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LA QUESTIONE DEL FIORE
Fiore è un poemetto costituito da una serie di 232 sonetti, parafrasi e rimaneggiamento del più
celebre romanzo allegorico del medioevo francese, il Roman de la Rose, che descrive con stati
d’animo e ostacoli interni ed esterni, il processo dell’amore concluso dalla conquista fisica della
donna. Al Fiore è legato anche un poemetto, anch’esso parafrasi del Roman de la Rose, il cui titolo
è Detto d’amore.
Vario ordine sono le ragioni dell’attribuzione a Dante:
1. Fondamentale una “firma” che l’autore ha lasciato nel luogo corrispondente del testo:
<<così avvenne al buon di ser Durante>>.
2. Il nome di Dante compare invece esplicitamente in una storiella assimilabile al ricordo
che è fatto nel canto X del Paradiso di frate Alberto, citato in Fiore collegabile con un
passo del sonetto dantesco Messer Brunetto, questa pulzelletta.
3. Di rinforzo a questi argomenti sono stati proposti una “valenza oppositiva” della Rosa
mistica del paradiso a quella canale del Fiore e una possibile derivazione della cosiddetta
“terza rima” della commedia dallo schema metrico costante delle terzine di tutti i sonetti
del Fiore.
Contro i sostenitori della paternità dantesca:
1. La prima obiezione riguarda la “firma”, in quanto non risulta che Dante abbia mai usato
la forma estesa del suo nome, Durante, che per altro era abbastanza comune nel 200.
2. Quanto riguarda la questione di frate Alberto, tutto il collegamento con il sonetto di
Messer Brunetto appare problematico. L’uso di scambiarsi componimenti poetici era
diffuso tra il rimatori: l’invio a Messer Brunetto di una pulzelletta allude a un
componimento poetico, che dovrà presumessi breve; senza poi contare il fatto che il testo
inviato viene descritto come difficile. Non sembra che il Fiore esiga tanto acume o sforzo
di intelletto per essere inteso.
3. L’opposizione della Rosa mistica del paradiso alla rosa canale del Fiore è una risoluzione
possibile, ma in funzione dimostrativa dell’attribuzione; e così il parallelismo dello
schema metrico.
4. L’ostacolo più arduo è la difficoltà di trovare nel curriculum dell’Alighieri uno spazio (non
soltanto temporale, ma soprattutto culturale e ideologico) in cui possono collocarsi senza
difficoltà le due operette assommano a circa 4000 versi complessivi.
VIII
IL CONVIVIO
1. I tempi e i modi della composizione e della divulgazione dell’opera
L’opera, sospesa forse per il nuovo impegno della Commedia, ma conclusa nelle sue parti stese, è
stata pensata e scritta nei primi anni dell’esilio.
Il Convivio è stato concepito come una summa del sapere, alla maniera delle enciclopedie
medievali, articolata in 15 trattati, di cui uno di introduzione generale e quattordici di commento
e altrettante canzoni.
Il numero 15, multiplo di tre, ha funzione di cardine di tutta l’impalcatura strutturale: il secondo
e il terzo trattato sono articolati in quindici capitoli e il quarto in trenta, dunque due volte
quindici, il primo trattato tredici, mentre le canzoni duplicano il numero sette.
2. La struttura dell’opera
I convitati non saranno i dotti, bensì i nobili di cuore, sia maschi che femmine, che per ragioni
varie non hanno potuto studiare la lingua dei classici e sono tuttavia affamati di conoscenza e di
letteratura. Di qui la scelta obbligata del volgare, contro l’uso tradizionale del latino, in materia
di scienza.
L’opera è ancora in chiave di “confessione” autobiografica, e con frequenti e ampie digressioni su
argomenti suggeriti dal commento ad alcuni passi della canzone. Quest'ultimo è condotto
secondo le norme generali dell'interpretazione, inteso ad indagare i “quattro sensi” delle
scritture: il letterale, corrispondente alla lettera del testo; la allegorico, ciò che si nasconde dietro
la finzione poetica; il morale, il significato profondo, epico didascalico; l’anagogico, il sovrasenso.
L’abbandono dichiarato e apparente del tema amoroso non implica l’abbandono anche delle
problematiche connesse ad esso: partendo dalla contestazione dell’opinione “aristocratica” che
la nobiltà è ereditaria e si basa sul patrimonio, Dante oppone una concezione individuale, detta
“democratica” o “borghese”, secondo cui la nobiltà è soltanto un dono di Dio all’anima ben
disposta a riceverlo.
3. Le fonti
E’ stato ampiamente dibattuto il problema delle “fonti” del Convivio, tra le quali spicca in primo
luogo Aristotele insieme con Tommaso d’Aquino, e Alberto Magno, Bonaventura, Averroè. E
naturalmente i Libri Sacri, alcuni classici latini (come Virgilio, Seneca e Cicerine) e ohi
sant’Agostino e Boezio.
Nel Convivio viene operato un chiarimento e un approfondimento delle intuizioni giovanili che
anticipano e spesso condizionano degli scritti posteriori. Primo fra tutti la Commedia.
Sia il Convivio sia la Commedia sono entrambi la storia della ricerca di una perfezione umana
perseguita lungo un cammino aspro, difficile e drammatico, la cui meta è la somma pace, la
felicità della contemplazione. IX
IL DE VULGARI ELOQUENTIA
L’opera è stata pensata come uno spazio di approfondimento delle questioni relative alla lingua e
alla nuova letteratura volgare toccate nel Convivio.
