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Nel frattempo Cameron girò Titanic che ha battuto ogni record al botteghino e vinto undici oscar.
Hollywood cominciò a nutrire speranze nel 3D nei primi anni 50. Alla disperata riconquista del
pubblico sottrattogli dalla televisione sfornò B-movie con quella che all’epoca era l’ultima trovata
tecnologica. Ma l’effetto novità del 3D svanì presto: gli spettatori trovarono a casa con nausea e
mal di testa perché la tecnologia era ancora da perfezionare. Dieci anni dopo Cameron era uno dei
pochi pezzi da novanta di Hollywood a spingere affinché l’industria cinematografica puntasse sul
3D. Da qual momento Robert Zemeckis,Steven Spielberg e altri cominciarono ad utilizzare il 3D
come nuovo strumento per raccontare storie. Cameron inoltre voleva usare il 3D per trasportare gli
spettatori nel suo mondo e iniziò a girare con le nuove tecnologie per il 3D “Viaggio al centro della
terra”. Cameron inoltre voleva tradurre il mondo di Avatar in un videogioco in quanto le persone
cercavano l’intrattenimento per poter evadere dalla realtà. Quando tutte le figure interessate si
riunirono nella stanza per discutere dell’uscita del videogioco si sapeva qual era il problema: la
trasformazione di un film in un videogioco era un lavoro che non era quasi mai andato a buon fine.
Ma Cameron aveva un’idea migliore di interazione tra film e videogiochi: sviluppando
simultaneamente film e gioco sperava di creare un videogame che esplorasse elementi della storia
che il film non poteva approfondire. Inoltre voleva inserire nel gioco alcune di quelle creature che
aveva ideato e che nel film non avrebbero trovato spazio. La casa di produzione che produsse il
videogioco era la Ubisoft,terza casa di produzione di videogiochi nel mondo,con a capo della sede
più importante dell’azienda Yannis Mallat. Ubisoft ha visto in Avatar la chiave di volta della sua
nuova strategia,cioè l’unione di videogiochi e film. Nel marzo 2008 quando il progetto di Avatar era
gia piuttosto avanti Ubisoft acquisto i diritti del marchio Tom Clancy e pochi mesi dopo acquistò
anche Hybride Technologies. L’obbiettivo di Ubisoft era quello di competere con la Weta Digital di
Peter Jackson ai massimi livelli degli effetti speciali digitali.
Poiché girano su uno schermo televisivo e devono avere una grafica sostenibile per console,i
videogiochi non possono competere con l’effetto sensoriale di un film. In compenso hanno una
carta vincente rispetto al cinema,ovvero saper coinvolgere direttamente il giocatore in una storia.
Chi gioca deve prendere delle decisioni e non guardare semplicemente degli attori che seguono un
copione.
A causa di tutti i grandiosi effetti speciali presenti nel film,il gioco di Avatar si rivelò deludente. Non
ostante le risorse messe a disposizione da Cameron durante la lavorazione del film,il videogioco si
è rivelato nient’altro che un mediocre elemento promozionale per la pellicola,piuttosto che un tuffo
di profondità nel mondo di Cameron. I giocatori venivano catapultati su Pandora senza che venisse
spiegato loro perché si ritrovassero li e che cosa dovessero aspettarsi. Si ritrovarono così in uno
sparatutto noioso e ripetitivo. Il film era un’esperienza visiva così travolgente che il pubblico poteva
anche ignorare la trama tutto sommato banale e i personaggi stereotipati. I giocatori del
videogame invece non avevano questa possibilità.
Nel 1977,quando la Fox fece uscire “Guerre stellari” a nessuno venne in mente di creare un
universo fantascientifico che i fan potessero esplorare in profondità. Il film era tutta farina del sacco
di Lucas,un rinnegato di Hollywood. Il suo primo film “L’uomo che fuggì dal futuro” era stato
scartato,il secondo “American Graffiti” era stato quasi ceduto alla televisione dalla Universal che
poi lo fece uscire al cinema. Non ostante questo l’unica casa di produzione che diede spazio
all’opera spaziale di Lucas fu la Fox. Da Guerre stellari ha avuto origine una cascata di derivati,ma
pochi di questi hanno un legame diretto con il film:
- La casa editrice Del Rey Books ha pubblicato un romanzo che in copertina riporta il nome di
George Lucas ma in realtà è stato scritto da un ghost writer.
- Marvel ha fatto uscire una serie di fumetti che dall’ottavo episodio hanno cominciato a prendere
una piega strana.
- La Kenner ideò una linea di giocattoli che però era rimasta piuttosto fedele all’universo creato da
Lucas.
Guerre Stellari consentì a Lucas di mettere in piedi una casa di produzione tutta sua la Lucasfilm
ma allo stesso tempo però Guerre Stellari gli aveva distrutto la vita e il matrimonio. Quindi era
finita. Ma era finita anche per molti fan: i bambini del 1977 erano diventai ragazzi e a quell’età
guerre stellari sembrava molto meno cool.
Nel 1986 Roffman venne nominato responsabile della gestione delle licenze del marchio Guerre
Stellari. Roffman era entrato come avvocato alla Lucasfilm del 1980 e curò i contatti del
merchandising per un paio d’anni,poi venne nominato avvocato principale dell’azienda. Una volta a
capo delle licenze dovette capire come ridare vita ad un business moribondo basato su un
franchise ormai sfruttato fino alla fine. La Kenner e altre società di giocattoli dicevano che Guerre
Stellari era un marchio ormai morto. Ma Roffman si isolò da tutto e da tutti per riflettere e capire
che cosa fare per invertire quella tendenza. Il problema di Guerre Stellari era molto specifico: le
licenza per il marchio erano state cedute una miriade di volte per romanzi,fumetti,spade
laser,modelli,videogiochi eccetera. Facendo una somma di tutti questi prodotti però ne veniva fuori
un caos. Così Roffman stabilì una nuova regola: da quel momento in poi ogni nuovo prodotto della
saga di Guerre Stellari avrebbe dovuto rispettare la trama degli episodi precedenti.
