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KLUGHEITSLEHRE NEL SETTECENTO TEDESCO: LA VIRTUALITA’

DELL’AGIRE POLITICO RAZIONALE COME ALS OB

Il termine ‘’filosofia’’ non si rinviene ancora nel settecento, tale scienza viene denotata

come Philosophia pratica o anche come Philosophia moralis. Essa viene designata

come practische Weltweisheit (saggezza ppratica per il mondo), giacché proprio in

quest’epoca si diffonde in Germania il vocabolo Weltweisheit, che accanto al suo

sinonimo di filosofia popolare (Popularphilosophie) sta ad indicare una forma di

filosofia, la quale poteva essere compresa e sviluppata da qualsiasi uomo che fosse

dotato di una ‘’sana ragione’’. La filosofia politica tedesca del settecento si articolava in

due discipline: il diritto naturale costruito come teoria dei doveri naturali e la dottrina

della prudenza, la quale coincideva con la politica in senso stretto. Il diritto naturale

indicava quali fossero i doveri da eseguire all’interno della comunità politica; la

dottrina della prudenza dava istruzioni su come soddisfare i doveri nella sfera prtica,

perseguendo i fini morali che ci si era preposti. La politica si strutturava come la parte

applicativa della saggezza, intesa come etica dei doveri naturali, assolvendo una

funzione subordinata rispetto quest’ultima. Consueta ai pensatori politici di fine

settecento è la scissione fra teoria e prassi , fra il piano moral­razionale della saggezza

politica e quello empirico della prudentia, ma anche la predominanza della morale

sulla politica. Anche la teoria della abilità politica va praticata in maniera morale, in

quanto essa, scissa dalla giustizia, finirebbe per perdere qualsiasi significato. Nella

Germania illuministica coesistono due concezioni distinte della politica di cui, quella

prevalente, la teoria dei doveri naturali, perpetua anche durante il periodo

rivoluzionario la tradizione degli specula principis: genere letterario dedicato a

plasmare una figura di principe che potesse fungere da massimo esempio di virtù per i

sudditi, rivestendo nel contempo il ruolo di supremo arbitro della giustizia nello stato.

Accanto alla politica morale, si profila la teoria della prudentia da intendersi come

politica empirica la quale è basata sulla conoscenza pratica dell’uomo. La prudenza

era radicata sul binomio utile­disutile, la saggezza era contraddistinta dalla coppia

concettuale giusto­ingiusto, quest’ultima prevalente sulla prima. Bergk stabilisce la

netta predominanza della legge della ragione sui comandi politici. Ne pensiero

democratico bergkiano è unicamente per mezzo della cooperazione subordinata della

prudenza con la saggezza che si possono concretizzare nella società politica le

molteplici forme moral­razionali del diritto. Riguardo la costituzione politica Bergk

afferma che la saggezza ha ultimato il suo compito quando ha fatto valere la forma del

diritto nella costituzione. Tuttavia, siccome ogni forma di governo è frutto anche

dell’arbitrio umano, allora deve intervenire la prudenza, la quale deve imparare a

conoscere le modificazioni della natura umana nel mondo fenomenico, per adottare i

mezzi più opportuni per l’esatta osservanza delle leggi. Nel settecento la prudentia si

configurava come principio di adattamento delle forme razionali della politica,

espresse dalla saggezza quale virtù morale, alla realtà sensibile, sottoposta ai continui

mutamenti dello spirito del tempo e dell’arbitrio umano. Nella visione bergkiana tutte

le forme di governo ed il complesso delle creazioni politiche devono essere nel contempo

opera della saggezza e della prudenza in quanto la mera prudenza ci abbassa al mondo

delle bestie, la sola saggezza ci rende divini. La virtù morale deve fare uso dell’abilità

politica per potersi tradurre in istituzioni concrete: se dissociate, la semplice politica

empirica ci renderebbe schiavi degli impulsi sensibili, la pura saggezza esigerebbe

l’operare della volontà santa di dio. ‘’ la prudenza deve essere sempre subordinata alla

saggezza, affinché l’astuzia, l’inganno e la viltà non regnino in luogo dell’onestà, della

franchezza e del patriottismo’’. L’astuzia e l’inganno, virtù mondane del principe

machiavelliano, fanno da contraltare alle doti di onestà e franchezza del buon sovrano

illuminato, osservante del suo massimo dovere di applicazione della giustizia in campo

politico. Il principe di Machiavelli è assimilato da Bergk come il più animalesco fra i

despoti, il quale con il suo governo oppressivo non più che suscitare nei sudditi

un’obbedienza passiva sinonimo di totale distruzione di qualsiasi sentimento di verità

e giustizia; qui gli uomini obbediscono al principe non per senso del dovere ma perché

costretti dalla forza. La dottrina della prudenza ci fa conoscere i mezzi che hanno

maggiore effetto sugli uomini rendendoli inclini, per mezzo dell’interesse,

all’osservanza del loro dovere. Il ruolo strumentale svolto dalla prudenza rispetto alla

saggezza si può evincere dal significato stesso delle due categorie (utile e giusto) che

definiscono l’agire politico. Tali categorie sono accomunate dal rapporto della ragione

con la volontà e da un piacere legato all’esistenza di un oggetto o di un’azione. Tuttavia

