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Inizio della recensio:
Nell’ambito del “metodo di Lachmann” con il termine “recensione” (recentio) viene designato
quell’accertamento di dimensioni e natura della tradizione che si inizia appunto censendo i
testimoni i quali tramandano per intero o in parte, in modo indiretto o diretto, l’opera di cui si vuole
fornire il testo critico. Se il lavoro non è agevolato da studi preesistenti, occorre orientare
l’esplorazione dei cataloghi di manoscritti e stampe. Ciascun testimone deve essere studiato con
cura nelle sue caratteristiche materiali e in relazione all’opera tràdita.
Conosciuti nella loro individualità i testimoni, si procede oltre nella “recensio” con la “collatio”,
cioè si mette a confronto parola per parola per quanto riguarda il testo in esame. Si sceglie un punto
di riferimento, “testo di collazione” rispetto al quale misurare convergenze e divergenze; è
preferibile scegliere il manoscritto che si presenta più completo e rispettoso della veste linguistica
che si presume originaria. Da questo lavoro in una certa misura meccanico non deve essere
disgiunta “interpretatio”, cioè lo sforzo testuale di intendere la lezione di ciascun testimone nella
sua peculiarità, e quindi l’uso senza restrizioni di quella capacità di giudizio che consente di
distinguere le lezioni giuste, sospette, erronee.
Rapporti tra i testimoni:
Errore guida o significativo=serve a separare o a congiungere testimoni o un gruppo di
testimoni.
Quanto risulta dallo studio dei singoli manoscritti e stampe, e del loro confronto, viene utilizzato
per costruire ipotesi su come, dall’originale alle copie conservate, si è articolata la tradizione.
Occorre scoprire quali rapporti sono intercorsi tra i testimoni e innanzitutto accertare che nessuno
sia copia di un altro testimone superstite, in questo caso si procede con “eliminatio codicum
descriptorum”. Premesso che l’ipotesi di dipendenza diretta tra due testimoni deve essere
innanzitutto compatibile con la loro cronologia relativa, di solito occorre industriarsi per scoprire
indizi rivelatori che possono essere “esterni” come glosse o sottoscrizioni, o prove “interne” basate
su cosiddetti errori significativi o direttivi, o errori-guida che servono a separare o a congiungere
testimoni e gruppi di testimoni. Essi possono essere:
Errori separativi: ha caratteristiche tali che un copista non avrebbe potuto correggerlo per
congettura. Perciò il testimone che ne è privo non sarà copia del testimone dove tale errore
compare, ma indipendente.
Errori congiuntivo: ha caratteristiche tali da far ritenere improbabile che diversi copisti lo
abbiano prodotto ciascuno per proprio conto e probabile invece che esso sia monogenetico. I
testimoni dove tale errore compare sono in connessione.
Articolazione dello stemma:
Archetipo=copia non conservata guastata da almeno un errore di tipo congiuntivo.
In linea di massima all’autore non si possono imputare errori monogenetici. Si chiama “archetipo”
la copia non conservata, guastata da almeno un errore di tipo congiuntivo e si indica con una “x”.
Lo stemma non è la rappresentazione dettagliata di come in concreto è avvenuta la trasmissione di
un testo, ma è soltanto lo schema dei rapporti genealogici decisivi per valutare le diverse 6
testimonianze. Perciò il numero di testimoni perduti che esso contiene è quello strettamente
funzionale a tale scopo, non rappresenta un’ipotesi sulla loro reale quantità.
Scelte meccaniche:
Varianti sostanziali=varianti adiafore;
Varianti formali=varianti grafiche, fonetiche e morfologiche;
Lo stemma codicum viene utilizzato solo per le varianti sostanziali.
In caso di lezioni divergenti occorre scegliere tra le varianti sostanziali, ciascuna delle quali appare
di per sé accettabile. Scelte in larga misura automatiche e quindi non soggette di arbitrio soggettivo
sono le “scelte meccaniche”, in cui si utilizza il criterio della maggioranza dei discendenti
immediati all’interno di ciascun raggruppamento, cioè si sceglie la lezione che viene attestata il
maggior numero di volte all’interno di rami differenti. Nel caso in cui si possibile applicare questo
criterio ci troviamo in una situazione di “recensione chiusa”, in contrapposizione alla “recensione
aperta”, in cui non si possono effettuare scelte meccaniche.
Scelte non meccaniche:
Diffrazione= (fenomeno frequente nelle tradizioni attive, in cui il copista è all’interno del codice
linguistico) Abbiamo diffrazione quando da una singola lezione particolarmente ostica presente
nell’originale presenta nella tradizione tutta una serie di semplificazioni o banalizzazioni.
(O=Menovare, C1=menomare, C2=menoavere). La diffrazione è detta “in presenza” se almeno in
un testimone sopravvive la lezione originaria, “in assenza” se non è sopravvissuta in nessuno.
