Riassunto esame di Storia della Filosofia, prof. Antonio Gargano, libro consigliato Filosofia moderna, A.Gargano
Anteprima
ESTRATTO DOCUMENTO
un atteggiamento diverso con cui l’uomo legge i classici; nel Medioevo i classici latini erano ben
diffusi, quindi si può considerare l’Umanesimo come la coltivazione degli studia humanitas, quali la
retorica, la poesia, la storia e la filosofia, come la formazione di una coscienza umana aperta ad
ogni direzione, con consapevolezza storicocritica della tradizione culturale. Gli umanisti erano
filosofi nella filologia, in quanto volevano ripristinare i testi classici nelle loro redazioni originarie.
Machiavelli scrive “confrontandomi con l’0altro costruisco la mia identità” il dialogo è importante
e machiavelli dialoga con Livio, Virgilio, Cicerone e questo è un merito dell’umanesimo, che ha
dato la prospettiva storica che si era appiattita durante il Medioevo (no senso della profondit à,
diversamente da quanto accadrà nel Rinascimento, con la prospettiva).
Firenze è il fulcro dell’umanesimo, è stata una seconda Atene o Roma. Garin sottolinea come gli
umanisti, oltre a Livio, Virgilio, studiassero anche Dante, Petrarca, S. Agostino ( i “nuovi
classici”). Nella formazione umanista rientra una serie di classici cristiani e latini. L’umanesimo,
continua Garin, non nasce dal contenuto dei libri classici ma dal modo con cui gli studiosi del
tempo li leggevano (ponendosi interlocutori dei grandi del passato). Visto che la lettura dei classici
non è fatta per erudizione ma per la formazione della consapevolezza dell’uomo come cittadini, si
ha un Umanesimo Civile.
L’umanesimo civile è la prima fase dell’Umanesimo e uno dei suoi maggiori studiosi è Christian
Bac. Questo tipo di umanesimo è caratterizzato da quattro elementi: vita attiva, (il cui padre è
considerato Dante), socialitas (convivenza civile) libertas (libertà della polis ateniese e della Roma
repubblicana) e dignità dell’uomo (centralità dell’uomo nell’Universo). Il pensiero umano è legato
al rapporto con gli altri, alla famiglia e alla patria.
Alfonso D’Aragona indusse una gara pe premiare chi avesse scritto il miglior testo sulla dignità ed
eccellenza dell’uomo. G. Manetti partecipa parlando dell’uomo che è grande per le sue
realizzazioni; Manetti porta al passaggio col secondo Umanesimo, seguendo la massima “agire e
capire”.
1439: concilio di Firenze 1453: in Italia arrivano i dotti bizantini >opere greche in lingua. In questo
contesto possiamo individuare due grandi figure:
• Marsilio Ficino sposa il neoplatonismo, per cui il mondo è uno e la verità è una e quindi
auspica una filosofia di tolleranza. Questi, produce la Theologia Platonica, dove Platone è
visto quale precursore della teologia cristiana, e considera l’uomo come un microcosmo che
rispecchia l’Universo. Il movimento degli astri si riproduce nella realtà dell’uomo base per
l’astrologia. La realtà è una sola con al centro l’uomo.
• Pico della Mirandola muore nel 1494 (anno in cui Carlo VIII entra a Firenze segnando la
fine della libertà italiana). Era principe del paesino di Concordia e quindi si faceva chiamare
il “principe della concordia”. Era un erudito e seguì le orme di M.Ficino. cercò in 900 tesi di
trovare un punto in comune tra il cristianesimo e le dottrine e filosofie del mondo. A Parigi,
pubblicò le tesi con un testo introduttivo “L’orazione della dignità dell’uomo”, considerato il
manifesto dell’Umanesimo. Per l’Umanesimo è importante l’idea per cui l’uomo sia un
essere in cammino. È al centro dell’Universo e può reagire da tale posizione volgendosi agli
istinti bestiali, oppure andare verso l’altro, alimentando la scintilla divina che è in lui. La
piena realizzazione di sé non è mai raggiunta, l’uomo è sempre in cammino.
Marsilio Ficino e Pico della Mirandola
Possiamo operare una shcematizzazione:
14001439: Umanesimo Civile
14391453: Umanesimo di Corte
14331499: M. Ficino, 14631496:Pico della mirandola Neoplatonismo
Platone aveva detto che l’idea del bene fosse, la perfezione, superiore alle altre idee unificandole.
Plotino dice che l’Uno è unificazione, è unità (come per Pitagora, per cui l’uno è l’archè). Il
Cristianesimo tende alla creazione staccandosi dall’emanatismo (ovvero, tutte le cose sono legate,
sono manifestazione dell’Uno).
Unità della realtà è l’unità della filosofia con le religioni, si apre alla tolleranza.
Dal neoplatonismo derivano: l’astrologia, visto
che si individua una corrispondenza tra il mondo degli astri e quello umano 8quindi macrocosmo e
microcosmo). –la magia e l’alchimia: i regni della natura dalla
relazione di simpatie e antipatie, sono più o meno affini e possono influenzarsi a vicenda. Alcuni
alchimisti cecavano la pietra filosofale (capace di trasformare tutto in oro). Con Galileo,poi, la
natura diventerà quantificabile, riducibile a numero base per la costruzione della scienza
rinascimentale.
