

Gentile avversava ogni modello di apprendimento astratto e mnemonico e riteneva che insegnare filosofia significava guidare a superare il mito dell'oggettività, a superare i limiti dell'io empirico. Ecco perché la vera pedagogia non potrà mai essere una scienza, definita da un metodo, da nozioni e da oggetti concettuali dati. La pedagogia è filosofia vivente in atto. L'allievo non è lo stesso soggetto empirico di cui parlano le scienze empiriche del positivismo. Il vero allievo vivente in divenire è lo "spirito" attivo in ognuno di noi, che va indirizzato e assistito nel suo libero divenire. Ecco perché ha poco senso ogni nozione oggettivata di "metodo didattico" o di "programma". Nel vero insegnare e nel vero apprendere,

insegnante e discente diventano una unità dialettica.- Fascistizzazione e defascistizzazione della scuola italiana Nel 1936 la riforma De Vecchi, promotore della fascistizzazione della scuola, stabilisce un'impostazione manualistica: insegnare storia della filosofia attraverso un manuale. Nel 1944 una commissione alleata guidata dal pedagogista americano Washburne viene incaricata di defascistizzare la scuola italiana. La riforma toglie dai programmi la Dottrina del fascismo, per il resto lascia struttura, linguaggio e contenuti della riforma De Vecchi. - Quali sono le finalità delle Indicazioni nazionali del 2010 e degli Orientamenti del 2017? Indicazioni nazionali Orientamenti E infine la svolta in vigore oggi: le Indicazioni nazionali promulgate nel 2010 dal MIUR, che prescrivono al contempo di: - promuovere nello studente la consapevolezza circa la "riflessione filosofica come modalità specifica e fondamentale della ragione umana"; - far acquisire allo studente "una conoscenza

dei punti nodali dello sviluppo storico del pensiero occidentale". Questo ambizioso obiettivo di tenere insieme prospettive e metodi assai diversi è stato poi ribadito e ulteriormente articolato nel documento del MIUR "Orientamenti per l'apprendimento della Filosofia nella società della conoscenza" uscito sul finire del 2017, che spinge a superare l'alternativa tra il "metodo storico" e il "metodo problematico", a cercare una dialettica tra comprensione contestuale della genesi di una dottrina e sua attualizzazione in relazione ai problemi di oggi.

2. Perché si insegna filosofia a scuola?

- Cosa distingue la filosofia dalle scienze naturali e perché la studiamo a scuola?

È possibile pensare la pluralità delle filosofie sul modello del risultato cumulativo delle scienze, per cui le scoperte parziali confluiscono in un modello unitario (cosiddetto normale, cioè normativo e attuale) di quella

teorie scientifiche abbiano bisogno di essere contestualizzate per essere pienamente comprese;- se la storia della scienza sia un elemento fondamentale per lo studio delle discipline scientifiche. In effetti, la storia della scienza ci permette di comprendere come le teorie e le scoperte scientifiche siano state influenzate dal contesto culturale, sociale e politico in cui sono state formulate. Ci aiuta a capire le motivazioni e le ragioni che hanno portato alla nascita di determinate teorie e alla loro evoluzione nel tempo. Utilizzando tag html, il testo formattato potrebbe apparire così:

data scienza? Di fronte alle scienze matematiche, fisiche e naturali, invece, a meno che non si sia specialisti di storia della scienza, siamo soliti trascurare le condizioni storiche entro cui le teorie furono formulate.

Questo parallelo ci porta a chiederci:

  • se le teorie filosofiche si comprendano solo ponendole in relazione ai contesti culturali che le hanno generate;
  • se le teorie scientifiche abbiano bisogno di essere contestualizzate per essere pienamente comprese;
  • se la storia della scienza sia un elemento fondamentale per lo studio delle discipline scientifiche.

In effetti, la storia della scienza ci permette di comprendere come le teorie e le scoperte scientifiche siano state influenzate dal contesto culturale, sociale e politico in cui sono state formulate. Ci aiuta a capire le motivazioni e le ragioni che hanno portato alla nascita di determinate teorie e alla loro evoluzione nel tempo.

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
14 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pexolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Perfetti Stefano.