Tornando alle varianti di pari peso stemmatico, occorre introdurre criteri sostitutivi rispetto alla
scelta meccanica rivelatasi impossibile. Si tratta di adottare la variante che meglio si adatta all’
“usus scribendi”, cioè alla lingua, allo stile dell’autore, del genere letterario, dell’epoca; oppure si fa
ricorso al criterio della “lectio difficilior” (“il giudizio sopra la facilità o difficoltà di una lezione
sarà tanto più sicuro, quanto meglio il giudice conoscerà le consuetudini di linguaggio e di pensiero
delle età che l'hanno trasmessa, che possono averla coniata” Pasquali). Talvolta infine nessuna delle
varianti attestate presenta requisiti per essere preferita ed accolta nel testo critico; allora conviene
tentare di elaborare una “lectio difficilior” congetturale, tale cioè che spieghi, con la sua difficoltà,
quella proliferazione di banalizzazioni ed errori che Contini ha chiamato “diffrazione”.
Quanto detto finora parte dal presupposto che ciascuna copia sia stata trascritta da un unico
esemplare, solo a questo patto le linee di diramazioni si fissano con sicurezza (si parla di tradizione
meccanica). Succede tuttavia che un copista abbia dovuto restituire il codice del quale stava
copiando e che quindi da un certo punto in avanti ne abbia usato un altro. Fin qui niente di grave,
ma sorgono complicazioni quando le parti di diversa provenienza non sono determinabile in modo
netto e sicuro, e soprattutto quando il copista ha attinto lezioni da numerosi codici compiendo quella
che si chiama “contaminazione” (Tradizione non meccanica).
Emendatio:
Ricostruita con criteri meccanici e col “iudicium” la lezione dell’archetipo, non resta che correggere
gli errori per avere la lezione dell’originale. Seppur succede che questo lavoro si inizi già durante la
“recensio”, l’“emendatio” ne restano tuttavia ben distinta e si definisce, nell’ambito del metodo di
Lachmann, come correzione solo congetturale (ope ingenii); che non sia opportuno ricorrervi prima
della fine della “recensio”. Limitandosi quindi all’“emendatio” in senso stretto, una buona
congettura dovrà essere coerente da ogni punto di vista col contesto dove si inserisce. Non tutto si 7
riesce “emendare” come lacune molto ampie (si segnalano […]) o parole senza senso (si usa la crux
desperationis).
Varianti formali:
Le varianti formali non passano per lo stemma.
Il metodo precedentemente descritto consente ragionevoli opzioni tra varianti sostanziali. Resta
aperto il problema di come scegliere tra le varianti grafiche, fonetiche, morfologiche (varianti
formali). Applicando la legge della maggioranza si corre il rischio di attribuire all’originale un
colorito linguistico piuttosto che un altro solo perché la tradizione, nei suoi piani alti, ha subito
l’influsso prevalente di una certa cultura geografica e linguistica, magari molto diversa da quella
dell’autore. Una soluzione valida per l’editore, quanto alle varianti formali, consiste nel seguire un
testimone a preferenza di altri qualora esso presenti una fisionomia coerente con quella che
verosimilmente fu dell’originale perduto. Fino a che punto sia possibile e conveniente adottare tale
criterio si deve valutare caso per caso alla luce anzitutto di un’attenta collazione. L’editore non solo
introdurrà secondo l’uso moderno maiuscole, minuscole, punteggiatura ecc., ma interverrà anche
sulla grafia delle parole per ricondurla ad uniformità (distinzione tra “u” e “v”, solo “m” davanti a
“p” e “b”, forma unica di “i” invece dell’alternanza con “j” e “y”, “i” diacritica secondo l’uso
moderno, impiego dell’“h” secondo le consuetudini, eliminazione di grafie particolari).
Apparato critico:
Apparato critico negativo=sono indicati soltanto i testimoni portatori di lezioni divergenti;
Apparato critico positivo=completamente esplicito perché indica anche i testimoni della
lezione accettata.
Chi utilizza un’edizione critica deve poter conoscere senza difficoltà i criteri seguiti e le scelte
operate ai vari livelli. Non meno di un’accurata introduzione, serve a tale scopo l’apparato critico,
che soprattutto se localizzato a piè di pagina, consente, con rapidi controlli, di confrontare le lezioni
accolte nel testo con quelle scartate. Nel cosiddetto “apparato negativo” sono indicati soltanto i
testimoni portatori di lezioni divergenti rispetto alla lezione accettata nel testo critico; e i portatori
di quest’ultima sono, implicitamente, gli altri. Invece l’“apparato positivo” è completamente
esplicito perché indica anche i testimoni della lezione accettata. Le lezioni accolte nel testo critico e
richiamate, per chiarezza, nell’apparato, sono qui spesso seguite dal segno “]”. Un apparato può
essere sincronico o diacronico (nel caso delle varianti d’autore, che servono per ricostruire il lavoro
dello scrittore). Di solito l’apparato è diviso in due, una parte dà ragione delle varianti sostanziali e
l’altra delle varianti formali.
B. Edizione dato un unico testimone:
Premessa:
Si lavora su un unico testimone o perché unico esso è di fatto, o perché si decide di trattarlo come
tale, pur essendo plurima la tradizione. Quest'ultimo atteggiamento si giustifica qualora interessi far
conoscere la forma particolare, che un testo assunse nella sua concreta diffusione in epoche e
ambienti determinati (ad esempio per far conoscere l’edizione di un testo su cui studiava un autore