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GIORGIO VIGOLO:
Roma è stata scelta come ambientazione di molti suoi racconti fantastici con lo scopo di
<<cercare l’ignoto nel noto; immaginare che accanto alle strade, dove avevo tante volte
passeggiato fin dall’infanzia, potessero esisterne altre così diverse e meravigliose>>. In numerosi
racconti egli ha fatto emergere il suo leggendario passato e la sua aura di misterioso fascino
soffermandosi su alcuni scorci urbani. È il caso del lungo racconto La Virgilia, o la Roma
dell’anno Mille in Le notti romane dove Vigolo insinua l’idea che sotto le mille chiese e
catacombe e il Laterano e il Vaticano vivano gli dei un tempo adorati.
Avventura a Campo di Fiori è quindi ambientato in una città reale che dalla contemporaneità
sfuma in un passato dove si combinano indicazioni di luoghi di cui Vigolo ci dà l’attuale
denominazione, o la denominazione popolare, o indicazioni di luoghi frutto della sua fantasia e
per i quali si possono solo azzardare supposizioni. Roma viene perciò deformata nel corso della
narrazione e la breccia tra spazio e tempo così creata determina il disorientamento del
narratore in primis e del lettore poi. 19 di 32
BUZZATI E VIGOLO: LE DUE QUESTIONI
Gli scritti di Buzzati e Vigolo ruotano attorno a due questioni:
Da un lato la relazione dei personaggi con la città —> vi è un’identità geografica tra i
• personaggi e le città in questione: infatti i personaggi, in quanto abitanti rispettivamente di
Milano e Roma, si muovono con agio tra le vie e i palazzi delle due città e non sono distratti
dalle bellezze architettoniche in quanto le conoscono bene;
Dall’altro la funzionalità della città per il discorso fantastico —> la città è sempre
• rappresentata come luogo di vita, di incontri, di accadimenti. Le città prescelte sono
riconoscibili nelle vie e nelle piazze, tuttavia nel corso della narrazione si ha la sensazione di
smarrire la dimensione spaziale e ciò equivale a smarrire anche quella temporale.
L’oscillazione tra sogno e realtà che ne deriva sottolinea la necessità dell’uomo
contemporaneo di andare oltre la realtà alla ricerca di mondi paralleli nella convinzione che
non esiste una verità univoca, ma una serie infinita di possibili verità.
8. ALCUNE NARRATRICI FANTASTICHE
Con quali modalità le donne si dedicano alla letteratura fantastica? Esiste un fantastico al
femminile? Sono state individuate alcune narratrice italiane (nascono in anni lontani tra loro),
che coprono l’intero secolo e addirittura in un caso sconfinano nel duemila. Durante la lettura
delle loro opere emerge un fatto: possiamo dire che nel Novecento le scrittrici non scrivono più
<<for the sake of breaking>>, ma scrivono <<for the sake of creating>>. Sono lontani i tempi
in cui le donne scrivevano sotto anonimato o sotto la protezione di uno pseudonimo maschile
per evitare sanzioni o censure. (alcuni scritti di Elsa Morante uscirono sotto lo pseudonimo di
Antonio Carrera).
Per Monica Farnetti solo il fantastico femminile nel panorama novecentesco, si direbbe aver
salvato le sorti di questa letteratura, destinata altrimenti a passare di moda; sono state infatti le
scrittici a tenere aperta la strada del fantastico.
Ciò che interessa è indagare quali sono le caratteristiche principali del fantastico trattato dalle
donne, quali aspetti sono comuni e quali sono i percorsi individuali intrapresi da ciascuna delle
narratrici qui considerate. Questa scelta narrativa ha comportato per alcune una sorte di
isolamento, in quanto lontane per gusto e interessi alle tendenze dominanti della letteratura
italiana; per altre si tratta del disconoscimento di quanto prodotto (Elsa Morante).
Il percorso che compiremo attraverso l’opera delle narratrici italiane qui citate evidenza come la
scrittura sia considerata una pratica di conoscenza. Colpisce che protagonista delle narrazioni
fantastiche è la presenza femminile al quadrato —> si tratta di donne che scrivono di donne;
implica una sensibilità nei confronti del perturbante diversa da quella maschile.
ANNA MARIA ORTESE:
La produzione di Anna Maria Ortese è quella che rappresenta in modo più compiuto l’apertura
verso l’altro, la volontà di conoscere per conoscersi. Parlare di draghi, di iguane, di puma, di
folletti, di creature storpie è per Ortese il pretesto per parlare della cattiveria dell’uomo che di
fronte alla bontà risponde con la crudeltà. 20 di 32
L’avventura del drago in Piccolo drago – Conversazione, è motivo per Ortese di concludere che
<<è solo l’uomo che dà dolore, non la Bestia; e lo dà anche quando non necessario. Lo dà per
gioia, per togliere qualcosa a un altro, per degradarlo>>. L’intera opera della scrittrice può
essere ricondotta a un unico motivo: quello dell’infelicità e del dolore e la trilogia fantastica
(L’iguana, Il Cardillo addolorato, Alonso e i visionari) è popolata da creature ambigue, a metà
strada fra l’umano, l’animalesco e il divino:
La donna-lucertola dell’Iguana —> degradata da figliolina dell’uomo al ruolo di sguattera;
• Il bambino deforme-folletto del Cardillo addolorato messo al bando dalla comunità
• perché ritenuto malvagio;
Il puma mite e benevolo di Alonso e i visionari —> animale immateriale fatto della stessa
• sostanza degli dei, sono esseri offesi e umiliati che rappresentano la creazione oltraggiata
quotidianamente dall’uomo e dalla sua ragione che tutto vuole definire e sottomettere.