M. Ficino introduce Plotino nella cultura occidentale. È figlio del medico della famiglia di Cosimo
dei Medici e traduce prima Platone dal greco al latino e poi Plotino. A partire dalla traduzione,
elabora una sua filosofia, influenzato anche dal Corpus Ermeticum (testi scritti nella Grecia arcaica,
secondo il mito, dalla rivelazione di Mercurio Trismegisto) e dai testi su Zoroastro. Ficino scrive
quindi la “Theologia Platonica” dove afferma che il logos abbia parlato prima ai filosofi greci per
poi rivelarsi pienamente in Cristo. Sviluppa:
la pia philosophia, ovvero la filosofia non è solo umana ma anche religione, è pia (nel senso di
pietas latina, attaccamento agli dei)
la docta religio: religione dotta, riflessione dell’intelletto umano.
Secondo il filosofo Dio è l’Uno di Plotino, è trascendente ed immanente, è presente in tutti i numeri
ma non è uguale a loro. I numeri sono multipli dell’Uno.
In Cristo c’è il culmine dell’incontro tra spirito e materia, ma non l’Unicità dell’evento. C’è solo un
principio, un solo Uno; esso ha una relazione con se stesso e quindi si duplica portando al due e
seguendo lo stesso processo si arriva al tre, ecc, fino all’infinito.
Dall’Uno si passa alle infinite cose.
Ficino afferma cinque sfere della realtà, con al centro l’anima umana. Quest’ultima è la copula del
mondo, l’unione di materia e spirito. Con la dottrina dell’amore platonico, suggerisce che attraverso
l’amore delle cose materiali l’uomo possa rintracciare la scintilla dell’Uno da cui sono generate.
L’uomo si innamora se coglie l’elemento divino presente nelle cose.
La dottrina della bellezza, invece, sostiene che un corpo sia bello nell’insieme, non che le singole
membra siano belle. Il bello nasce dall’armonia che non è qualcosa di materiale.
Chi si innamora va oltre la materia e vede in un elemento corporeo qualcosa di altro, di unificante.
Le cose sono poste in corrispondenza, quindi si può operare su di esse anche a distanza (magia).
Pico della Mirandola trascorre un anno a Padova, dove incontra G. Savonarola, che consiglierà come
predicatore a Lorenzo il Magnifico. Tocca Firenze, Roma, Parigi. Mira ad un’unità filosofica e
religiosa per l’umanità, per cui redige le 900 tesi da discutere coi pensatori del mondo. Queste tesi
sono unite dal “cabala” (parola ebraica), sono scritte con ampie digressioni cosmologiche e
illustrano come ogni parte del creato risponda ad una tacita armonia disegnata da Dio. Papa
Innocenzo VII nel 1486 sottopose questa raccolta ad una commissione, la quale vi trovò 13 eresie
(come l’idea del peccato mortale che, essendo un evento del tempo, non possa dare luogo ad una
pena eterna; inoltre sembrava avvicinarsi troppo a Maometto).
Pico scrive “Apologia” per difendersi dalle accuse di eresia, ma sostenendo l’importanza del cabala,
della magia come prova della grandezza di Dio, ottiene un mandato di cattura da papa Innocenzo.
Allora, fugge in Francia ma Ficino gli scrive per invitarlo a Firenze, sotto la protezione di Lorenzo il
Magnifico.
Quando Lorenzo muore, Pico spera di unirsi a Savonarola ma muore (seguito dallo stesso
predicatore, che verrà giustiziato al rogo). Pico con le 900 tesi voleva ricreare in grande scala ciò
che Platone aveva fatto in Accademia e Aristotele al Liceo: una filosofia basata sul dialogo.
Auspicava una conciliazione dei dotti, non delle dottrine. Scambiandosi argomentazioni, e
conoscenze, avveniva uno scambio di logos: da questa disputa ciò che sarebbe risultato più valido
sarebbe stato accettato per far crescere l’uomo, la collettività.
Pico si definisce un “debole soldato” che entra in tali argomentazioni: nella discussione egli entra
da soldato e può uscirne sconfitto (ciò che dice viene superato da un migliore ragionamento) ma
irrobustito perché arricchito di altre argomentazioni. Pico della Mirandola, in pratica, si batteva
contro la ristrettezza mentale e culturale, percepiva concluso il Medioevo e il bisogno di affrontare i
problemi di ogni tipo.
Secondo il pensatore, Dio avrebbe creato l’uomo per ultimo permettendogli di assumere la
posizione desiderata da lui: egli è superiore perfino all’angelo, perché l’angelo ha un destino
determinato mentre l’uomo no, può sceglierselo homo faber fortunae suae (l’uomo è artefice del
suo destino).
L’uomo ha la dignità della libertà e ha in sé tanto i germi angelici quanto quelli bestiali; è l’uomo
che decide la propria natura, stando nel mezzo (in questo sì differenzia da Ficino che vedeva l’uomo
al centro del mondo come microcosmo che rifletteva il macrocosmo; Pico la riteneva una visione
che soffoca l’uomo, rinchiudendolo).
Le Disputazioni contro l’astrologia divinatrice fu scritto da pico, andando contro l’idea che l’uomo
fosse condizionato dagli astri, l’uomo è libero. Il futuro non è scritto nelle stelle. Per lo stesso
motivo si scaglia contro la magia cerimoniale (che evoca gli spiriti, cioè), in quanto risulta migliore
la magia naturale, ovvero la capacità di agire sulle cose conoscendone antipatie e simpatie.
Il platonismo fiorì al di fuori delle scuole, diversamente dall’aristotelismo (fine 400). S vennero a
formare, al tempo, due correnti circa il problema dell’intelletto aristotelico:
averroisti, per cui c’è un unico intelletto uguale per tutti gli uomini, immortale
alessandrinisti, per cui ogni uomo ha un intelletto proprio, passivo, e Dio è l’intelletto attivo.
