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Il processo di istruzione dipende, come afferma lo studioso Durkheim, dagli aspetti quotidiani,
tecnici e materiali dei processi dell'istruzione, specialmente se legati agli sviluppi produttivi, sociali
e politici. Quindi è assolutamente impossibile parlare di istruzione se questa non viene collocata in
una specifica condizione di tempo, spazio e causa storica. Per questo motivo a renderci così diversi
dagli uomini del passato sono anche gli ambienti comunicativi che caratterizzano le diverse epoche.
Parlando di didattica e del rapporto pedagocigo studente/istruzione, possiamo collocare le prime
forme scolastiche a partire dall'Egitto, definito come "culla comune della cultura e dell'istruzione".
Elementi come agricolura e divisione del lavoro, articolazione in settori produttivi, educazione
mnemonica, ripetitiva fondata sulla scrittura e trasmessa autoritariamente, sono le prime forme
evidenti della necessità di fortificare l'istruzione. Lo strumento del "libro di testo" diventa sempre
più importante: la saggezza equivaleva alla cultura, ma si è saggi non perchè si è in possesso di
intelligenza ma perchè si conosce la tradizione attraverso i libri.
In Grecia l’educazione dei giovani viene definita come fondamento della società; la scuola romana
invece è detentrice del cosiddetto sadismo pedagogico: nasce la prima economia mercantile,
l’organizzazione in comuni, l’aumento dei maestri liberi fino alla nascita delle università e dei
modelli educativi accademici. All’origine della nuova cultura cittadina ci sono i nuovi ordini
religiosi: quello francescano e quello domenicano, che propongono modelli innovativi, diversi
rispetto a quelli dell’insegnamento monastico. Al centro di tutto ovviamente c’erano i libri.
L’insegnamento era molto rigido: l’esame universitario di allora era simile a quello di oggi, così
come metodi didattici; si imparava l’alfabeto, poi la pronuncia delle sillabe, poi la lettura. Per
mancanze e deficienze nello studio, anche qui vi è la punizione della frusta e della verga.
Assistiamo ancora ad una metodologia scolastica esageratamente severa, nonché ripetitiva e sadica.
Molti umanisti spesso tentarono di istituire delle norme meno rigide ed accademiche, spesso
pagando le proprie idee con l’espulsione dalla cattedra; un esempio è il filosofo francese Montaigne
che critica l’arroganza e la ripetitività improduttiva di dotti ed educatori del suo tempo, abolendo
l’uso smodato di libri, attribuendo loro un valore certamente notevole, ma più legato alla
comprensione che alla memorizzazione dei testi. Un ulteriore tentativo fu quello della riforma
protestante, la quale ha cercato di legare insieme scuola e città, istruzione e valore laico della stessa
non più intesa come rendita dei chierici ma come base dello stato. Tale riforma fu certamente
contestata dal Concilio di Trento il quale, al contrario, sottolineava il ruolo fondamentale della
scuola e dei libri, arrivando a bandire come eretici gli stessi testi dei riformatori. Alla base di tutto vi
era la concezione della scuola come elemento formativo, contrapposto al principio del piacere, il
quale avrebbe sviato l’attenzione allo studio.
Nel 1660 in Inghilterra viene fondata la Royal Society, per incentivare l’istruzione sperimentale
fisico-matematica. Lentamente poi prende corpo l’idea di una pedagogia volta verso la liberta di
un pensiero sempre più ampio, e non unicamente la varietà delle conoscenze. Questo è il periodo
in cui l’idea della scrittura come liturgia viene superata, mentre cresce l’interesse verso
l’insegnamento scientifico per l’istruzione popolare. E’ l’età dei lumi, dell’Enciclopedia, della
ricerca, del sapere in cui l’arte e il mestiere assumono pari dignità nella formazione dell’uomo,
anche grazie allo sviluppo della società industriale, del capitalismo e della divisione del lavoro in
fabbrica. Nascono in questo periodo alcune scuole "nuove" (o "attive") il cui criterio di base è
"imparare facendo", learning by doing. Molte scuole americane infatti sono state definite come
"centri di educazione", in contrapposizione alle scuole europee che invece erano propriamente
"centri di istruzione". La scuola viene vista duqnue per un'istituzione sociale, dove chi insegna non
deve occuparsi unicamente della formazione degli individui, ma anche della formazione della giusta
vita sociale. Il critico Dewey critica il sistema europeo in quanto considerato come un sistema che
cerca di impartire a molti l'istruzione che in passato era destinata a pochi e che non concede molto
spazio al laboratorio inteso come azione, lavoro, fatica e quindi reale strumento di studio.
