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III.
L’oggetto della “Commedia”
Fino alle grandi canzoni al Convivio di Dante, il mondo dello Stil Novo era rimasto un mondo a
sé, nato da un'ideale cavalleresco raffinato e spiritualizzato e rimasto limitato nell’ambito di una
cultura particolare. Ma la spinta espansiva che la poesia dello Stil Nuovo sviluppo nella persona
di Dante non poteva limitarsi nell'ambito del sentimento e dell’esperienza mistica; quando entrò
nel secondo periodo della sua vita, la giovinezza, pare nello stesso tempo, che cominciò a
svolgere la sua attenzione alla vita pubblica e alle dottrine filosofiche e ad unirle e impregnarle
della sua forma spirituale.
L’altro lato della sua volontà d’espressione, quello politico, finisce con la catastrofe del 1302,
l’esilio e il successivo distacco dai capi del partito bianco e dai loro alleati ghibellini. Dora in
avanti mancherà la base per esercitare un influsso politico: egli ha perduto non solo la patria, ma
anche il partito. Ora il suo desiderio di gloria si rivolge esclusivamente alla creazione letteraria,
con la quale vuole conquistarsi una posizione autorevole. Da tali motivi è nato il Convivio e in
senso più profondo anche la Commedia.
Dante dice espressamente che scrive in italiano e non in latino perché non vuole servire ai dotti,
ma ai non-dotti che sono capaci di un nobile slancio e hanno bisogno di un insegnamento
diretto. Qui per la prima volta ci si appella al pubblico che doveva diventare l’esponente della
nuova cultura europea.
Nel Convivio egli cerca solo chiarezza razionale, una costruzione regolare ed equilibrata del
periodo. Il Convivio è rimasto un frammento: oltre l’introduzione, che conta come primo trattato,
dovevano seguirne altri quattordici, ognuno dei quali a commento di una canzone; ne sono stati
composti soltanto tre. L’opera è rimasta incompiuta perché il pensiero della Commedia l’ha spinta
in disparte, ma non in senso puramente cronologico, perché il piano del poema esisteva già da
principio: si deve supporre che nei primi anni dell’esilio coesistessero entrambi i piani delle
opere e che poi, procedendo con il Convivio, questo soddisfacesse sempre meno l’autore, che
cominciò a rivolgere la sua attenzione alla Commedia. Perché il Convivio non gli bastò? La sua
cornice esteriore contraddiceva il bisogno di dante di unità: quindici trattati, ognuno commento
ad una poesia diversa, mancava del principio d’ordine formale superiore. In poche parole
l’impostazione del Convivio non corrispondeva più al suo stato d’animo interiore.
Nella Commedia il tema della visione e del viaggio nell’oltretomba era un luogo comune nel
medioevo, ma Dante fu il primo poeta ad essere di nuovo convinto dell’unità della persona, della
concordanza tra anima e corpo: l’uomo unione sostanziale di anima e corpo, comprende, oltre
all’essere e al corpo, anche l’intelletto e la volontà; e sebbene l’anima sia necessariamente legata
al corpo, anzi ne abbia bisogno per poter esercitarla sua attività, possiede particolari facoltà di
conoscere e di volere. Per questo l’uomo è diverso dalla forme inferiori della creazione, che nella
loro azione sono determinate totalmente dalla creazione stessa. L’uomo possiede la libertà;
necessariamente la sua volontà tende al bene in genere, tuttavia essa non si trova dinanzi a
questo, ma a beni particolari; e qui sta la causa della molteplicità del suo agire. Allora la ragione
produce la riflessione e il giudizio, la volontà il consenso e la scelta.
Ma gli uomini che compaiono nella divina commedia sono già sottratti al tempo terreno e al loro
destino storico. Dante ardì di un’impresa che nessuno prima di lui aveva osato: rappresentare
tutto il mondo terreno-storico, di cui era giunto a conoscenza, già sottoposto al giudizio finale di
Dio e qui già collocato nel luogo che gli compete nell’ordine divino e non in modo tale che il
carattere terreno fosse soppresso o anche soltanto indebolito, ma in modo da mantenere il grado
più intenso del loro essere individuale terreno-storico.
Secondo la dottrina generale cristiana, la sorte eterna non interviene direttamente con la morte,
ma che piuttosto si compie per tutti gli uomini alla fine dei tempi, nel giudizio universale; a ciò si
collega l’idea che le anime nel tempo intercorrente fino alla risurrezione siano separate dal
corpo. San Tommaso però, con la maggior parte dei padri della Chiesa, sostiene l’opinione che le
anime subito dopo la morte raggiungano il posto che loro compete definitivamente per i loro
meriti e che il giudizio universale comporti sono un accrescimento del loro stato, in quanto essi
riacquistando il corpo saranno capaci di godere e di soffrire con maggiore intensità; Dante segue
questa dottrina.
Molto più difficile era il problema dell’incorporeità dei morti fino al giorno del giudizio
universale: Dante fa restare virtualmente intatte le loro forze vitali e sensitive nell’anima che alla
morte si separa dal corpo; queste forze danno all’aria circostante l’apparenza e la forma di un
corpo.
Quindi è la sorte eterna delle sue figure quella che Dante ci raffigura nella commedia; si trovano
già, ad eccezione di quelle del Purgatorio, nel luogo loro assegnato. Ma anche per le anime del
Purgatorio la loro sorte eterna è segnata, e sospesa solo temporaneamente.