L’intelletto dell’uomo è mortale, è congiunto al corpo (idea aristotelica dell’anima come colei che
forma il corpo e svanisce con esso).
Entrambe le scuole aristoteliche, però, ammettevano una doppia verità: la ragione e la religione
erano strade divise e senza conciliazione.
In questo contesto, spicca Piero Pomponazzi che ci lascia il “De immortalitate animorum”, per cui
l’uomo, oltre all’anima sensitiva degli animali, ha anche quella per conoscere l’universale. L’anima
non può fare a meno, comunque, del corpo e perisce con esso. L’immortalità non è dimostrabile, si
accetta dunque per fede.
Pomponazzi scrive anche il Libro degli Incantesimi, dove tutti gli eventi sono spiegati col principio
di naturalità. Il filosofo mette l’esperienza concreta prima dell’autorità di Aristotele, nel caso di
verità contrastanti.
Leonardo da Vinci
Questa geniale figura appartenente all’Umanesimo fiorentino di metà ‘400 ci lascia una produzione
scritta frammentaria (definita diluviale), non pubblicher à mai libri; infatti il noto “trattato sulla
pittura” fu ottenuto unendo i suoi appunti.
Leonardo scriveva diversi album, detti codici, con una grafia che andava da destra a sinistra,
raggiungendo un totale di 7000 fogli. Ha dato impulso a tutte le scienze, e per spiegare il suo
incommensurabile genio Vasari colloca la sua nascita sotto una felice costellazione. Leonardo viene
descritto anche come una persona elegante, gentile, bella e come colui che era “sveglio mentre tutti
dormivano”.
Garin, soprattutto, ha scritto sul suo conto, dimostrando le conoscenze e l’istruzione del genio che si
autodefiniva “illitterato”. Leonardo diceva questo di sé perché voleva ricavare la conoscenza
dall’esperienza, seguendo l’esempio degli antichi che considerava i veri umanisti. Freud sostiene
che Leonardo dividesse l’autorità degli antichi, il metodo degli umanisti (che rifiuta) e l’esperienza.
Da Vinci amava la natura, rifiutava l’autorità e la tradizione come fossero elementi negativi (in
questo Freud ha visto le reminiscenze di un conflitto col padre, cioè l’autorità, ed una propensione
per la madre mai conosciuta, la natura; alla luce di questo, la Gioconda è enigmatica perché ha il
sorriso della madre perduta di Leonardo).
Leonardo incontra Poliziano, altra personalità importante che affermava che il filologo storicizzasse,
mettendo nel giusto posto storico ogni testo, togliendone autorità. Leonardo, come lui, rifiuta
l’autorità, ma quella aristotelica però.
Gli umanisti erano per i tesi ciò che Leonardo era per la natura, ovvero osservatori che si
interrogavano.
Poliziano, inoltre, dava importanza alla parola, cosa che farà anche Leonardo, elencando nei suoi
scritti una serie di parole sconnesse per ricordarle, annotare, cercare parole con un significato più
profondo e concentrato.
Nei suoi codici, però, troviamo molti più segni che parole, giacché sosteneva che il disegno
cogliesse meglio la realtà.
Leonardo riprende il pensiero di Ficino (e quindi di Platone) del mondo formato da figure
geometriche e rapporti numerici; la filosofia della luce di Fucino diventa la filosofia dell’occhio di
Leonardo. La luce, infatti, permetteva di vedere (tramite l’occhio) tutte le cose, è una mediatrice.
Leonardo mette al centro di tutto il suo occhio: la conoscenza del mondo avviene tramite l’ottica, la
vista.
Il maggior biografo di Leonardo è vasari, il quale però risulta dubbioso e vago circa il rapporto del
genio con l’aldilà: Leonardo, infatti, affermava che l’anima fosse qualcosa che muore insieme al
corpo, lo spirito quindi si appoggia alla materia, tuttavia dice anche che per “saperne di più bisogna
parlare con i frati”…avvicinamento di Leonardo alla religione?
Il pittore visse negli anni del 400 della predicazione di Savonarola e Leon Battista Aliberti,
subendone le influenze. Come dice Garin, Leonardo ebbe molti stimoli: partecipò a riunioni settarie
e anche alle sedute di sezionamento dei cadaveri. Egli era un genio, provò ogni tipo di sapienza e
nell’arte dipingeva l’apparenza (è un filosofo dell’arte: per dipingere l’apparenza bisogna prima
cogliere quello che c’è dietro). L’uomo nella pittura, quindi, doveva emulare la divinità (ecco perché
il pittore faceva molti schizzi del corpo umano).
Per Leonardo la matematica era oggettività, le altre discipline erano sofistiche, portavano alla
retorica, producevano “gridore” (cosa a cui non gradita). Lui preferiva osservare la Natura,
ponendosi come precursore dell’empirismo sperimentale. La Natura, diceva, segue una razionalità
interna; quindi Leonardo era un determinista (la natura ha leggi ineluttabili). Inoltre, sosteneva la
precedenza della teoria sulla pratica, in quanto bisogna capire il meccanismo della natura prima di
poterla modificare a proprio piacimento. La scienza, per Leonardo quindi, doveva guidare l’uomo
altrimenti questi andrebbe alla cieca.
Leonardo ci propone la “riflessione della caverna”, che ci dà un’idea della sua curiosità e timore per
la natura era attratto dal mistero. In questa riflessione, infatti, egli descrive i sentimenti
contrastanti di curiosità e paura che prova quando, scorta una caverna buia, vi sbircia dentro per
conoscerla.
