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Platone è considerato il filosofo del “dover essere”, mentre Aristotele quello dell’ “essere”.
Aristotele divenne un’autorità nella biologia, zoologia e fisica, tanto che fino al 1500 vigeva
l’espressione autoritaria “ipse dixit”, appunto “lo ha detto lui” (Aristotele). Il filosofo di concentra
sugli aspetti della realtà naturale e contribuisce all’avanzamento di tutte le conoscenze empiriche.
Emblematico del rapporto tra Aristole e Platone è il dipinto di Raffaello dove. Nella Scuola di
Atene, i due filosofi dialogano e mentre il primo indica il basso (la realtà empirica), il secondo
indica il cielo (il mondo delle idee). Platone è il filosofo della trascendenza, Aristotele quello della
immanenza.
Aristotele è entrato adolescente nell’Accademia Platonica ma dopo vent’anni si è distaccato dal
maestro. Diogene Laerzio, biografo di Aristotele, parla di un rapporto antagonistico fra i due.
Platone morì nel 347 e viene indicato Speusippo come successore nella guida dell’Accademia
platonica mentre ad Aristotele viene affidata l’educazione di Alessandro Magno. Alessandro ripagò
gli insegnamenti preziosi del maestro fornendogli tutti gli animali a lui necessari per i suoi studi,
ricerche che fecero di Aristotele il maggiore zoologo fino al Settecento. Dipende proprio dagli
insegnamenti di Aristotele il lavoro di incivilimento di Alessandro.
L’uomo è visto da Aristotele come un essere dedito alla conoscenza, curioso, e spinto a conoscere
cosa si celi dietro il mondo fisico. Secondo il filosofo, l’essere è il primo oggetto più importante
della conoscenza umana ed esso si può predicare in vari modi, ma è l’essere in sé che determina la
sostanza dell’individuo. Ad esempio, si può dire Socrate è greco, Socrate è anziano, Socrate
cammina ecc, perché si può dire che Socrate “ è “. L’essere è l’ individuo: sostanza ed individuo
coincidono. Le sostanze sono gli individui. Per sostanza si intende qualcosa che si trova sotto le
apparenze, è la base su cui poggiano le caratteristiche accidentali. La sostanza è semplice,
indivisibile, individuale.
La sostanza è l’organismo, l’individuo vivente; pertanto Aristotele è stto considerato il filosofo
della vita. L’essere è la sostanza, la sostanza è l’individuo, l’individuo è l’organismo (una roccia
posso spaccarla in più parti dove ciascuna di esse avrà la stessa essenza, invece se smembro un
organismo vivente otterrò parti senza significato, deturperò l’essenza dell’organismo). Siamo
quindi agli antipodi di Platone, secondo cui l’essenza sta nel mondo delle idee.
La vera realtà è quella degli individui che sono un insieme di materia e forma, ovvero sono materia
che ha assunto una forma individuale irripetibile.
Aristotele rifiuta il mondo delle idee, dicendo che Platone così facendo ha reso più difficile capire
la realtà. Il filosofo, infatti, dice che se bisogna ammettere l’esistenza di un Uomo universale, per
collegare l’uomo Socrate con l’idea universale di Uomo allora si ha l’esigenza di un mondo di
relazioni che permettano tale collegamento. Questa relazione tra l’uomo A e l’uomo B sottintende
la presenza di un “terzo uomo” C che li collega. In pratica, se ho due termini per forza ne avrò
anche un terzo che li mette in relazione (ecco il fondamento del detto popolare “non c’è due senza
tre”). La presenza di C, mi permette di relazione A e C con un quarto elemento D, e così via
all’infinito.
Aristotele critica anche a Platone la mancata spiegazione di come mondo reale e delle idee si
relazionino: dice solo che le idee sono incorruttibili e ricorre solo ai termini “imitazione” e
“partecipazione”.
Aristotele vede la realtà formata da entità individuali posti in struttura piramidale. Alla base della
piramide troviamo la materia bruta, priva di forma ( astrazione: mai ci imbattiamo in pura
materia), poi attraverso i sinoli (congiunzione di materia e formamondo vegetale, minerale e
animale) si arriva al vertice, pura forma. In questa visione gerarchica, la materia è relazionata con
la potenza e la forma con l’atto. Le cose sono in atto perché tendono a diventare qualcosa di
diverso, e questa loro potenzialità a trasformarsi è la potenza. La realtà è fatta di individui che
tendono a passare dalla potenza all’atto.
Dio è atto puro e forma pura, in quanto Dio è perfettamente adeguato a se stesso, non ha in sé il
movimento a trasformarsi in qualcos’altro. Il movimento è il passaggio da potenza ad atto, dove
potenza è sinonimo di materia e atto di forma. Dio è privo di materia, è puro atto ed è motore
immobile. Il Dio cristiano è provvidenza, si occupa degli individui, si abbassa verso l’umanità fino a
sacrificare suo figlio, mentre quello aristotelico è imperturbabile, pensa a sé, alla sua perfezione, e
non agli esseri inferiori: Dio è pensiero di pensiero. La suprema perfezione, dunque, si verifica
nella contemplazione.
