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Questo tipo di montaggio rimanda alle meduse di Parole, Parole,
Parole…
È un tipo di montaggio parallelo, una sovrapposizione artificiale, che
riconduce a una duplice realtà. L’eterogeneità della medusa ci fa
pensa che le canzoni sentite nel film non siano che delle distrazioni o
degli effetti di commedia musicale. E anche il montaggio di due
livelli di rappresentazione estranei l’uno dall’altro: realista e
trasparente per il racconto in immagini, apertamente artificiale per le
canzoni di varietà utilizzate nella loro forma originale. Qui ciò che è
importante è l’incontro delle due forme. E il montaggio di Resnais
non va verso una cancellazione dei livelli; lontano dallo scemare,
insiste sugli angoli, fa brillare ciascuna delle schegge.
3) Montaggio per interruzione:
L’amour à mort è un esempio di questo tipo di montaggio.
Al di là del tradizionale montaggio narrativo, il film comprende una
serie di interruzioni, costituite da piani blu-neri disseminati di
particelle luminose e accompagnati da una musica che rompe di netto
con la colonna sonora sentita durante il racconto.
La musica è forza di interruzione, arriva per ben 52 volte durante il
film.
Queste rotture di L’amour à mort, rinviano ad altri tipi di rotture,
come in Hiroshima mon amour, con la sabbia che scintilla sulla pelle
dei corpi nudi, o ancora in Cuori, con la neve che cade tra le scene e
anche tra le inquadrature.
l’idea baziniana di
In conclusione Amiel rifiuta decoupage come
assemblaggio di frammenti, in sé coerenti, e cerca invece di catturare
l’intreccio di realtà eterogenee che convivono nei film di Resnais.
Preferisce infatti, all’ipotesi di un disegno d’insieme concepito a
l’immagine della
priori, giustapposizione ambivalente di pezzi che non
coincidono, perché non appartengono a un unico livello del reale.
Amiel osserva che il gioco del mostrarci “la meccanica”, gli artifici che di
solito si dovrebbero nascondere, la struttura a monte dei film, quello delle
“biografie” dei personaggi, che Resnais chiedeva di scrivere ai suoi
sceneggiatori, non solo non bastano a darci una spiegazione, ma anzi
creano una falsa unità in cui il montaggio, in apparenza così rigoroso, è
un’ennesima rottura e la completezza resta «un orizzonte soltanto
sognato», testimonianza della natura artificiosa, in fondo, di ogni
immagine. Le inquadrature uniche «la cui messa in serie diventa
ingannevole» dunque «con forza, con consistenza capovolgono il
mimetismo antico di un’arte che cerca di unire i suoi frammenti per
raggiungere l’unità del mondo»
LA METAMORFOSI DELLA SCENOGRAFIA
Jean-Pierre Berthomé
Per la realizzazione dei suoi lungometraggi, Resnais è quasi sempre stato
fedele allo stesso scenografo, Jacques Saulnier.
Uno dei tratti più caratteristici della scenografia, secondo Resnais, è la sua
capacità di metamorfosi, che si declina nei suoi film in diverse maniere.
Queste metamorfosi prendono 4 forme diverse:
Segni del passaggio del tempo, usura, invecchiamento, cambio d’uso.
1) Si tratta di una conseguenza logica del fatto che il regista mostri la
stessa scenografia in momento diversi da un cospicuo intervallo
temporale. Un primo esempio può essere certamente NOTTE E
NEBBIA. Il regista confronta immagini di repertorio dei campi di
concentramento filmate in b/n cariche della presenza delle vittime e
dei loro carnefici, ad altre immagini degli stessi identici luoghi
ripresi a colori 10 anni dopo la liberazione del campo di
concentramento di Auschwitz, privi di qualsiasi presenza umana.
Anche in film come Muriel, dove la vicenda si svolge nell’arco di
pochi giorni, questa metamorfosi temporale delle scenografia è
presente, come nella rappresentazione della città di Boulogne-sur-
Mer ricostruita dopo la guerra.
Approccio diverso, ma fondamentalmente identico, è quello in JE
T’AIME JE TAIME. Ci viene presentato l’appartamento di Ridder
durante gli 8 anni di relazione con Catrine, nella quale ci inserisce
una trentina di momenti che corrispondono ad altrettanti dettagli 8
anni dopo. Resnais non fa altro che rappresentare la staticità di un
luogo e la non evoluzione di un personaggio, in questo caso di
Ridder.
In LA VITA è UN ROMANZO troviamo lo stesso paradosso
illustrato attraverso l’utilizzo che Resnais fa del castello di Forbek
nel 1919, nel momento in cui la sua costruzione viene interrotta, e
poi più di 60 anni dopo, quando vi si è installato l’istituto Holberg e
ci si riuniscono i partecipanti a un convegno. Il castello modernizzato
indica il passaggio del tempo.
2) Metamorfosi non oggettive, ma dovute al carattere della scenografia
o al modo di riprenderla.
Questo effetto è già presente nei cortometraggi. Dopo il
cortometraggio Van Gogh del 1948, Resnais rinuncia quasi
interamente alla dissolvenza incrociata, figura cinematografica che
caratterizza la metamorfosi, per preferirle gli effetti di raccordo di
forme o movimenti. Tuttavia non è di metamorfosi che bisogna
parlare qui, ma di esplorazione di spazi compresi come
indifferenziati, sedi di una funzione che da sola ne giustifica
l’esistenza e ne autorizza le mutazioni.