Niccolò Machiavelli
Sia affaccia sulla scena politica nel 1494, un periodo decisivo in quanto era iniziata l’età moderna
nel 1492 con la scoperta dell’America e la morte di Lorenzo il Magnifico (l’Italia inizia a
disgregarsi). In questo periodo, Isabella di Castiglia e Ferdinando D’Aragona avevano scacciato
dalla Spagna le restanti presenze arabe.
Si può schematizzare una netta differenza tra Machiavelli e Savonarola, figura emblematica del
Medioevo:
Savonarola: considera tuto come qualcosa di soprannaturale perché crede nella trascendenza di Dio,
vede la discesa di Carlo VIII come una punizione divina e segna la fine dell’età della Divina
Commedia(Medioevo).
Machiavelli: appartiene all’età moderna, crede nell’immanenza, considera Carlo VIII come colui
che ha conquistato l’Italia col gesso per la mancanza di una resistenza adeguata e forte, segna
l’inizio della Commedia Italiana.
• Nel 1494 i Medici vengono scacciati da Firenze, che diventa così una repubblica guidata
dietro le quinte da Savonarola. Machiavelli ricopre cariche politiche importanti.
• Nel 1512 Firenze, dapprima alleata con la Francia, sceglie di cambiare disastrosamente rotta,
andando a perdere contro la Francia e vedendo restaurata la monarchia dei Medici.
Machiavelli viene messo da parte, imprigionato, torturato ed infine scarcerato (venne
accusato di congiura).
Una volta libero, si rifugia nella tenuta a S.Casciano, di cui descriverà le occupazioni rurali e
i suoi momenti di raccoglimento in cui leggeva i classici, dialogando con loro.
• Nel 1527 i lanzichenecchi entrano in Italia effettuando il sacco di Roma. A Firenze vengono
di nuovo scacciati i Medici e Machiavelli è visto di nuovo con diffidenza perché aveva
collaborato con la monarchia.
Machiavelli ci lascia il “principe”, un trattato sulla buona condotta del sovrano che già dall’incipit si
discosta dai trattati medievali (non ci sono introduzioni): lo scrittore è un umanista che dà
importanza all’esperienza diretta ed indiretta (gli esempi degli antichi). Il testo inizia con la
distinzione dei territori in repubbliche e principati, questi ultimi divisi in nuovi (ottenuti per virtù o
fortuna) ed ereditari.
Machiavelli sostiene l’importanza di rivolgersi ai classici, ai modelli alti per migliorare. La storia ha
leggi interne non dettate dal divino ma dagli stessi uomini. Le leggi politiche, inoltre, non
dipendono da quelle morali: già nell’antichità la politica era separata dall’etica e quindi Niccolò ri
sottolinea tale divisione. La politica è amorale ( non immorale) perché segue sue leggi, necessarie,
così come fa la Natura (che segue le proprie leggi). Seguendo le leggi della politica si arriva alla
“realtà effettuale”, ovvero si segue la realtà per quello che è, senza pensare alle utopie.
Il principe, secondo machiavelli, può non essere buono se necessario, perché segue l’utile, ciò che
serve fare al momento per raggiungere la stabilità del potere.
In Machiavelli c’è l’antropologia pessimista (come risulta in Mandragola), dove l’umanità tende al
male. Per tutta l’età moderna continuerà questa idea (fino a Rousseu) di uomo teso al vizio, alla
cattiveria.
Il male del principe, quindi, serve ad evitare quello peggiore degli altri uomini. Gli egoismi
individuali si superano colo con la forza coercitiva superiore del principe, il quale segue quella che
nel ‘500 è stata definita come la “ragion di stato”.
Il valore più alto è lo Stato che da sicurezza e sviluppo civile.
Si parla di machiavellismo per indicare l’idea che l’uomo abbia in sé tutte le carte per splendere. Il
mondo è formato sulla patria, la libertà, l’uguaglianza, il lavoro e la serietà.
Machiavelli apprezzò molto il Duca Valentino (Cesare Borgia), figlio del papa Alessandro VI:
questi, infatti, dapprima riceve le milizie per creare un piccolo principato nella Romagna, poi lo
estende e forma un esercito autonomo di mercenari della famiglia Orsini e Colonna, infide. Il Duca
fa assassinare i più forti uomini di queste due famiglie, istituisce un “avvocato”, cioè un difensiore
per ogni città della Romagna ed un governo equilibrato. Inoltre prima si serve di Remirro de Orco,
uomo rozzo, spregevole, poi ne prende le distanze. Machiavelli lo apprezza perché con astuzia e
forza ha sfruttato la fortuna di essere il figlio del papa. È stato crudele ma era necessario per
fortificare l’Italia per contrastare le forze straniere.
Seguendo lo stesso ragionamento, lo scrittore giustifica anche la condotta del tiranno siciliano
Agatole (300 a.C.): ne riconosce la crudeltà ma dice che finché questa era finalizzata al bene
superiore della pace dello Stato, allora era giustificata, mentre quando diventa strumento per
fortificare solo la sua tirannide, allora era da condannare.
Il principe, continua Machiavelli, deve essere un “centauro”: metà uomo e metà ferino, e deve
imparare a dosare entrambi questi atteggiamenti mentre è al potere (dovrebbe essere istruito da un
altro centauro, come Chirone istruiva gli eroi). Inoltre, dà definizioni di tre elementi a cui ricorre
spesso nella sua trattazione:
necessità:in politica si agisce per necessità
visrtù: non è quella cristiana ma quella romana (consta nell’agire, nel coraggi oe nell’energia)
fortuna: qualcosa di necessario ma che l’uomo non può prevedere, tuttavia se è previdente può
arginare i danni (porta l’es. di un fiume che, in caso di piena, non causa danni se trova argini e
dighe).