Con Aristotele abbiamo l’ideale teoretico per cui la vita umana abbia la tendenza di Dio a pensare
a se stesso, chiudendosi nella propria perfezione. Il culmine della realtà è il pensiero di Dio e tale
pensiero è staccato dalla realtà e rappresenta il modello per l’uomo che deve tendere alla teoresi.
L’essere è continuo movimento, continua relazione tra tutti gli enti dei vari regni della realtà. Il
pensiero umano deve saper collegare tutti gli elementi, passando da un livello all’altro della realtà.
Aristotele raccoglie i suoi libri di logica nell’Organon, in cui si sviluppa la filosofia che tale rimarrà
fino ad Hegel. Il filosofo afferma che ogni termine della realtà ha una sua comprensione ed
estensione: ogni termine che usiamo comprende un tot di caratteristiche e si può estendere ad un
certo numero di cose simili, pertanto alla gerarchia della realtà corrisponde la gerarchia dei
termini. I termini massimamente comprensivi e minimamente estensivi sono quelli che si
riferiscono agli individui e che costituiscono i soggetti veri e propri. Ad esempio “Socrate” è
massimamente comprensivo perché comprende l’età di Socrate, le sue esperienze, le sue
conoscenze, ecc, ma “Socrate” si riferisce solo a quella singola entità, non può estendersi ad altre.
Ogni nome individuale ha questa caratteristica.
Nella gerarchia dei termini, troviamo alla base i soggetti e al vertice le categorie; al centro le
possibilità di discorso. Il modo sicuro di passare da un livello all’altro è operare tramite sillogismi.
Tale procedimento prevede una premessa maggiore, una minore ed una conclusione: ad esempio
“l’uomo è mortale”(premessa maggiore), “Socrate è un uomo”(premessa minore), “Socrate è
mortale”(conclusione). Secondo Aristotele per passare dall’universale al particolare bisogna aver
raggiunto certezze con l’induzione (ovvero col processo inverso); quindi, tornando all’esempio,
posso sfruttare la premessa maggiore solo se ho accertato che l’uomo sia mortale. Il filosofo
sostiene che l’induzione, la conoscenza empiristica, non deve portare al parossismo. L’induzione
cioè non può essere considerata l’esperienza diretta di tutto un fenomeno, si pensi ad esempio
all’acqua del mare: mi basta berne un bicchiere per dire che l’acqua del mare sia salata, non mi
occorre bere più bicchieri anche perché ne berrei sempre e solo una piccolissima quantità.
Tuttavia il processo induttivo non si verifica sempre nello stesso modo: per alcuni fenomeni
occorrono più osservazioni, pertanto mentre l’induzione resta un campo indeterminato, la
deduzione (tramite sillogismi) è sicura.
Aristotele propone tre principi logici fondamentali:
-principio di identità: una cosa è se stessa, non un’altra. Quindi A=A
-il principio di non contraddizione: una cosa è diversa da un’altra, quindi A DIVERSO DA B
-il principio del terzo escluso: non si può affermare la qualità di una cosa ed il suo contrario, quindi
non posso dire “Socrate è vivo e morto”.
Questi principi sono intuitivi, si accettano automaticamente, nei fatti.
Aristotele da priorità alla filosofia prima, chiamata “metafisica” perché Andronico di Rodi
riordinando le opere del filosofo, collocò prima quelle di filosofia e poi quelle di fisica (metà ta
fusika= metafisica, parola quindi di origine filologica ma che ben si adegua al contenuto, giacchè
Aristotele parla di ciò che è alla base della realtà ma che sfugge all’osservazione diretta).
Una grande differenza tra Aristotele e Platone si vede nel fatto che mentre Platone contempla la
vita ascetica ed il superamento del sensibile, per Aristotele il sensibile conta e le virtù sono
identificabili nel motto ciceroniano “in medio stat virtus” (la virtù sta nel mezzo). Aristotele
considera l’anima divisa in anima intellettiva, sensitiva e vegetale: la virtù quindi sta nel fatto che
nell’agire umano l’anima intellettiva indichi la giusta via, guidandoci senza lasciarci schiacciare
dalle passioni (anima sensitiva). L’essere buoni, virtuosi, è il frutto dell’esercizio a trovare il giusto
mezzo, bisogna cioè abituarsi ad indentificare “una via di mezzo” nell’agire tra intelletto e passioni.
La virtù non si esaurisce in un singolo atto di bontà o di eroismo ma sta nel compiere abitualmente
azioni giuste. Se l’uomo deve essere abituato alla virtù servono buoni maestri e genitori.
L’anima intellettiva possiede cinque virtù, tra le quali la principale è la sapienza (aderenza con
Socrate e Platone, la virtù suprema è la conoscenza). L’uomo virtuoso che perviene le virtù
dell’anima intellettiva raggiunge sapienza e saggezza, ove la saggezza è la prudentia, la capacità di
agire seguendo l’esperienza (non vi è nulla di codificato a priori). L’etica (il comportamento
individuale) è quindi nel campo del possibile, poiché anche se esistono norme universali queste
vanno applicate ai casi particolari e per farlo serve saggezza.
Per quanto riguarda la politica, Aristotele si propone di migliorare le costituzioni esistenti: non si
può affermare un modello perfetto e decidere di applic