In seguito, Resnais continuerà a privilegiare gli spazi labirintici, in
cui l’illusione di metamorfosi sempre possibili riguarda tanto la
difficoltà di porci dei riferimenti quanto l’ingegnosità con la quale il
regista rinnova la visione che ne propone. È il caso di MURIEL,
dell’appartamento di Helene, o della cucina in PROVIDENCE,
ripreso da un punto di vista diverso quante sono le apparizioni nel
film. Oppure ancora nello stesso film, i corridoi che collegano la
al salone, poi l’ingresso monumentale nel mezzo del primo
cucina
corridoio, formando come una rete di comunicazione periferiche che
sfida la comprensione e crea l’impressione che l’abitazione si
riconfiguri continuamente.
Stesso discorso anche per L’ANNO SCORSO A MARIENBAD. Qui
troviamo, però, una variabile, che è quella del montaggio per
destabilizzare la percezione dello spettatore e creare una tensione
insidiosa tra la continuità interrotta dell’azione e la trasformazione
inspiegata della cornice nella quale essa si iscrive.
In questo modo Resnais mette in questione la fiducia dello spettatore
nella pseudo-realtà dello spazio che gli viene presentato sullo
schermo. Poco importa che questo spazio sia costruito di frammenti
raccordi ne garantisce un’illusione
diversi, fintato che la retorica dei
di coerenza. Un’illusione illusoria, in quanto i personaggi di
L’ANNO SCORSO A MARIENBAD sono come sospesi in uno
spazio immaginario.
3) Metamorfosi oggettive ma ingiustificate.
Talvolta la metamorfosi della scenografia in Resnais è affermata
senza ambiguità, mentre nulla nell’azione può giustificarla.
È il caso di L’ANNO SCORSO A MARIENBAD, una vasta stanza
dominata dalla presenza di un grande letto matrimoniale, si trasforma
da una scena all’altra, anche se la sua disposizione fisica resta
costante. Andando avanti nel film la scenografia muta, come per
esempio le pareti, la testiera del letto, cambiano anche i mobili, ecc.
La cosa più importante è che qui non c’è opposizione tra due stati
generalizzata che da sì che
nettamente differenziati, ma un’incertezza
nessuno degli elementi d’arredo appartenga a una versione della
scenografia piuttosto che a un’altra. Quest’incertezza è condivisa
dagli stessi personaggi, che non smettono mai di affermare quanto i
loro ricordi del luogo siano incerti e contradditori, tanto da far
sembrare che forse sia tutto frutto della loro immaginazione.
La stessa incertezza la proviamo in film come PROVIDENCE, JE
T’AIME JE T’AIME.
L’ultima
4) metamorfosi: la scenografia come scenografia.
Questo tipo di scenografia la troviamo molto evidente in L’ANNO
SCORSO A MARIENBAD, dove sui viali alla francese in cui lunghe
ombre direttamente dipinte sul suolo ai piedi di personaggi immobili,
contraddicono il fatto che il sole a picco possa proiettare alcuna
ombra.
A PARTIRE DALL’ARCHITETTURA:
SPAZIO E PERCORSI DI SENSO NEL PRIMO
RESNAIS
Antonio Costa
Un luogo occorre, perché qualcosa abbia luogo.
C’è sempre un luogo da cui partono i percorsi della memoria, grande tema
del cinema di Resnais. E questo luogo ha sempre un nome. È una forma,
per lo più architettonica. Ciò che ha luogo nel cinema di Resnais è il
passaggio: qualcosa passa dal luogo alla coscienza, al soggetto che quel
luogo percorre, visita e rivisita. Il tutto attraverso il linguaggio. Linguaggio
verbale ma anche visivo, come in L’ANNO SCORSO A MARIENBAD, il
monologo di X e i cartelli che lo accompagnano.
Per descrivere il suo documentario su Van Gogh, ha usato la parola
ARCHITETTURA. Per giustificare la scelta del bianco e nero, ha parlato
di problemi tecnici e alludeva al fatto che il b/n permetteva di creare
tra tele diverse, in modo da far emergere l’architettura tragica della
legami
pittura di Van Gogh.
Resnais era interessato della geografia, della topologia dei quadri. Spesso
isola parti di un quadro con primi e primissimi piani .
Ripercorre i luoghi di Van Gogh ricercandoli proprio nelle sue tele, per
farci percepire come il pittore guardasse con la stessa intensità gli esseri e
le cose che si confondono nello stesso stupore. Resnais vuole dirci che il
bianco e il nero sono dei colori, non assenza di luce come ci hanno sempre
insegnato.
Stesso discorso vale anche per il documentario su Paul Gaugain, ma con
un risultato diverso. Il film inizia e termina con un autoritratto del pittore,
dove il soggetto IO trasforma il tutto in una narrazione alla prima persona
singolare. Se l’utilizzo del bianco e nero in Van Gogh era una scelta, nel
caso di Paul Gaugain è un’imposizione dettata dallo scarso budget a
disposizione.
Nel caso, invece, di Guernica Resnais esce dai limiti della pittura. Il film
inizia con un’immagine delle case di Guernica distrutte dal
bombardamento. In questo caso non è più la cinepresa che si avvicina al
dipinto, bensì le immagini della pittura che emergono da vuoto.
Questa sovraimpressione tra fotografia e pittura, universo reale e
immaginario, è mediata dai versi recitati da Èluard. Troviamo effetti
scenografici, di montaggio e ottici. Il dipinto da rappresentazione di un
luogo fisico distrutto dive