Il “Principe” durante la Controriforma fu messo nella lista dei Libri proibiti, poi Foscolo porrà
Machiavelli tra i grandissimi per aver mostrato i meccanismi di governo e per aver capito
l’importanza di formare uno Stato moderno, egemone, che potesse bloccare i poteri feudali locali.
Si può concludere dicendo che Machiavelli seguisse l’idea che “il fine giustifica i mezzi”.
Nell’ultimo capitolo del Principe (cap. XXVI) lo scrittore auspica all’arrivo di un principe che salvi
l’Italia saccheggiata dagli stranieri, portando l’esempio biblico di Mosè, liberatore giunto quando il
popolo di Israele era schiavo (Mos è è arrivato quando ce n’era necessità).
Guicciardini
1527: l’Italia è terra di conquista, dopo il sacco di Roma, ma è anche terreno di grandi intellettuali,
come Campanella e Guicciardini, storico e pensatore.
14941512:Repubblica fiorentina
15121527:ritorno dei Medici
15271530: Repubblica, seguita dal ritorno dei Medici
Guicciardini nella sua “Storia d’Italia” da un quadro della situazione europea oltre che italiana, e
poiché il mondo e l’Italia sono in balia di forze incontrollabili bisogna salvare se stessi e non
pensare al bene comune (quindi non ha lo slancio di Machiavelli).
Questo egoismo fu visto come la causa della crisi italiana, ma fu dovuto anche alle sue esperienze di
vita: Guicciardini prima serve la Repubblica e sotto i Medici viene chiamato a presta servizio sotto
papa Leone X e Clemente VII. Con la pace di Cateau Cambresis del 1559, l’Italia perde autonomia
nella Storia, diventando soggetta al dominio spagnolo (si riconosce l’0esistestenza della Francia e lo
smembramento del regno di Carlo V). lo scrittore vedrà la restaurazione dei Medici come una
sconfitta perché viene allontanato da Firenze.
Per quanto riguarda il suo pensiero, mentre Machiavelli sosteneva l’importanza di emulare gli
antichi romani, Guicciardini non promulgava l’emulazione della storia giacché essa va letta con
“discrezione” (scomporre qualcosa di unitario per vedere i suoi singoli componenti), non ci sono
leggi uniche nella storia che valgano per quella italiana e per quella romana, non c’è una continuità.
Guicciardini diceva che serve “occhio”, ovvero bisogna valutare la situazione sul momento, non
esistono concetti universali da dare al principe, bisogna ondeggiare continuamente nelle varie
situazioni.
Guicciardini è stato considerato come un antipatriota, antimachiavelli, tuttavia la sua Storia d’Italia
è tutt’oggi considerata una delle opere di maggior pregio italiane; per scriverla Guicciardini prese
spunto dalle orazioni di Cicerone, ed introdusse dialoghi di fantasia tra personaggi storici ma
perfettamente credibili ed adeguati al contesto.
De Sanctis nel suo “L’uomo dei Guicciardini” ricalca l’opera dello scrittore affermando però che
seppure l’Italia avesse una serie di problematiche (come aveva riscontrato lo stesso Guicciardini)
l’errore maggiore è stata la mancanza di uomini con forte tempra morale, ed individua in
Guicciardini un uomo senza forza morale tipo italiano che ha causato la decadenza del Paese.
Infatti Guicciardini perde i suoi ideali, vi rinuncia, per salvaguardare il particulare (egoismo) e
questa perdita di valori è tipico dell’uomo moderno.
Possiamo dire che se machiavelli è l’uomo delle regole, Guicciardini è quello delle eccezioni, come
risulta dai suoi Discorsi su Machiavelli e Ricordi; non esistono leggi universali o storicamente
sempre giuste perché la storia non è mai uguale a se stessa, ogni caso è a sé quindi bisogna
rivolgersi al particolare, al singolo. Inoltre lo scrittore non è pessimista, crede che l’uomo possa fare
il bene: fa il male solo se spinto dalle circostanze. Tuttavia su questo tema, Guicciardini spesso
oscilla, sembrando ora confutare ora sostenere la tesi di Machiavelli: per questo si è detto che
Guicciardini non sia un vero teorico perché fa solo osservazioni distaccate.
Guicciardini, sostiene che la politica sia un’arte, quindi il politico non può seguire linee guida rigide
perché è un artista: deve riconoscere le caratteristiche di ciascun singolo caso, quindi deve avere
“prudenza” (accezione latina per “saggezza pratica”).
Riguardo il concetto di fortuna:
Machiavelli la fortuna ha in mano met à della vita umana
Leon Battista Aliberti la fortuna è sottomessa all’uomo
Guicciardini la fortuna è irrefrenabile, quindi non si possono pensare leggi universalmente valide
perché basta un avvenimento per sconvolgere tutto.
Nonostante le differenze, Machiavelli e Guicciardini sono stati definiti “pensatori gemelli” perché
entrambi erano pensatori empirici, hanno tolto sacralità alla politica. Entrambi osservano i fatti
storici e umani senza dare giudizi morali; Guicciardini è un machiavelli più cinico perché, se il
primo ammetteva la corruzione dell’uomo verso l’ideale alto di Stato, Guicciardini la collega al
proprio particulare, al proprio tornaconto. Una grossa differenza tra i due, però, è che Machiavelli
divide morale e politica, Guicciardini riassorbe la morale nella politica.