Tra la fine dell’Ottocento e gli anni Ottanta del XX secolo si assiste ad una vera e propria
proliferazione dei nuovi “media”, dunque di nuove modalità per la produzione, l’archiviazione e la
circolazione del sapere. In molti paesi cinema e radio diventano sempre di più “tecnologie normali”,
diffuse e utilizzate da gran parte della popolazione. Da una parte l’introduzione dei film a scuola
viene presa in considerazione fin da subito come mezzo di insegnamento regolare e come segno
distintivo degli approcci educativi progressivi; dall’altra parte la radio, definita come “libri di testo
dell’etere” , nonostante alcuni problemi come assenza di strumentazione, difficoltà di inserimento
nei programmi scolastici, mancanza di informazioni e soprattutto insegnanti non interessati, in
quanto il problema principale era sicuramente la mancanza di competenze nell’utilizzo della
strumentazione da parte degli insegnanti. Un ruolo di primo piano nella promozione della
televisione come medium per l’apprendimento nelle scuole e nell’università è assunto dalla Ford
Foundation.
Pedagogia per Durkheim non è “letteratura utopica” e dunque nel costruire delle fondamenta per
un nuovo sistema educativo, quello appunto dei media, bisogna tenere in considerazione quelli
precedentemente esistiti. Parlando di insegnamento in termini di “alfabetizzazione”, possiamo
paragonare tale concetto al parallelo tra idee di città ed idee di formazione. Le città non
corrispondono alla struttura ideale e statica delle poleis greche dei secoli immaginate da letterati e
filosofi del tempo, perché le strutture urbane e gli stessi comportamenti delle persone si allontanano
regolarmente da quel modello. La città potrebbe essere pensata dunque come “modello utopico”,
affine a quello dei media, dotata di un sistema chiuso, geometrico e tesa al controllo della vita del
cittadino
La scuola in particolare conserva nel tempo il carattere di luogo separato dal mondo, alla cui base vi
è la disciplina, ovvero l’apprendere, la divisione del sapere in materie, controllo dello spirito e della
maniera di comportarsi, alla correzione, al castigo, alle regole. Lo spazio scolastico è dunque
considerato come “macchina per apprendere e per sorvegliare”. Altro elemento importantissimo è
quello del tempo disciplinare, che si associa al controllo dello spazio e delinea i diversi programmi
da svolgersi in fasi precise e secondo difficoltù crescenti. La scuola è fortemente legata
all'insegnamento tradizionale, quindi la lettura e la scrittura senza curarsi dell' aspetto più
complesso della comunicazione,quella multimediale. Si può parlare quindi di regimi alfabetici
(libro) regimi non alfabetici (medium). L'apprendimento multimediale opera per immersione,
l'apprendimento monomediale (ambiente gutemberghiano) opera per astrazione. In realtà la
galassia multimediale ha ridato voce al mondo,mentre quella monomediale l'ha fatta piombare nel
silenzio. Lo studioso Ken Robinson i sistemi della formazione sono spesso visti come istituzioni
che ostacolano la creatività e il coinvolgimento e quindi tali sistemi educativi devono essere
trasformati radicalmente, perché ancora strutturati su finalità e obbiettivi che appartengono a epoche
ormai trascorse. La scuola infatti è soltanto un mezzo attraverso cui l’istruzione si vanta di
trasmettere delle conoscenze, non tenendo conto invece delle infinite varietà di ingegno, di razza, di
provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.. dunque si rifiuta di stimolare la creatività.
La mediologia non è una disciplina in senso stretto (e probabilmente non lo sarà mai, almeno
nell’accezione corrente del termine), ma un campo di studi che sceglie i media come territorio di
osservazione privilegiato per lo studio della società e dei suoi mutamenti. A partire dalle analisi
dello studioso Walter Benjamin sulla fotografia e sul cinema, venne coniato il termine “medium”,
ovvero “il modo secondo cui si organizza la percezione umana” e non solo: il medium oltre che
essere considerato come nuova forma espressiva e di rappresentazione , un dispositivo tecnico o una
determinata struttura architettonica, indica anche il modo in cui si organizza la percezione di un
determinato periodo storico, dando forma ad un’esperienza mediata e storicamente variabile. In
seguito le teorie dello studioso McLuhan affermano come il canale che si adotta per comunicare
condiziona il senso di ciò che si comunica. E’ questo infatti il senso dello slogan dello studioso
ormai noto “il medium è il messaggio” (così come “il villaggio globale”). In questa accezione sono
media tutti i dispositivi e le risorse che compensano i limiti di conoscenza dell’uomo e ne
amplificano la portata.
Quella dell'hacker è una vera e propria cultura, che è stata terreno fertile per alcune delle più
importanti innovazioni tecnologiche e culturali degli ultimi decenni. La filosofia hacker ha a che
fare con l'etica dell'open source (da qui derivano concetti come quello di open data, open access,
open government, open education ecc).
Con "cultura generale" si fa riferimento all'insieme di pratiche, credenze, tecniche e saperi connessi
all'utilizzo e alla diffusione delle tecnologie basate sull'informatica, sulla codificazione binaria
dell'informazione e sulla rete. Alla base del processo tecnologico e del suo sviluppo vi è il passaggio
dall'analogico al digitale, dall'onda al codice numerico del mondo. Alla base di questo percorso che
ha avuto inizio più di mezzo secolo fa, vi è il concetto di natura convergente del digitale, ovvero la
possibilità di poter veicolare indifferentemente ogni sorta di forma espressiva attravrso un unico
linguaggio. Quando si parla di cultura hacker, anche per via di cattive prassi giornalistiche, c