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Per i neoculturalisti, quindi, il linguaggio è semplice. Secondo Chater, è facile apprendere e usare il

linguaggio non perché i nostri cervelli incorporino una qualche conoscenza del linguaggio, ma

perché il linguaggio si è adattato ai nostri cervelli. Il linguaggio, quindi, è considerato non come il

prodotto dell’evoluzione biologica, ma come il prodotto dell’evoluzione culturale. Secondo i

neoculturalisti, la mente è fatta di numerosi sistemi cognitivi formatisi attraverso la selezione

naturale (mente modulare), ma nessuno di questi è predisposto per la comunicazione verbale: non

c’è bisogno di dispositivi innati specifici per il linguaggio, perché i sistemi cognitivi già esistenti

(adatti per altri scopi) funzionano alla perfezione anche per la comunicazione quando cambiano le

situazioni ambientali. Quando i neoculturalisti parlano di complessità del linguaggio si riferiscono alla

complessità della grammatica delle lingue storico-naturali (sforzi messi in atto dai parlanti nelle situazioni di

uso ai fini di una comunicazione sempre più efficiente). La biologia non è esclusa del tutto in una

prospettiva del genere, ma svolge soltanto il ruolo indiretto di vincolo alle variazioni possibili. Quando si

abbandona l’idea della grammatica universale, allora sono i processi storici del cambiamento linguistico

che forniscono un modello dell’evoluzione del linguaggio. Se il linguaggio non proviene da un modulo

specifico del cervello ma da altri moduli con altre funzioni, poi cooptate per produrre il linguaggio, allora si

ha l’idea del linguaggio come exattamento.

All’interno dell’evoluzionismo ci sono due scuole di pensiero: gli ultradarwinisti (Dawkins; puntano sul

concetto di adattamento e quindi sulla selezione naturale; credono che vi sia una stretta correlazione tra

struttura e funzione: le strutture sono risposte adattatore alle funzioni da svolgere) e i naturalisti (Gould; la

selezione naturale è solo una dei fattori in gioco nell’evoluzione; credono che vi siano strutture diverse

utilizzabili per una stessa funzione, mentre funzioni diverse potrebbero essere svolte dalla stessa struttura,

e ancora strutture evolutesi per alcune funzioni potrebbero venire usate per altre funzioni eccetera). Alla

base del naturalismo vi è quindi il concetto di exattamento (exaptation; Gould). Secondo i naturalisti,

exattamento e adattamento sono entrambe fondamentali nel processo evolutivo. Quando i neoculturalisti

sostengono che il linguaggio è un exattamento, lo fanno soprattutto per sottolineare che non è un

adattamento biologico. Dire che il linguaggio è culturale e non naturale significa dire che l’essere umano ha

una “doppia natura”, a differenza degli animali, sia biologica sia culturale.

Secondo Deacon e Tomasello, biologicamente, siamo animali. Mentalmente invece siamo un nuovo tipo di

organismi. Come è stato possibile “separarci” mentalmente dai nostri antenati? O le variazioni sono state

lenti e graduali, in linea con la selezione naturale (adattazionismo: a ogni struttura una funzione), o le

variazioni si sono manifestate all’improvviso (exaptation: una struttura ha svolto una funzione diversa da

quella propria). È l’avvento del pensiero simbolico (nel sapiens moderno, che ha fatto estinguere i

Neandertal) ad aver fatto scaturire l’evoluzione culturale. Secondo Tattersall il simbolismo è innegabilmente

l’essenza dell’umanità, quindi gli umani sono speciali nella natura in quanto dotati di pensiero simbolico.

Siccome l’essere umano è speciale, non si possono studiare gli umani partendo dal confronto con altre

specie. Non ci sono nessi di continuità tra la specie homo sapiens e le altre, in quanto l’umano inventa i

simboli. Secondo Tattersall la funzione principale del linguaggio è quella di costruire i pensieri. L’homo

sapiens, quindi, fa il “salto di qualità” quando inventa il linguaggio, per caso e per emergenza. L’avvento del

pensiero simbolico è quindi spiegato da Tattersall con l’invenzione (per emergenza) del linguaggio (che è

appunto il sistema simbolico per eccellenza). La cosa ovviamente non ha senso. L’apparizione del simbolo

rimane quindi un fenomeno inaspettato e miracoloso. Secondo Ferretti, per analizzare il passaggio da

sistemi espressivi presimbolici a sistemi espressivi simbolici bisogna far riferimento ai sistemi di

elaborazione di cui disponevano i nostri antenati, che dovevano adattarsi alle cambiate esigenze

comunicative. Da un punto di vista evolutivo, quindi, le menti sono la causa dei simboli tanto quanto i

simboli sono fattori costitutivi delle menti.

2.4 - Exattamentismo e innatismo

•• Chomsky crede fermamente nella biolinguistica, secondo cui il linguaggio è parte del mondo naturale e

deve essere indagato attraverso le indagini tipiche del mondo naturale. Quando Chomsky dice che la

grammatica universale non è spiegabile dalla selezione naturale, non nega il fatto che il linguaggio sia un

dispositivo mentale evolutosi nel tempo, né mette in discussione la teoria dell’evoluzione. Chomsky

abbraccia la tesi exattamentista, che lo conduce in un vicolo cieco. Gould, tanto per iniziare, è

antimodularista (crede che la mente sia fatta di un solo modulo che si occupa di tutte le funzioni). Chomsky

considera il linguaggio come un effetto collaterale dell’organizzazione modulare del cervello. Chomsky sa

che il linguaggio si è evoluto, ma l’evoluzione non è solo selezione. Chomsky crede, in pieno accordo con i

neoculturalisti, che il linguaggio umano sia un sottoprodotto dell’attività di sistemi di elaborazione nati per

altri fini. Ma i neoculturalisti rifiutano l’innatismo. Ma come è possibile dire che il linguaggio sia un

componente specifico della mente-cervello senza chiamare in causa la selezione naturale e la teoria

dell’adattamento? Non è possibile.

