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Naturalmente il superamento degli ostacoli, che minano la promozione dell’indipendenza
attraverso la strutturazione dell’ambiente, è possibile partendo da un principio fondamentale: “la
via maestra per promuovere l’indipendenza e l’autonomia nella persona con disabilità è
l’individuazione delle abilità possedute dalla persona e la consapevolezza delle abilità necessarie
per svolgere il compito proposto. Si ha indipendenza in un compito quanto esso richiede abilità che
sono già possedute. Si ha apprendimento indipendente di un’abilità, quando l’abilità che manca
per svolgere un compito è emergente (il resto delle abilità richieste è noto) e il compito è strutturato
in modo da promuovere l’esercizio dell’abilità nel grado emergente posseduto, con questo
promovendo anche l’acquisizione di questa nuova abilità.”
Inoltre vanno considerati almeno altri 3 elementi per la costruzione di un lavoro educativo basato
sulla promozione dell’indipendenza:
• La valutazione funzionale delle abilità della persona rispetto al compito che si vuole
proporre. È importante che l’educatore conosca il bagaglio di competenze che la persona
possiede al fine di articolare proposte che siano alla sua portata.
• Conoscenza precisa delle abilità richieste per lo svolgimento del compito e conoscenza
della sequenza con la quale si devono presentare nel corso dell’attività.
• Attenta organizzazione del modo in cui l’attività va svolta in modo che il
comportamento della persona sia associato alle variabili inerenti l’attività e non alle
interferenze del personale educativo.
Questi tre elementi possono essere sintetizzati come concetto di FACILITAZIONE. Facilitare è
chiedere al soggetto di fare ciò che sa fare; adattare i compiti alle sue abilità; rendere possibile un
apprendimento nuovo facilitandolo, depurandolo cioè da quelle complicazioni che renderebbero
l’apprendimento autonomo o l’esercizio autonomo impossibile. Esistono due modalità in cui è
possibile attuare una facilitazione:
1) Definire il tipo di aiuto iniziale di cui la persona ha bisogno per compiere la prestazione, per
passare successivamente ad una graduale e progressiva riduzione dell’aiuto fino alla sua
elisione per permettere alla persona di fare da sé. Efficace per persone che hanno un
livello di abilità lontano da quello richiesto per compiere l’attività in autonomia.
2) Partire dall’organizzazione facilitata dell’attività target. Vuol dire organizzare un’attività che
abbia un livello di complessità accessibile al livello di abilità della persona; aumentare
gradualmente il livello di complessità dell’attività in seguito al padroneggiamento da parte
del soggetto; variare l’organizzazione dell’attività in modo che, difronte a situazioni simili, il
soggetto può ricorrere all’uso di abilità apprese; organizzare l’attività in modo che la
persona riceva dall’attività stessa le indicazioni e gli aiuti per svolgerla.
All’interno di ecosistemi residenziali si possono adottare entrambe le modalità di facilitazione.
Tuttavia la riflessione basata sull’organizzazione dell’ambiente porta su un percorso di lavoro
educativo più ricco, creativo. In quanto consente alle persone con DI di essere protagoniste della
propria vita e al personale educativo di adottare stili mentali meno assistenzialistici.
Cap. 5 La relazione umana nell’educazione strutturata
La relazione va concepita come strumento per la crescita della persona che vive la condizione di
disabilità intellettiva. In questo senso chi svolge un ruolo educativo ha il compito di studiare le
abilità espresse dalla persona con disabilità, di sperimentare con lei cosa è capace di fare, di
progettare e costruire concretamente quegli oggetti e quelle attività che permetteranno alla
persona il raggiungimento dell’autonomia e l’apprendimento di quanto le serve. Questo
atteggiamento porta ad essere in costante relazione con la persona con disabilità intellettiva.
Il lavoro professionale verso la costruzione di una relazione nutriente per la promozione umana
non può esaurirsi nell’indipendenza e nell’autonomia. Vanno infatti approfondite le aree di
relazione con gli altri, le abilità comunicative, quelle sociali, quelle di espressione e gestione delle
emozioni ecc.
Questi percorsi saranno possibili solo se prima le persone cresceranno come soggetti.
La percezione e la sperimentazione della propria indipendenza, anche se piccola e legata
all’assolvimento di un compito semplice, è la strada maestra per l’accesso a una sana relazione
(non più come solo contatto fisico, assistenza, ma come contatto fra cittadini di questo mondo).
seconda parte: l’indipendenza possibile all’interno di un sistema residenziale
Cap. 6 Indipendenza e educazione strutturata
una parte del processo educativo consiste nell’insegnare o far scoprire alle persone con disabilità
dello sviluppo sistemi e strumenti che li aiutino a organizzare e gestire la vita nel modo più
congeniale. Molte persone affette da autismo o altri disturbi di apprendimento manifestano una
rigidità di comportamenti nell’affrontare il loro ambiente.
