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Sono opere non in volgare, in quanto sono scritte in latino, ma soprattutto sono opere che hanno anche elementi
molto divergenti dalla prospettiva dantesca perché l'opera di Dante è e resta un'opera giovanile; molte altre
cose arriveranno nella produzione di Dante, in special modo arriverà la Commedia; mentre nel caso di Boezio,
ad esempio, la sua opera ha si la struttura del prosimetro ma chi racconta e chi diventa protagonista (ed è
l'autore stesso, come nel caso di Dante, che è sempre autore-attore) è costruita tutta in una prospettiva a ritroso,
perché Boezio la scrive negli ultimi anni della sua vita, in una condizione di prigionia, quando, toccato il
vertice della propria esperienza esistenziale, rivede il proprio passato, lo ripensa e lo racconta. È tutto un
racconto retrospettivo, raccontato in questa condizione di disincanto, di amarezza e di sofferenza data dalla
prigionia e dalla senilità, cioè da una vita che non ha di fronte a sé una prospettiva ampia dal punto di vista
temporale, ma anzi ha di fronte a sé la conclusione della vita. È molto diverso raccontare dall'altezza della
maturità e della senilità, perché c'è tutta una esperienza di vita che si è condensata e concentrata, un raccontare
quasi senza speranza; e raccontare dalla parte esattamente opposta, cioè dall'inizio della propria esistenza
guardando al futuro, aprendosi al futuro.
Nel caso dell'altro modello, quello di Cicerone, l'amicizia è certo un sentimento amoroso ma non è l'equivalente
del sentimento amoroso che l'uomo ha per la donna. È una riflessione filosofica legata ad aspetti esistenziali,
legata ad una forma d'amore che è diversa dell'innamoramento della donna. È la prospettiva di un sentimento
verso l'altro da sé, che è la donna, e non verso l'uguale a sé, che è l'amico.
Questi modelli agiscono, ma agiscono parzialmente, e che non agiscono laddove vi è la scelta più grande di
Dante, ovvero la scelta linguistica: quelli si propongono con una scrittura latina, Dante propone la nuova lingua,
cioè volgare. È una scelta estremamente forte e precisa che vuol dire anche presupporre un gruppo di ascolto
che non è soltanto quella della persona colta, ma un più vasto universo di lettori.
Ciò ci dimostra come Dante dialoghi con i modelli; un dialogo tenuto con la forza di una voce che ha anche
una straordinaria autonomia.
• Problematiche relative alla “Vita Nuova”
(a) Problemi Filologici – –
Ci sono dubbi e problematiche in parte risolti e in parte no che derivano dal fatti che noi, di nessuna opera
dantesca, possediamo l'autografo. Quindi nessuna opera dantesca ci è stata tramandata attraverso la stessa
scrittura di Dante: tutto quello che noi conserviamo è in forma manoscritta o a stampa, successivamente, ma
non autografo. Questi testi che ci sono tramandati sono ad opera di copisti, anche importanti ed estremamente
accreditati. Tuttavia, tramandare un testo attraverso la scrittura manoscritta determina immancabilmente una
serie di errori, che possono essere dei trascorsi di penna, cioè degli automatismi, nel cursus della scrittura, che
dipendono anche dalla velocità della scrittura. Sono gli errori più semplici da riconoscere, in quanto il trascorso
di penna si rende subito evidente, ed è un errore che senza nessuna preoccupazione si corregge.
C'è un'altra problematica riguardo alla tradizione manoscritta; cioè che il copista, per quanto possa avere
esperienza, capacità, conoscenza e preparazione culturale, è abbastanza facile che l'intenzione, o il pensiero
del copista si sovrappongano al testo originale, e quindi modificare una parola in un'altra, e questi errori di
sovrapposizione di personalità - perché il copista mette dentro l'opera qualcosa che appartiene a lui che scrive
–
e non all'autore del testo queste interpolazioni sono abbastanza frequenti e dipendono anche da una certa
immedesimazione del copista, con il lavoro che sta trascrivendo e anche dai vari momenti della trascrizione,
poiché uno non è sempre presente a se stesso. alla “Vita Nuova” noi non troviamo l'originale dantesco: non
In tutti i codici che sono stati tramandati relativi
c'è l'autografo, ma troviamo un numero cospicuo di copie manoscritte o a stampa (edizioni 500esche),
della “Vita Nuova”
attraverso i quali codici, mettendoli a confronto, si è arrivati a questa forma, che è il testo
stabilito da Barbi, filologo italiano, che risale agli inizi del Novecento. La prima edizione risale al 1907, poi
riadattata nel 1932.
Non avendo l'autografo si determina la recentio, cioè stabilire quanti e quali sono questi manoscritti, o
eventualmente, testi a stampa, che trascrivono Vita Nuova, li si mette in ordine, si cerca di stabilire dei rapporti,
delle relazioni (chi è legato a chi): lo si stabilisce proprio attraverso gli errori. Quei codici che riproducono gli
stessi errori sono evidentemente legati da una familiarità, perché l'errore si ripropone.
Attraverso i confronti si cerca, poi, di arrivare alla definizione dell'archetipo, cioè il testo poù emendato, più
purgato dagli errori, e dunque possa risultare essere il più vicino all'originale, che ricostruiamo in forma ideale
attraverso tutti i codici che noi possediamo.