Scritto in latino per la sua dichiarata destinazione non hai volgari ma hai letterati, il trattato è
stato probabilmente pensato in quattro parti o libri, ma ne è rimasto solo uno, con carattere di
introduzione generale.
Sostanzialmente clandestino nel 300 e tanto più nel 400 entra improvvisamente nella
circolazione culturale italiana agli inizi del 500.
Il progetto dantesco appare estremamente ambizioso, tenuto conto della mancanza di ogni
precedente tentativo di dare una sistemazione teorica del problema dell’“eloquentia”, cioè
dell’“arte del dire”, volgare, facendo tesoro delle esperienze proprie e gli altri per ricavarne delle
“regole” da proporre ai poeti.
In altre parole, il De vulgari eloquentia intende definire i fondamenti istituzionali di una nuova
letteratura volgare con pieno dominio della materia poetica e della lingua e delle tecniche di
composizione, superando lo spirito di improvvisazione che fino a quel momento aveva guidato i
poeti e scrittori.
Per lingua volgare si intende la prima lingua che i fanciulli apprendono da coloro che hanno
intorno, senza alcuna regola: dunque una lingua naturale e spontanea, alla quale molti popoli
oppongono una seconda lingua convenzionale e costruita artificialmente, che i romani chiamano
grammatica (il latino).
Qui si afferma che di queste due lingue la più nobile è il volgare perché prima in ordine di tempo
e perché linguaggio universale e naturale.
Chiarito l'oggetto del suo discorso dante indaga sui fondamenti teorici, cercando di definire la
natura, e origine, la storia qua che ho da andare ai suoi tempi.
La “fonte” primaria di questa teorizzazione è naturalmente la Bibbia, che Dante interpreta però
con libera immaginazione.
Il fatto che il De volgari eloquentia dichiari il volgare più nobile del latino e il convivio dichiari il
contrario, non ha importanza, essendo diverse le causali nei due luoghi.
1. Ricerca del volgare “illustre”, “stile” e forme metriche
L’idioma volgare detto di sì è l’oggetto specifico della sua trattazione e al quale attribuisce una
certa superiorità sugli altri. Quest’ultimo viene indagato nelle sue molteplici varietà dialettali.
Tra tutte queste varietà dante dichiara di volersi mettere su tracce della lingua più decorosa
d'Italia, la lingua illustre, da preferire nell’uso letterario. Ma, fra tutti i volgari, non ne trova uno
meritevole, Poiché il volgare “ideale” fa sentire il proprio odore in ogni città ma non ha divora
alcuna. Esso è definito:
1. Illustre, perché investito dalla luce dell'arte che risplende su tutto, concedendo onore e
gloria a coloro che lo coltivano
2. Cardinale, che rappresenta il cardine in torno al quale ruotano tutti i volgari municipali
3. Aulico, perché colto e civile, perciò adatto alla reggia
4. Curiale, perché conforme alla curia netta, ossia un'equilibrata norma dell’agire quale si
pratica solo nelle correnti più eccelso.
Di esso può legittimamente farsi uso tanto in prosa che in poesia, ma non si addice a tutti i
versificatori, solo ai rimatori eccellenti; e non per qualsiasi materia, ma solo per argomenti nobili
e degni, i cosiddetti tre “magnalia”, ossia le finalità supreme dell’uomo: salvezza, amore e virtù.
Tra le forme metriche più frequentate in volgare eccellentissima è la canzone, tra tutti i versi il
più splendido è endecasillabo. X
LA MONARCHIA
1. Un trattato politico in latino
Come il De vulgari eloquentia è stato annunciato e avviato a realizzazione per l’approfondimento
di temi e problemi di poetica e di linguistica toccati nel trattato uno del Convivio, così la
Monarchia appare dettata da un'esigenza di ripresa e sviluppo dei temi toccati nei capitoli quarto-
quinto dell’ultimo trattato dello stesso Convivio.
La massima incertezza regna circa la data di elaborazione dell’opera politica, le proposte
oscillano dal 1307-1308 alla fine della vita di Dante:
1. Il Convivio e il De vulgari eloquentia siano stati interrotti da Dante proprio per dedicarsi
alla Monarchia, che ci appare la continuazione del quarto trattato del Convivio E se questo
è da ritenere composto tra la fine del 1304 e l’inizio del 1307, quella non può ritenersi
posteriore ad esso se non di pochi mesi, e pur sempre anteriore all’azione di Arrigo VII.
2. L’opera va spostata ad anni più avanzati, collegata alle vicende seguite all’ascesa al soglio
pontificio (7 agosto 1316) di Giovanni XXII, via affermò il primato della Chiesa sull’impero
e la necessità della conferma papale perché nelle elezioni imperiale fosse valida: Dante
avrebbe sentito il bisogno di intervenire nel dibattito per sostenere la tesi opposta A
quella del Papa, e in questo caso la data di composizione andrebbe fissata al 1317 circa.
A prima ipotesi è legata ad una ricostruzione dell'evoluzione del pensiero filosofico di Dante, per
cui nella Monarchia sarebbe riconoscibile distinzione tra ragione e fede, tra le cose terrene e le
spirituali, superata poi nella Commedia, con un ritorno al concetto medievale della
subordinazione della ragione alla fede.
Mentre la datazione agli anni di Arrigo V