Avere chiaro questo bisogno di prevedibilità (tipico di chi ha disabilità dello sviluppo) vuol dire
comprendere e orientare positivamente questa rigidità; sfruttando quest’ultima è possibile
apportare accorgimenti ambientali che permettono alla persona di esprimersi con una rigidità
minore proprio grazie ad una maggiore comprensione degli eventi che porta alla manifestazione di
un comportamento più rilassato. Se le persone con disabilità dello sviluppo imparano a seguire i
segnali che rendono più organizzato l’ambiente, hanno ampie possibilità di diventare più efficienti
(proprio per questo a loro piacciono la struttura e l’organizzazione).
Gli educatori hanno il compito di rendere chiara e comunicativa la struttura della giornata nel
susseguirsi dei suoi momenti, della organizzazione delle attività e dell’organizzazione del singolo
compito.
Queste persone possono raggiungere performance migliori e una maggior autonomia nel momento
in cui riescono a comprendere la disposizione delle cose, cosa succederà, in che orine, quanto
dureranno le attività, il grado di famigliarità o difficoltà delle attività, chi si troverà nella stanza o
nelle vicinanze, cosa ci si aspetta da loro e quali conseguenze derivano da comportamenti
appropriati o inappropriati.
La struttura richiede pianificazione e organizzazione, ma non ci dev’essere un approccio
autoritario; può includere la varierà, la possibilità di effettuare scelte, e molte altre componenti che
rendono l’insegnamento individualizzato ed efficace.
Per poter rendere concrete e quotidiane queste esperienze è importante avere la capacità di
analizzare le dimensioni fondamentali in cui la realtà può essere strutturata:
• La struttura delle azioni/attività che si svolgono nel tempo
Ci si riferisce alla definizione di uno schema della giornata/settimana/… attraverso
materiale concreto; bisogna costruire e organizzare delle agende strutturandole con
materiale (foto, simboli disegni, scritte, oggetti 3D,..) personalizzato sul livello di abilità degli
individui che la devono usare. Questa organizzazione risponde alla domanda: cosa c’è da
fare ora?
All’interno di ecosistemi residenziali, la strutturazione della giornata attraverso l’uso
sistematico e quotidiano di agende può determinare nell’utenza minor ansia, maggior
disponibilità ad accogliere piccole modificazioni di routine rigide apprese nel passato;
maggior disponibilità ed efficienza nell’affrontare attività e proposte educative che si
susseguono nei diversi momenti della giornata.
Per gli educatori permettono di cogliere nell’agenda un modo ordinato e immediatamente
intellegibile di proporre le attività, una alla volta, riducendo al minimo le parole che possono
causare confusione.
Inoltre permette agli operatori di pesare e predisporre con anticipo i percorsi di giornata
valutando con un maggior distacco professionale quanto appropriato è il n° delle proposte
di attività per ogni singola persona e quanto queste persone possono essere effettivamente
seguite nelle situazioni di apprendimento individualizzato.
Ancora, permette di studiare con più attenzione l’alternanza fra attività preferite e quelle che
richiedono maggior impegno (elemento di aiuto per le persone con DI e relazionale nel
tollerare al meglio i compiti più difficili).
Infine, la conquista di dimestichezza nell’uso dell’agenda come strumento di lavoro aiuta a
calibrare i cambiamenti nelle routine, cioè una agenda che usi parole, immagini, oggetti,
può ricordare alle persone i momenti di cambiamento, mentre gli operatori possono trovare
una certa utilità nel dare preavvisi o nel preannunciare i cambiamenti che stanno per
verificarsi.
Sempre per gli operatori, l’organizzazione del lavoro educativo attraverso agende assicura
che vi siano adeguati periodi di insegnamento e che il tempo sia distribuito in modo
ragionevole secondo le diverse priorità previste nel PEI.
Le agende, per essere utili, funzionali ed efficaci sono da pensare con durate variabili, in
base alle caratteristiche di funzionamento della singola persona. Sono quindi composte da
un determinato numeri di informazioni che il singolo utente è in grado di recepire come
sequenza temporale. Sono da costruire pensando al grado di abilità e indipendenza che la
singola persona con DI può sperimentare.
• La struttura dello spazio fisico
Con la definizione dello spazio fisico si cerca di rispondere alla domanda: dove devo fare
questo?
La gestione e organizzazione dello spazio fisico può essere pensata attraverso
l’individuazione di “centri o luoghi” discriminabili mediante matreriale concreto, colori
distintivi, segnali, immagini, fotografie o altri simboli di identificazione.
Questi stimoli hanno la funzione di dire al soggetto per cosa si caratterizza quel
determinato luogo. Ad esempio: ceste posizionate sotto il lavandino del bagno. In queste
ceste vengono raccolti gli indumenti da lavare prima di fare la doccia. Per ogni residente
sarà chiaro che l’informazione cambiarsi per la doccia avrà un luogo specifico di azione
che corrisponde a dove sono da mettere gli ind