(b) Problemi di definizione del testo
Proprio in ragione di questo problema della mancanza di un autografo e di un testo critico stabilito con una
operazione filologica, noi ci troviamo di fronte a un grave problema di definizione del testo: il Gorni,
contrastando le tesi di Barbi, non accettando quella suddivisione in quei capitoli, ha pensato di proporre una
nuova suddivisione. Questo è un problema che si scontra con un'altra questione filologica: da una parte c'è la
tradizione del testo secondo la volontà d'autore, ma quando la volontà d'autore non si è espressa, secondo
l'archetipo ricostruito; ma dall'altra parte quando c'è così tanta distanza di tempo dalla genesi dell'opera c'è
anche un affermarsi di un testo, di un'opera, che è determinato dall'uso; cioè da come i lettori l'hanno sempre
letto e conosciuto. C'è una tradizione, quindi, aldilà dei codici, che viene stabilita dai lettori. Se per 700 anni i
hanno letto “Vita Nuova” in quella struttura e in quella suddivisione, è un'operazione di grande
lettori
prepotenza dimenticare che c'è anche questa tradizione consolidata; cioè che quel testo è stato conosciuto in
quella forma, studiato in quella forma, analizzato e criticato in quella forma: proporre una forma diversa e
nuova è come passare un colpo di spugna su tutta quella tradizione di lettura ed interpretazione.
L'edizione consolidata da Barbi si è basata sullo studio di 40 manoscritti, 4 edizioni a stampa, che sono edizioni
500entesche, che presentano a margine correzioni autografe e altri 40/45 codici che riproducono solo i versi
poetici contenuti in “Vita Nuova”, l'antologia poetica. (α e β). All'interno di ciascuna di
Di tutta questa grande massa di testimoni, Barbi ha costituito due famiglie
queste famiglie ci sono codici di maggiore importanza e altri di relativa importanza. Nella famiglia α è
importante il manoscritto Chigiano (L VIII 305), che è della metà del 1300, cioè vicino al momento di
dell'opera. Questo manoscritto Chigiano è il perno del gruppo α; mentre per quanto riguarda il
composizione
gruppo β il manoscritto di riferimento è l'autografo del Boccaccio (104.6, che si trova alla Biblioteca Capitolare
di Toleto).
Oltre a questi due perni ci sono altri codici importanti, e questa ricerca potrebbe essere non finita, perché
porrebbero affiorare nel tempo nuovi codici.
Oltre alle edizioni manoscritte vi sono anche le edizioni a stampa; in particolar modo due fiorentine, una del
1527 e una del 1576, e una veneziana del 1723. si vede come la tradizione manoscritta sia una tradizione
sostanziosa, in confronto all'edizione a stampa della “Vita Nuova”, che sono relativamente poche e bisogna
aspettare il 1527 (data del sacco di Roba da parte dei Lanzichinetti) prima che l'opera giovanile dantesca
venisse messa a stampa e venisse divulgato in maniera più copiosa il testo giovanile dantesco.
La “Vita Nuova” che leggiamo oggi, quindi, non è altro che una ricostruzione filologica rigorosissima di un
archetipo, cioè un testo che si è cercato di avvicinare, approssimare il più possibile alla volontà autoriale, che
non consociamo.
Questo è uno dei primi problemi di “Vita Nuova”, un problema ancora aperto.
(c) Problema della datazione perché il 42esimo ed ultimo capitolo di “Vita Nuova” parla di Beatrice già
Il problema si pone particolarmente
morta e della possibilità di incontrarla e di parare con lei in maniera più degna rispetto al suo nuovo stato, che
sarebbe quello della condizione di beatitudine. Questa immagine di Beatrice beata, questa proiezione verso
quello che poi sarà confermato dalla “Divina Commedia”, ha spinto gli interpreti a far slittare sempre più avanti
la composizione di “Vita Nuova”; cioè sempre più verso l'inizio della composizione della “Divina Commedia”,
periodo compositivo anche quello controverso. Questo 42esimo capitolo ha spinto diversi interpreti, visto che
si prefigura un racconto di Beatrice nella sua condizione di beatitudine, a far slittare la cronologia il più vicino
della stesura della “Divina Commedia”, che grossomodo viene stabilita tra il 1307 e il 1310.
possibile all'inizio
C'è anche chi ha pensato che il lavoro di Dante sia stato un lavoro in progress, cioè che magari in una prima
con la donna gentile, che poi nel “Convivio” viene definita
stesura l'opera si concludesse prima, nell'incontro
allegoricamente come la filosofia, il nuovo amore di Dante; e quindi l'ultima parte di “Vita Nuova” sarebbe
stata scritta a ridosso della “Divina Commedia”, mentre l'altra parte sarebbe frutto di un lavoro più giovanile.
Quindi come se l'opera fosse stata scritta in due tempi, avendo poi Dante manifestato la volontà di far scivolare
il più possibile questa opera giovanile verso l'opera maior in modo che quasi si fondessero o che comunque si
legassero da un nesso inscindibile.
C'è anche chi ha pensato che l'opera abbia avuto una sua gestazione, ideazione e composi