Anche il fantasma è da considerarsi una forma di “straniero” e infatti, quando a incontrare un
fantasma è una donna, gran parte dei motivi tradizionali di terrore e smarrimento salta a favore
di un’apertura e di un’accoglienza che rappresenta il vero elemento perturbante, più
sconvolgente della comparsa del fantasma stesso. Infatti, l’atteggiamento di disponibilità,
gentilezza, compassione è caratteristico delle donne. Gli eventi inspiegabili che avvengono nel
racconto Sulla terrazza sterminata non si rifanno più ai fantasmi della tradizione, ma sono
smagliature del mondo sensibile che ci circonda e che mostrano la fragilità della realtà fatta di
causa ed effetto, dietro alla quale ognuno di noi si barrica per non restare disorientato.
Nel racconto Il fantasma è lo sconcerto a regnare sovrano, essendo il contenuto a metà strada
tra l’accettazione della tradizione e l’irrisione dei suoi temi. Certamente però la perdita
dell’aspetto orrifico consente anche a questo scritto di rispecchiare la generale attitudine
novecentesca nei confronti del fantastico, inserendosi appieno nel contesto del XX secolo.
Il perturbante sembra presentarsi dunque, per una donna, come occasione insperata per tentare
forme inaudite di rappresentazione di sé e del proprio desiderio: quasi che la “casa”, spazio
femminile per eccellenza, proprio laddove la si scopra “infestata di spettri” possa essere
veramente abitabile, convertendosi in spazio dell’utopia, della libertà e del divenire. (Farnetti)
Dall’esperienza con perturbante le donne ne escono rafforzate, hanno più consapevolezza di
loro stesse, arrivano persino ad essere ciniche e crudeli, come succede al personaggio nel
racconto Anna di Garlaschelli. Come si vede, l’Unheimliche freudiano (perturbante), punto
nevralgico dal quale far partire ogni riflessione sulla produzione fantastica, si dimostra
insufficiente a trattare del fantastico al femminile.
PAOLA CAPRIOLO:
Il racconto La grande Eulalia mostra come la realtà sfumi in una dimensione spazio temporale
“altra” che, anziché disorientarla, trasforma la sua identità, rappresenta il momento in cui le
apparenze si rivelano ingannatrici e le ombre rassicuranti e solidali. Assistiamo infatti alla
sovrapposizione di personalità e allo sdoppiamento di Eulalia tramite il grande specchio
presente nel carro in cui lei vive. 21 di 32
BENEDETTA CAPPA MARINETTI:
La dimensione onirica e le immagini interiori che sfociano nella deformazione espressionistica
della realtà animano anche gli scritti di Cappa, e in particolare Astra e il sottomarino, in cui la
realtà si mescola e si confonde con il sogno, così da generare immagini che vanno oltre il tempo
e lo spazio tale da rendere al tempo stesso visibile e simultaneo il succedersi di sensazioni
impossibili. Marinetti indicherà Benedetta come l’iniziatrice di un nuovo genere, quello del
<<romanzo di vita trasognata>>.
IL TEMA DEL SOGNO:
ELSA MORANTE
- Il sogno è parte fondante di numerosi racconti della Morante, in particolare proprio quei
racconti che la scrittrice raccolse nel Gioco segreto, ma successivamente non inserì nello
Scialle andaluso, e altri pubblicati solo su rivista. Morante situa lo straordinario nel
quotidiano e scenari urbani accolgono eventi che si allontanano dal reale. È bene
sottolineare però che il fantastico di Morante nasce dall’attrito tra tecniche prettamente
novecentesche e un’ambientazione ottocentesca e decadente dove le tematiche più
fruste inscenano ancora la loro danza terrificante.
Fantasmi, scenari decadenti che ricordano lontani fasti dove trovano alimento baroni
ossessi, donne assassine, cocchieri dannati sono gli elementi ottocenteschi di alcuni
racconti di Morante. Il racconto Il cocchiere manifesta chiaramente questa tendenza.
Molti dei suoi racconti sono avvolti da un’atmosfera a metà strada tra il sonno e la veglia:
nel racconto Innocenza, nel Il barone follia e allucinazioni si intrecciano.
ANNA MARIA ORTESE
- Con frequenza Ortese si rifugia nel sogno e spesso sogno fa rima con allucinazione.
Questo vale per il racconto La casa del bosco, che è attraversato da uno stato
allucinatorio difficile da descrivere. La narratrice chiama spesso in causa il lettore per
farlo partecipe delle sue paure, dei suoi pensieri; Ortese ha rappresentato attraverso il
sogno l’insieme delle informazioni molteplici e confuse in cui è immerso il soggetto
umano e nell’onirico rileviamo anche l’anelito dell’uomo.
LALLA ROMANO
- Anche l’esordio di Lalla Romano, che pubblica nel 1951 Le metamorfosi è di tipo
fantastico: un fantastico onirico, “visioni oniriche”, che appartengono a cinque
personaggi tra cui la stessa scrittrice. Romano non tenta di dare alcuna interpretazione ai
sogni descritti, ma invita il lettore a collaborare, a proporre personali interpretazioni.
Spesso riaffiorano nei sogni ricordi della guerra, della resistenza, dei partigiani, dei