il giusto (politica morale) può essere inteso come buono in sé mentre l’utile coincide

con il buono mediato, esso, perciò, è atto a qualificare una cosa che ci piace soltanto

come mezzo. Negli ultimi anni del settecento in Germania il diritto naturale, quale

teoria dei doveri, acquista una notevole capacità di incidenza sulla prassi politica del

tempo. Esso tende a svolgere una funzione analoga a quella che avrebbero assunto nel

secolo successivo le carte costituzionali.; con il ricorso al diritto naturale si potevano

stabilire, per mezzo della retta ragione, i doveri del monarca in quanto legislatore, i

limiti del potere legislativo, gli scopi generali dello stato, così come la garanzia della

libertà e della sicurezza dei cittadini. La teoria giusnaturalistica dei doveri mira a

limitare persino il margine d’azione del diritto positivo, avanzando rispetto ad esso

una pretesa di vincolatività giuridica, se non di prevalenza sul piano normativo. Il

diritto di natura funge da correttivo interno dell’attività del potere statuale, divenendo

parte organica della dimensione politica delle istituzioni. Il più recente diritto

naturale si volse contro l’assolutismo illuminato, difendendo le visioni politiche liberali

e democratiche, richiedendo la divisione dei poteri e l’introduzione di una costituzione

normativa. I filosofi illuministi perseguivano l’obiettivo di migliorare lo stato in modo

morale, ossia di razionalizzare l’esercizio del potere, sottraendolo alla sua dipendenza

da elementi accidentali, quali le attitudini e le qualità caratteriali del monarca.

L’assunzione da parte del tardo giusnaturalismo di un ruolo di influenza sulle

istituzioni sovrane si inquadrava in un clima di risveglio dell’interesse politico, che il

grande sconvolgimento rivoluzionario francese aveva provocato nella Germania, non

soltanto nei ceti colti ma anche nel tedesco medio. Ciò è testimoniato dello stesso

Bergk, il quale sostiene che prima dello scoppio della rivoluzione francese i tedeschi

non avevano un carattere politico. Si sopportava ogni oppressione, non si manifestava

mai il desiderio di avere una costituzione giuridicamente organizzata. Nel clima di

fermento politico suscitato dalla rivoluzione francese il concetto moral razionale di

dovere si carica, nelle tesi giusnaturalistiche, di valenza politica. Esso si correla con le

categorie di libertà civile e libertà politica, le quali fanno il loro primo ingresso nella

riflessione politica esibendo l’accezione di qualità del singolo individuo e non più di un

intero popolo. In questo momento storico si pone il problema di rendere compatibile la

libertà individuale con le facoltà ed i poteri attribuiti alle istituzioni politiche e si

giunge a distinguere la libertà civile da quella politica a partire da una comune

matrice: la libertas naturalis. L’espressione ‘’libertas civilis’’ designa il potere sovrano

con riguardo al campo della politica interna più che internazionale; il suo più antico

significato era legato alla parte di libertà naturale che residua per il sovrano nel suo

rapporto con gli altri popoli ma soprattutto all’interno dello stato. A partire dal 1780

viene per la prima volta denotato con il nome di libertà civile il residuum di libertà

naturale di cui l’individuo gode nello stato, in seguito alla rinunzia da parte dei suoi

diritti originali al momento del contratto sociale. ‘’Nello stato vi è ancora un residuo di

libertà naturale, la quale si denomina libertà civile.’’ (fino a quel momento l’uomo era

stato centro di imputazione della sola libertà morale) La libertà politica perde il suo

significato di libertas naturalis dello stato, ossia di sovranità di esso nel campo del

diritto internazionale, per assumere la nuova accezione di facoltà di partecipazione di

tutti o almeno della maggior parte dei cittadini(democrazia) o almeno di alcuni di essi

(aristocrazia) all’amministrazione dello stato. Su queste basi le aristocrazie e le

democrazie vengono denominate stati liberi, libere repubbliche e la libertà che ha

luogo in esse per alcuni si chiama politica. Nell’ambito delle dottrine

giusnaturalistiche consideriamo il concetto pufendorfiano di libertà il quale opera

come capacità morale di agire o non agire sulla base di un’autonoma scelta razionale.

La libertà si configura come ‘’principium agendi’’ interno all’individuo, che rivela

l’indipendenza della volontà di quest’ultimo dal comando di altri soggetti morali. Il

senso più profondo della libertà risiede nell’autonomia della decisione razionale della

volontà.

Nel modello dicotomico stato di natura – stato civile, elaborato dai giusnaturalisti

moderni, la priorità logica assegnata al primo termine rispetto al secondo, è funzionale

al ruolo ideologico di giustificazione del diritto politico di comando. Lo stato di natura

svolge il compito di evidenziare i vantaggi della condizione politica, come ‘’stato

razionale’’. Nella concezione bergkiana il diritto innato esprime una facoltà in

relazione ad altri tale da spettare ad ogni uomo in forza della sua umanità. Questa

facoltà che compete ad ogni essere umano si condensa nella libertà morale, alla quale

B

Dettagli
A.A. 2016-2017
34 pagine
9 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher victoriademaio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia Politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Fiorillo Vanda.