I Ricordi sono riflessioni, da considerarsi veri e propri precetti per gli altri. In questi pensieri,
riscontriamo l’idea di una fortuna che rende l’uomo in sua balia: l’uomo, neppure il più assennato,
può sventare la fortuna. Inoltre, Guicciardini critica l’ipocrisia dei contemporanei che hanno una
raffinata educazioni politica ma non la mettono in pratica. Ancora, consiglia di negare o affermare
secondo convenienza, a prescindere dalla verità (cinismo). Lo scrittore, riguardo la storia, sostiene
che nel profondo ci sia una certa regolarità ma in superficie tutto è mutabile quindi non si possono
dettare leggi universali. Inoltre, critica il “temporeggiare” contemporaneo (perché è un
atteggiamento perdente in un’Europa con Francesco I e Carlo V) e sottolinea come l’esser schietti
sia bello ma la simulazione sia molto più utile (bisogna essere schietti quando possibile, in modo
tale che quando serve si possa essere simulatori senza farsene accorgere, illudendo di essere invece
onesti).
Parlando della natura umana, dice che proprio perché l’uomo è incline al bene ma dalle circostanze
si fa corrompere al male, i legislatori sapienti hanno usato premi e pene per rafforzare l’inclinazione
originale degli uomini (buona). Si distacca dal pensiero machiavellico per cui la democrazia
popolare è la forma di governo più equilibrata: per Guicciardini il popolo è infido e quindi una
democrazia del genere sarebbe piena di errori e contraddizioni (è meglio una repubblica di ottimati).
Consiglia di sembrare fiduciosi ma in realtà di essere diffidenti, perché l’uomo è malvagio
8ambiguità sull’idea di natura dell’uomo).
Bernardino Telesio
Telesio ha aperto la strada al pensiero scientifico dell’età moderna. Tra le sue opere, ricordiamo il
De rerum natura (titolo che riprende quello dell’opera di Lucrezio legami con l’epicureismo).
Telesio si proponeva di studiare la natura in base alle leggi interne ad essa, senza aggiungere
caratteri metafisici, ovvero da un punto di vista prettamente materialistico.
A questo punto, bisogna distinguere umanesimo e naturalismo: il primo permette la formazione
dell’identità dell’uomo mettendolo a confronto col passato (non classificato secondo concetti
religiosi, ma oggettivamente considerato). Quindi con l’umanesimo l’uomo moderno nasce dal
confronto con quelli del passato: la storia è soggettivizzata, è posta a giusta distanza.
Il naturalismo afferma che l’uomo per identificarsi deve non solo vedersi come estraneo al passato,
agli altri uomini, ma anche nei confronti della natura. L’uomo deve vedere la natura per quello che
è, autonoma.
Telesio promulgava lo studio oggettivo della Natura, reso possibile mediante i sensi. Egli era un
“sensista” perché credeva che nella conoscenza ci fosse la priorità sei sensi perché essi sono in
rapporto di trasparenza con la materia.
Il sensismo è abbastanza raro nella storia della filosofia, tuttavia possiamo riferirci a Parmende, il
quale proponeva due vie per la conoscenza: i sensi e l’intelletto. La sfera razionale generalmente è
posta al di sopra dei sensi, poiché essi sono troppo inclini all’errore (sono soggettivi) mentre la
ragione è universale e in gradi di cogliere con esattezza l’oggettività.
Telesio capovolge questo concetto, ponendo i sensi al di sopra della ragione e affermando che
quest’ultima possa dare solo una pallida immagine della realtà, ne è distante.
A partire da questo, Telesio sviluppa una morale edonistica: l’uomo, in base ai sensi, percepisce
quale realtà gli dia piacere e quale dolore (il dolore indebolisce il suo essere, il piacere lo rafforza).
L’umanità così cerca ciò che le procura piacere, quindi il bene coincide col piacere. Per Telesio tutto
è materia, tutto è senso, tutto è piacere.
Il filosofo parlò anche dell’immortalità dell’anima: essendo lui un materialista tale posizione
sembra contraddittoria, tanto che alcuni studiosi l’hanno ricollegata all’opportunismo del filosofo
(lo fece per salvarsi la pelle), mentre altri (tra cui Eugenio Garin) sostengono la teoria più fondata di
una posizione in realtà aderente col pensiero di Telesio.
Telesio nasce e muore a Cosenza (15091588), quindi vive l’età piena della Controriforma. Si
possono individuare tre tappe importanti per il suo percorso personale e filosofico: Roma (vive il
saccheggio e un misterioso incidente che gli costa due mesi di carcere), Padova (si avvicina al
pensiero aristotelico) e Napoli.
Il suo pensiero è si materialista, ma con una punta di spiritualismo; per questa particolare sua
connotazione, è stato definito un “panpsichista”.
Il panpsichismo afferma che ogni cosa, vivente o meno, è dotata di psiche, cioè di animale, di
sensibilità. Ogni forma della materia è soggetta a due agenti: il caldo (=sensibilità) e il freddo
(=minore presenza di sensibilità). Il calore si identifica col dinamismo e visto che il calore è
presente in tutto, in tutto c’è sensibilità. La sensibilità consente di percepire le differenze, di
resistere alle sollecitazioni esterne per mantenere la propria identità ed integrità: la pietra, quindi, è
animata perché resiste all’essere spaccata (cerca di mantenersi integra).
Ogni cosa ha una coscienza, ma essa nell’uomo è amplificata, è più intensa che nelle altre cose del
mondo.
