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Diversi motivi di rivendicazione spingono Milosevic a compiere nel Kosovo una brutale azione di polizia volta ad
annientare il movimento indipendentista locale Uck, che a sua volta ricorre ad azioni terroristiche. In questa situazione
di crisi il governo italiano dà inizio all’”operazione Alba”, nella vicina Albania, condivisa da Francia, Spagna,
Danimarca, Romania e Turchia, volta a stabilizzare il quadro politico albanese-kosovaro, a distribuire aiuti umanitari e
a controllare il pericolo afflusso di armi. L’apice della crisi del Kosovo viene raggiunto nel 1998 quando l’esercito e la
polizia serbi danno luogo al più tragico massacro delle guerre jugoslave: l’eccidio di Drenica. USA, FR, GB, GR e IT
chiedono la cessazione delle ostilità e l’amministrazione Clinton riprende l’iniziativa inviando Holbrooke a convincere il
presidente dell’autoproclamatasi Repubblica del Kosovo ad accordarsi con Milosevic. In assenza di risultati, nel marzo
del ’99 viene deciso l’intervento della Nato contro la Serbia. Per quanto riguarda il destino del Kosovo, esso dipende
ancora dalla ris.1244 del CdS in cui si afferma la sua entità di provincia dotata di sostanziale autonomia nell’ambito
della Repubblica federale di Jugoslavia. Il primo decennio della GF si conclude senza che l’ultima crisi della
dissoluzione della Jugoslavia sia stata pienamente risolta sotto il profilo del suo ordinamento politico. Il presidente
della Commissione internazionale sull’area Balcanica Amato, afferma che i Balcani hanno raggiunto una certa
stabilità e che vedono svolgersi elezioni libere anche se non sempre corrette. Ma la situazione economica e sociale
resta critica. Egli indica anche le tappe che si dovrebbero seguire per risolvere il problema del Kosovo: riconoscere la
separazione de facto dalla Serbia, conferire un “indipendenza senza piena sovranità” in cui la comunità internazionale
mantenga poteri in ambito dei diritti umani e delle minoranze, una “sovranità guidata” coincidente con la sua
candidatura a membro dell’UE e infine una “sovranità piena ma condivisa” con il suo ingresso nell’UE.
4. Verso l’unificazione dell’Europa
Alle forze di disgregazione degli stati dell’Europa centro-orientale, liberate dalla fine della GF e del sistema bipolare e
che hanno portato alla dissoluzione della Jugoslavia e alla separazione delle due nazioni componenti la
Cecoslovacchia, si contrappongono altre in senso contrario, verso l’unità. Grandi storici della civiltà, economisti e
statisti discussi come Gorbaciov contribuiscono a creare il clima culturale in cui i governi devono iniziare ad affrontare
il problema politico del Vecchio continente. Questi ultimi però devono tenere conto anche delle posizioni degli
intellettuali vivendo in un’epoca di forte influenza dell’opinione pubblica sulla politica internazionale. Tra questi emerge
il gruppo facente capo al professore Ash, al tedesco Martens e a Dominique Moisi, direttore dell’istituto francese di
relazioni internazionali che afferma che “l’unica questione importante da affrontare nel nostro continente è quella della
democrazia e che le democrazie ancora acerbe di Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria devono essere inserite nella
Comunità europea”. Tutti i paesi europei infatti guardavano all’unificazione secondo il percorso ideale libertà-
democrazia-economia di mercato-“Europa”-“Occidente”, ma le posizioni erano diverse a seconda della loro storia e
della loro posizione geografica. I paesi europei occidentali, dall’altra parte, erano disposti ad affrontare il problema
dell’Europa uscita dalla GF a patto di accogliere nell’Unione i nuovi partner soltanto quando avessero dimostrato di
avere istituzioni politiche democratiche e una legislazione a tutela dei diritti umani. L’Europa degli anni ’90 si trovava
perciò di fronte a due strade: quella dell’approfondimento (deepening) dell’Unione e quella dell’allargamento
(widening) che si estendeva a tutti i paesi del continente. La situazione internazionale incerta e le preoccupazioni per
una Germania considerata troppo grande e da tenere legata alla Comunità spinsero gli ambienti dirigenti dei paesi
membri a concentrarsi inizialmente sull’approfondimento dell’Unione attraverso il perfezionamento delle istituzioni
giuridiche pubbliche e private e lo sviluppo economico. Già nel 1986, i 12 stati della Cee avevano sottoscritto l’Atto
unico per l’introduzione nel ’92 della libera circolazione dei beni, dei servizi e delle persone nel territorio comunitario.
Ciò rappresenterà una buona base per il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 con cui si creerà l’UE. Tale trattato
prevedeva che l’Unione fosse costruita su 3 pilastri: le Comunità, una politica estera e di sicurezza comune e la
cooperazione giudiziaria in materia penale. Sarà però con la creazione di una moneta unica: l’euro, nell’ambito del
trattato di Maastricht, che si avranno grandi passi in avanti nel processo di unificazione europea. In particolare, due
sono le potenze europee spinte dalle loro politiche nazionali a prendere l’iniziativa di fare del Trattato di Maastricht
una tappa decisiva sulla strada dell’unificazione: Francia e Germania. L’introduzione dell’euro non a caso può essere
vista come un’operazione di successo delle loro diplomazie. Tuttavia bisogna considerare anche quelli che sono stati
definiti dallo storico britannico Judt “effetti collaterali” del trattato. Il primo effetto consiste nell’improvvisa spinta che
quest’ultimo dà alla Nato, la quale porta gli stati dell’ex Patto di Varsavia rapidamente in Europa garantendoli la
sicurezza dall’ex potenza sovietica. Il secondo effetto invece sarebbe stato quello di suscitare un interesse senza
precedenti per il modo di operare della burocrazia europea, visto come poco trasparente. Il terzo effetto è quello di
portare la Svezia, la Finlandia e l’Austria all’inserimento nell’Unione.