Non bisogna però pensare che l’exattamento sia un concetto alternativo a quello di adattamento. La teoria

degli “equilibri punteggiati” di Eldridge afferma che exattamento e adattamento sono correlati nel processo

evolutivo, perché spesso gli exattamenti sfruttano strutture formatesi attraverso la selezione naturale, poi

cooptate verso altre funzioni e addirittura si può rendere quella struttura più adatta alla nuova funzione

(adattamento secondario). Questa è la sequenza: adattamento -> exaptation -> adattamento secondario

[per il nuovo ruolo]. È molto probabile che il linguaggio abbia avuto origine per cooptazione di strutture che

svolgevano altre funzioni (apparato fonatorio prima adibito a respirazione e nutrizione). Chomsky è in un

certo senso costretto ad accettare una lettura adattamentista del linguaggio come exattamento: se il

linguaggio fosse interpretato come un insieme di funzioni svolte da strutture non specifiche, allora cadrebbe

la sua idea del linguaggio come organo innato specifico. Chomsky considera invece i dispositivi innati

specifici per il linguaggio come forme di adattamento secondario. Ma sostenere questo significa sostenere

la tesi del linguaggio come un prodotto della selezione naturale. O il linguaggio è un componente innato

e specifico e allora deve essere un adattamento dovuto alla selezione naturale, o il linguaggio non è

un adattamento e allora non è un componente innato e specifico della mente umana

(significherebbe rinunciare alla grammatica universale). Secondo PeM, se si ha in mente di salvare

la grammatica universale, bisogna darwinizzare Chomsky. Solo in questo modo si mantiene insieme

biologia e modello del linguaggio. Secondo Cherniak, in appoggio a Chomsky, è possibile parlare di

strutture innate senza richiamare l’adattamento biologico. La tesi di Chomsky è che il linguaggio sia

caratterizzatile nei termini di una “differenza qualitativa” con gli altri sistemi di comunicazione animale per

via delle proprietà specifiche e irriducibili che lo caratterizzano. Chomsky rifiuta la selezione naturale in

quanto opera per funzioni (se devo svolgere una funzione, allora alla fine si avrà per selezione naturale una

struttura capace di svolgerla), ma il linguaggio non ricopre una singola funzione specifica. Il linguaggio, in

più, non è vero che serve a esprimere i pensieri (come credono i neoculturalisti), ma serve proprio a

costruire i pensieri.

3 - Sforzo

•• Darwin definisce il corrugatore (muscolo che governa la contrazione delle sopracciglia) “il muscolo del

pensiero”. Questo rimanda all’idea che il pensiero è un attività di equilibrio guidata da uno sforzo. Secondo

Darwin l’uomo aggrotta le sopracciglia soltanto quando, immerso nei suoi pensieri, incontra un ostacolo o

nel corso del suo ragionamento o nella realtà. Ogni individuo quindi cerca di guadagnare un equilibrio con

l’ambiente esterno, e il pensiero è uno dei modi in cui si manifesta questa attività. Alla base

dell’adattamento vi è lo sforzo verso l’equilibrio. L’organismo ha quindi un ruolo attivo

nell’evoluzione. L’adattamento è la strategia che ogni singolo organismo mette in atto per

equilibrare una situazione di squilibrio.

3.1 - Lo sforzo del comunicare

•• Il concetto di sforzo di equilibrio è fondamentale nell’origine e nel funzionamento del linguaggio. L’uso

effettivo del linguaggio è un processo di equilibrio governato da un duplice sforzo: quello dell’ascoltatore

che ricerca le intenzioni comunicative del parlante e quello del parlante che è impegnato a offrire gli indizi

migliori perché chi ascolta possa comprenderlo. L’origine del linguaggio è quindi legata ai processi di

produzione-comprensione linguistica. Si parte dal problema di Pinker sul primo mutante grammaticale:

come può essere compreso chi usa un sistema più complesso da chi dispone un dispositivo di

elaborazione meno complesso? Pinker dice che questo sia possibile “grazie all’uso dell’intelligenza in tutta

la sua potenza”. È intorno alla nozione di “sforzo cognitivo” che trova fondamento l’idea della

produzione-comprensione verbale come un processo di costruzione e non di mera decodifica

meccanica. Se fosse infatti vera la tesi della natura automatica e obbligata dei processi di elaborazione

linguistica, gli ascoltatori non dovrebbero provare alcuna sensazione di sforzo nel comprendere e i parlanti

non dovrebbero sforzarsi di farsi comprendere. I processi automatici sono infatti caratterizzati dalla

mancanza di sforzo di elaborazione. Se davvero l’uso del linguaggio fosse automatico (e quindi dovrebbe

esserci un modulo del cervello ad hoc capace di svolgere automaticamente questa funzione), allora

dovremmo elaborare qualsiasi discorso allo stess

Dettagli
A.A. 2015-2016
14 pagine
9 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/05 Filosofia e teoria dei linguaggi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simone.scacchetti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del linguaggio e della comunicazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Ferretti Francesco.