Telesio definisce l’anima come qualcosa di materiale, di sottile, che è presente negli animali e
soprattutto nell’uomo. L’anima quindi è una struttura materiale presente in tutto l’organismo
biologico (ad esempio, dice Telesio, se non ci fosse l’anima diffusa nel corpo, l’uomo non potrebbe
muovere il braccio perché se il braccio fosse solo membra, resterebbe immobile).
Tutta la sua filosofia, con i concetti di caldo e freddo, ricalcano una visione qualitativa della Natura
di stampo aristotelico.
Telesio, oltre a sostenere la presenza di un’anima materiale (e mortale, quindi), ne afferma anche
una immortale: infatti, spiega il filosofo, l’uomo si interessa a ciò che va oltre ciò che vede, si
entusiasma per un ideale, è capace di generosità e di sacrificio. Se fosse animato solo dall’anima
materiale, avrebbe cura solo di ciò che gli porta piacere, solo per la materia. Inoltre l’uomo,
continua Telesio, è capace di sdegno: prova rabbia e disgusto nel veder trionfare il male e
l’ingiustizia, quindi crede in un altro mondo in cui a regnare è la giustizia.
In pratica, Telesio, dall’osservazione dei comportamenti umani trae le argomentazioni per sostenere
l’ipotesi dell’esistenza dell’anima immortale.
L’uomo, proprio in virtù di questa connotazione metafisica, può scegliere (libero arbitrio) di
seguire la sua anima immortale oppure di appiattirsi ai soli interessi bestiali, animaleschi (eco di
Pico della Mirandola: l’uomo è libero di scegliere il suo destino). L’uomo, quindi, per i suoi slanci,
ha in sé qualcosa di più rispetto agli animali.
Telesio spiega il fatto che ci siano visioni diverse all’interno dei dibattiti scientifici, con l’ipotesi che
si siano osservate cose diverse perché sono stati introdotti giudizi soggettivi (diversi da persona a
persona, quindi). La scienza non ha ancora osservato la natura per quella che è, guardandola iuxta
propria principia (secondo i suoi principi).
Il filosofo afferma che tutte le cose siano formate da materia, da caldo e da freddo, e che esse si
differenziano in base a quanto calore penetra in loro.
Possiamo riscontrare una sostanziale differenza tra il pensiero di Aristotele e quello di Telesio: per il
primo, l’uomo è “tabula rasa”, ovvero riceve le impressioni passivamente; per Telesio, invece,
l’inattività è impossibile perché ovunque c’è spirito, calore, attività. Possiamo concludere dicendo
che per il filosofo la conoscenza è “peceptio passionis”(essere affetti) perché si ha una propria
identità ben precisa (quindi si possono percepire quelle altrui).
Giordano Bruno
Nasce a Nola nel 1548 ed entra nell’ordine domenicano intorno ai 1415 anni. Avido lettore di
tradizioni filosofiche varie, rifiuta le immagini dei santi e viene controllato dai superiori.
Ricordiamo che Giordano Bruno visse durante il periodo della Controriforma, quando il dominio
spagnolo si era consolidato in Italia a seguito della pace di Cateau Cambresis.
Giordano bruno sviluppò un pensiero, in pieno Umanesimo, che riprendeva il naturalismo
(oggettivazione della natura, l’uomo del Rinascimento costruisce se stesso rispetto all’estraneit à
della natura). Quando si trovò a rispondere del proprio operato al tribunale di Venezia, sosteneva di
essere un buon credente. Da Venezia fu mandato a Roma, dove accettò la sentenza di morte per rogo
che si verificò nel febbraio del 1600.
Si reca a Ginevra, dove si scaglia contro il calvinismo (lo considerava parassitario perché predicava
la salvezza per fede e non per opere), così anche il Concistoro (ovvero la Chiesa calvinista
democratica) lo caccia dalla comunità ecclesiale di Ginevra. Si stabilisce a Parigi, dove pubblica
“De umbris idearum”, testo neoplatonico, ottenendo la stima del re Enrico III ed entrando in
conflitto con gli aristotelici dell’Università della Sorbona.
Successivamente va a Londra, dove conosce vari studiosi e la regina Elisabetta, tiene una lezione ad
Oxford e pubblica sei dialoghi in italiano (considerate le sue opere maggiori).
Eugenio Garin considera Giordano bruno come un mercurio: in un periodo di decadenza si fa
portatore di idee nuove. Scrive opere in italiano per rivolgersi ai lettori colti e in latino per scrivere
testi esoterici destinati a chi studiava la filosofia. Si scontra con gli intellettuali di Oxford, va a
Wittenberg e dopo un iniziale elogio della chiesa luterana, la critica e viene scacciato. Si reca a
Francoforte dove pubblica opere di impianto utopistico ed epicureo: De Minimo, De Morade, De
Immenso et Innumerabili.
Possiamo distinguere tre fasi di produzione di Giordano Bruno:
Fase neoplatonica: scrive “Le ombre delle idee”(le cose sono copie delle idee); è la fase
1. parigina
Fase londinese, copernicana: scrive dialoghi italiani
2. Fase dell’atonismo e panteismo, a Francoforte: il neolatonismo affermava l’importanza
3. dell’Uno e il fatto che da esso venissero le cose. Queste, quindi, seppur diverse, sono tutte
collegate.