I rappresentanti degli stati dell’Unione decisero di affrontare in due conferenze, di Amsterdam 1997 e di Nizza 2000, le
questioni lasciate fuori a Maastricht. Durante la prima furono posti i problemi dell’occupazione, di una più stretta
collaborazione in campo giuridico, dell’ampliamento del numero delle materie decise a maggioranza all’interno
dell’UE, della delinquenza e del terrorismo. Tuttavia il trattato di Amsterdam venne definito come quello della discordia
dal momento che non portò a risultati soddisfacenti. Nel 1994 vennero ammesse all’Unione la Svezia, la Finlandia e
l’Austria, qualificati come associati nel ’91, mentre Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria presentarono domanda di
ammissione dando inizio ad una “corsa all’allargamento” che coinvolse, oltre a tutti gli stati dell’Europa centro-
orientale, anche: Malta, Cipro e Turchia. Dopo “il trattato della discordia” gli sforzi per l’integrazione europea
proseguirono appunto con il trattato di Nizza dell’11 dicembre 2000. Come afferma il commentatore italiano Bonanni
“la lezione di cui a Nizza i capi di governo devono trarre le conseguenze è che l’Europa deve agire come un unicum
presentando all’esterno valori comuni”. Il vertice di Nizza fu dominato fino all’ultimo da contrasti, soprattutto riguardanti
il numero di voti a disposizione dei membri all’interno del Consiglio. A questo punto cominciava a figurarsi la futura
Europa dei 27. L’Unione a Nizza compì altri limitati progressi nella materia delle decisioni prese a maggioranza, in cui i
membri maggiori poterono mantenere i loro veti, e nell’avviare la creazione delle “cooperazioni rafforzate” (di cui se
n’era parlato già ad Amsterdam) costituite da almeno 8 paesi che intendessero procedere all’integrazione di specifici
settori.
5. La Nato senza il nemico sovietico
Alla fine della GF, l’istituzione internazionale che rappresenta in modo emblematico l’unità dell’Occidente è l’Alleanza
atlantica. Pur essendo svanito il pericolo di un’espansione sovietica verso l’Europa occidentale, l’alleanza non venne
sciolta ma rimase in vigore cambiando i propri intenti politici e la sua struttura militare. Tra i diversi motivi che hanno
portato alla sua sopravvivenza, tre meritano una particolare attenzione:
-innanzitutto si riteneva opportuno mantenere questa alleanza per continuare a garantire la difesa dell’Occidente di
fronte agli imprevedibili sviluppi della situazione politica della Russia;
-in secondo luogo era impensabile rinunciare ai vincoli storici che si erano venuti a creare nei decenni;
- in terzo luogo, la Nato disponeva dell’unica forza militare efficiente e pronta, da utilizzare, se non per la difesa, per la
gestione di eventuali crisi entro e fuori i suoi limiti geografici. Infatti quando svanì il pericolo di un attacco militare da
est, l’intento della promozione della democrazia assunse formulazioni più esplicite nei documenti della Nato
divenendone a GF terminata un programma di rilancio del ruolo della Nato. L’alleanza quindi iniziò a ridurre l’entità
delle sue forze raggiungendo nel 1987 un’intesa con il Patto di Varsavia che portò due anni dopo all’accordo “cieli
aperti”. La vera svolta si ebbe però dopo la caduta del muro di Berlino nel 1990 con la Dichiarazione di Londra, che
richiamò l’alleanza ad essere ora un fattore di cambiamento della situazione internazionale, sostituendo l’intento della
difesa contro la superpotenza militare sovietica con quello dell’aiuto all’Europa e al suo processo di unificazione. Di
conseguenza la Nato, assieme ad altre istituzioni internazionali come Cee, Ue, Csce e Osce, assunse il compito di
garantire la sicurezza e la stabilità di un continente non ancora unificato. Nel ’91 il Consiglio atlantico di Copenaghen
stabilì con gli stati dell’Europa centro-orientale un “partenariato” mentre col successivo vertice di Roma venne redatto
il Nuovo concetto strategico dell’alleanza. il documento indicava i nuovi compiti della Nato, ora globali: fornimento
delle basi per un environment di sicurezza in Europa; controllo sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa;
interventi contro azioni di terrorismo o di sabotaggio.
Nel frattempo l’allargamento dell’alleanza avveniva su due vie: quella diplomatica dell’inserimento graduale degli ex
stati membri del patto di Varsavia e quella militare degli interventi nella ex Jugoslavia. Riguardo a quest’ultimo punto,
nel settembre ’92 il Consiglio atlantico iniziò ad impiegare risorse per ristabilire la pace, nel mese successivo venne
stabilito