Dante, con l’inventare un corpo, diede alle anime non sono la capacità di godere e soffrire coi
sensi, ma soprattutto di apparire sensibilmente e di manifestare con la loro comparsa la loro
condizione. In ogni grado della gerarchia dell’aldilà, anche in quello più basso, doveva essere
mantenuta l’essenza e la dignità dell’unità personale.
Predecessori veri e propri Dante non ne ha avuti, se non il sesto libro dell’Eneide; la differenza
principale è che Virgilio non aveva raffigurato nei suoi inferi una sorte eterna; perché la maggior
parte delle anime è destinata ad una nuova esistenza terrena, a entrare in un altro corpo. Virgilio,
l’annunciatore di Cristo e il cantore dell’impero romano, diventò la sua guida, Enea un
predecessore sulla via attraverso gli inferi.
L’aver conservato e definitivamente fissato l’unità della figura umana nell’aldilà è quello che
distingue fondamentalmente la Commedia da tutte le precedenti visioni dell’oltretomba. In essa è
contenuto il mondo terreno; gli uomini con la loro condizione e il loro atteggiamento dovevano
mostrare in un unico atto l’essenza e il destino del breve spazio della loro vita. I personaggi sono
vari e vivi, mai autonomi; essi si rivolgono direttamente al sentimento dell’ascoltatore suscitando
estasi o orrore dei sensi.
Lo stesso vale anche per l’ordinamento delle cose storiche rappresentate come già avvenute e
giudicate, oppure predette dagli abitanti dei tre regni. Nell’aldilà i rapporti storici sono dissolti; il
carattere e l’unità della persona sono conservati, ma sono perduti il luogo storico e il rango
terreno; per ciascuno diventa decisivo solo quello che significava il suo agire storico , nel suo
complesso, per lo scopo finale della creazione.
Egli l’ha chiamata “commedia” per l’opinione retorica antica, che esigeva per la tragedia un
inizio felice e un esito infelice e il contrario per la commedia.
Dante si era preparato per tutta la vita a creare uno stile linguistico commisurato all’oggetto: fu
un’armonia di tutti gli echi giunti al suo orecchio che rese possibile la creazione dal nulla dello
stile sublime del poema. L’oggetto liberava Dante dalle catene e dalle limitazione linguistiche,
perché legittimava l’espressione linguistica conforme ad ogni cosa. Egli fondò la poesia
nazionale del suo paese e insieme lo stile poetico elevato di tutta l’Europa e di tutte le lingue
nazionali.
Dante in persona è il viandante dei tre regni. Tutti e due gli strumenti della redenzione sono
anche le forze direttrici della sua vita terrena: Virgilio, cantore della pace romana e annunciatore
della verità ha dato a Dante il bello stile della poesia di sapienza universale; e Beatrice,
l’allontanarsi da essa significa rovina, seguirla significa liberazione. Essi sono le sue più profonde
forze interiori, quelle che vengono chiamate a salvarlo dall’errore. Così l’intervento dell’amata
beata e il viaggio verso di lei attraverso l’inferno e il purgatorio, significano anche il ritorno
dell’errante alle forze motrici della sua giovinezza.
IV.
Struttura della “Commedia”
Nella struttura del grande poema sono elaborati e fusi tre sistemi:
1. uno fisico che mostra l’universo nella forma tolemaica: la sfera terrestre sta al centro
dell’universo, intorno ad essa ruotano nove sfere celesti contenute una nell’altra, mentre
una decima che le comprende tutte, l’Empireo, la sede di Dio, è pensata in assoluta
quiete. Una metà della terra, l’emisfero settentrionale è abitata; confini orientali e
occidentali sono in Gange e le colonne d’Ercole, e il suo centro è Gerusalemme.
All’interno della terra dell’emisfero settentrionale, c’è l’inferno, che si restringe a forma di
imbuto verso il centro della terra, sede eterna di Lucifero, che nella sua caduta, si conficcò
nella terra e ne respinse verso l’alto una parte enorme, che va a formare il grande monte
che emerge dall’emisfero meridionale interamente coperto dall’oceano, il monte del
purgatorio, dove dimorano le anime dei trapassati che sono destinati alla beatitudine ma
hanno ancor bisogni d purificarsi. Sulla cima del monte c’è il paradiso terrestre, che un
tempo era già dei primi uomini. Le sfere celesti rappresentano il paradiso vero e proprio
concentrico e circolare; la nona sfera, che è più vicina all’Empireo è spinta dall’ardente
desiderio di riunirsi a Dio con un moto rotatorio di altissima velocità, che viene trasmesso
alle sfere inferiori; mediatore di questo modo è la gerarchia delle intelligenze o angeli.
Alle sfere celesti è soggetta tutta la creazione terrena e unica eccezione è l’uomo, perché
egli possiede la forza di guidare e limitare quell’influsso, ossia la libera volontà. Con
queste osservazioni, che riguardano la speciale posizione dell’uomo, ci muoviamo già
nell’ambito del secondo sistema quello morale.
2. uno etico: solo l’uomo ha la libertà di scelta, il potere di agire formato da intelletto e
volontà. Essa gli permette, finch