Alla fine degli anni 80 la Lucasfilm provava a rientrare nel business del merchandising e
cominciarono con un romanzo,che sembrava qualcosa di più maturo per quei ventenni che
all’uscita di Guerre Stellari erano dei bambini. Il romanzo scalò la classifica dei libri più venduti del
New York Times. Questo segnò l’inizio della rinascita di Guerre Stellari. Poco dopo ci fu il ritorno
dei fumetti,poi i giochi di ruolo,una nuova linea di giocattoli e ancora fumetti. Per non contraddire la
trama del film le nuove storie dovevano aderire ai precetti di Guerre Stellari: la lotta tra il bene e il
male,il ruolo del misticismo e della spiritualità,l’attenzione ai rapporti familiari eccetera.
Controllo
Una sera di giugno del 2009 Betty Draper,la casalinga spostata con il pubblicitario Don Draper
postò un messaggio su twitter che diceva: “ nella veranda sul retro,apro barattoli di lucciole che
fuggono nella notte. Le cose belle dovrebbero essere lasciate libere”
Il fatto che Betty twittasse era già di per sé un piccolo miracolo in quanto lei era il personaggio di
finzione delle serie televisiva Mad Men,e di solito i personaggi di fiction non condividevano i propri
pensieri online. Betty è un personaggio di una storia ambientata negli anni 60 quando ancora non
esistevano ne twitter ne tutta la tecnologia. Ad ogni modo Mad Men non è poi così fuori luogo su
twitter. Vincitrice di numerosi Emmy Awards,Mad Men mette in scena il mondo di Madison Avenue
cuore della pubblicità newyorkese anni 60,in un epoca di radicali cambiamenti sociali. La serie
racconta chi siamo ricordandoci come siamo cambiati nel corso degli anni e lo fa in modi più o
meno espliciti. Mad Men fotografa il vecchio modello del command and control cioè comanda e
controlla. I protagonisti della serie sanno perfettamente che cosa vuole lo spettatore e vengono
pagati per darglielo. Ma nel momento in cui i personaggi tritano online Mad Men diventa un sense
and respond (ascoltare e osservare per essere pronti a cambiare e ad adattarsi).
Che cosa succede quando i telespettatori cominciano ad appropriarsi della trama e la raccontano a
modo loro? Questo fenomeno è cominciato nell’agosto del 2008 proprio con Mad Men quando
Paul Isakson,responsabile marketing di una piccola agenzia pubblicitaria cominciò a twittare
firmandosi Don Draper,il marito di Betty. Nella serie Don è il direttore creativo della Strealing
Cooper. Qualche giorno dopo Carri Bugbee direttore di un’agenzia di marketing cominciò a twittare
fingendosi Peggy Olson l’ex segretaria di Don. E ci fu così come una catena. Il fatto che tutto
questo non fosse stato autorizzato dal creatore della serie Matthew Weiner sembrava non
importare a nessuno. Poco meno di un mese dopo nove personaggi della serie erano su Twitter.
Ma ad un certo punto tutto si placò. Quando Carrie Bugdee provò a loggarsi su Twitter non riuscì
ad entrare e poche ore dopo gli arrivò un e-mail di Twitter con scritto che il suo account era stato
bloccato per attività sospette. Tutti gli account in questione vennero chiusi, ma i commenti su Mad
Men cominciarono ad invadere Twitter e tutti si chiedevano il perché avessero soffocato
l’entusiasmo di spettatori così visibilmente appassionati di quel prodotto. Anche Deep
Focus,l’agenzia di marketing digitale della AMC disse ai dirigenti di AMC che non avrebbero dovuto
chiudere qualcosa che stava generando così tanta pubblicità gratis. Da allora una donna di nome
Helen Klein Ross cominciò a twittare fingendosi Betty. Ma non si trattava di una cosa semplice,per
prima cosa qualcuno stava già twittando come Betty Draper. Ross provò a contattare invano quella
persona così decide di continuare lo stesso. Per essere precisa aveva passato ore a guardare gli
episodi di Mad Men. Ross considerava tutta la faccenda di Twitter una sorta di esperimento di
quello che sarebbe potuto diventare l’intrattenimento.
In un mondo in cui domina il modello comanda e controlla sappiamo chi è che racconta una storia:
l’autore. Ma i media digitali hanno creato una crisi di autorialità. Quando il pubblico è libero di
entrare in un mondo fittizio e influenzarne il corso degli eventi l’intera struttura dei mass media
comincia a sgretolarsi. I mass media sono stati una conseguenza della tecnologia e si sono diffusi
in qualsiasi ambito fino a creare un meccanismo di sense and respond: dialogare.
Molti autori hanno pubblicato le loro opere a puntate,ma uno su tutti ha incarnato questo tipo di
letteratura: Charles Dickens. Nel 1836 a 24 anni e dopo aver pubblicato una raccolta di
racconti,ottenne un incarico dalla casa editrice londinese Champan & Hail. Presto Dickens diventò
il romanziere più famoso dell’Inghilterra nonché l’indiscusso maestro del romanzo a puntate. E
Dickens cominciò a scriver