Giordano aveva un’ottima memoria ed affermava che essa era dovuta al rintracciamento di tutti i
collegamenti esistenti tra le cose. Visto il collegamento fra tutte le cose, Giordano pensò che esse
potessero essere trasformate le une nelle altre (quindi si dedica alla magia). Nei suoi scritti
abbondano le metamorfosi. Inoltre Giordano credeva nelle “dissimulazioni”, ovvero nelle
trasformazioni che il mondo continuamente vive e che tutte le cose cambiano manifestazione e non
essenza. Verso la fine del ‘500, Giordano va a Venezia: da matematico mirava alla cattedra di
Matematica di Padova (sarà data a Galileo) e va anche per insegnare a Giovanni Mocenigo le
tecniche di memorizzazione. Quest’ultimo, però, aspettandosi di apprendere velocemente rituali
magici, lo denuncia all’Inquisizione.
Bruno si difende dicendo che seppur con la ragione avesse detto cose contrarie alla Chiesa, da uomo
di fede era pronto ad abbracciare le Scritture.
Al suo tempo, si seguiva la visione aristotelicatolemaica del mondo, come un sistema finito con al
centro la terra. Giordano bruno dice che un Dio infinito non poteva creare qualcosa di finito,
un’inezia, sarebbe stato un controsenso, quindi il mondo è infinito. Ma da qui si procede verso il
panteismo: Dio è infinito, il mondo è infinito, quindi Dio e il mondo coincidono (qualcosa di
infinito ingloba tutto, per definizione, quindi vicino ad un infinito non può esserci un altro infinito,
invece gli elementi finiti, essendo delimitati, sono distinguibili). L’asse portante del pensiero di
Giordano Bruno è l’infinità del mondo.
Per sostenere la sua ipotesi, prende l’esempio di un uomo che arriva alla fine del mondo. Cosa
troverà? Il nulla? Impossibile. Non esiste il nulla; pertanto l’Universo è infinito, ci sono infiniti
mondi simili alla terra, quindi con altre forme di vita intelligenti ci sono varie scintille divine.
Dio è al di fuori del mondo e nel mondo, è trascendenza ed immanenza, è principio (perché origina
le cose restandoci dentro) e causa (resta fuori da ciò che ha creato). Per capire questo concetto
ricorriamo ad un semplice esempio: il punto segnato su un foglio origina la retta e resta all’interno
della retta (il punto è il principio della retta); il punto però è stato segnato dalla penna che, una volta
fatto il punto, si stacca dal foglio, non resta nella retta (la penna è la causa).
Il principio è immanenza, la causa è trascendenza.
L’Inquisizione di Venezia lo manda a quella di Roma, e dopo vari tentativi e richieste di abiura,
visto il rifiuto di Giordano, questi viene giustiziato a Campo dei Fiori e condotto al rogo con il
mordacchio (una museruola) per evitare che durante il tragitto potesse dire qualcosa di
sconveniente.
Dio e il mondo sono la vita materna infinita che genera continuamente e questo dinamismo sul
piano morale, porta all’attivismo. Giordano Bruno si scaglia contro l’asinità, ovvero il seguire
ciecamente gli ordini, l’essere superstizioni e passivi. Per lui l’uomo è intelletto e mani: se l’uomo
non avesse quella struttura corporea che ha e che è dovuta alle metamorfosi avvenute durante gli
anni, non sarebbe intelligente. La forma è connaturata alla materia. La mano da potere all’uomo:
Adamo con la mano colse la mela dall’albero proibito. A sottolineare l’importanza dell’attività è il
lavoro, in grado di emancipare l’uomo dandogli potere.
Il mondo è infinito, le cose sono infinite, divine, in continuo divenire. Copernico è stato colui che
ha liberato l’uomo e Bruno lo esalta andando contro l’interpretazione data da Osiander su di lui.
Osiander aveva detto che Copernico aveva posto il Sole al centro sulla base di calcoli matematici
no realtà.
Giordano Bruno porta all’estremo la teoria copernicana: se la Terra non ha il privilegio di stare al
centro dell’Universo, non ha nemmeno il privilegio di avere solo lei forme di vita intelligenti. In un
universo infinito ci sono infiniti soli, quindi nemmeno il Sole è al centro. Bruno così unisce la teoria
copernicana (matematica) con quella neoplatonica di Niccolò Cusano. Quest’ultimo affermava che
la verità e la divinità fossero da cercare dentro ognuno di noi, non in un’autorità esterna, e lo stesso
vale per le altre forme di vita nell’Universo. Loro non hanno bisogno che siamo noi ad indicare loro
la divinità; Giordano bruno forma un forte umanesimo.
Secondo Giordano bruno l’universo è infinito, non ha cause all’infuori di sé, ha tutto dentro
dinamismo.
La filosofia panteistica di Bruno viene ripresa dal “Deus sine Natura” di Spinoza. Anche questo
filosofo dell’800 vede l’uomo come creatore, come colui che trasforma. Il furore di bruno non è
misticismo medievale: il filosofo come l’uomo medievale voleva cogliere il divini ma diversamente,
lo fa nella natura.
Bruno è diverso da Aristotele, perché quest’ultimo aveva come compimento la teoria mentre per
Bruno bisogna fondere teoria e pratica. L’eroico furore di Bruno è uno slancio verso la natura, non è
oblio (come afferma lui stesso) ma memoria: non è oblio perché, rispetto al misticismo, l’uomo non
deve mettersi “da parte”, dimenticandosi di sé, ma è una memoria, perché l’uomo stesso è un pezzo
di Natura che, quindi, va verso altri pezzi di Natura.
Nell’800 logge massoniche e sette si sono ispirate al pensiero di Giordano Bruno, considerandolo
l’emblema del pensiero laico, anticlericale e democratico. Tuttavia Bruno non era poi così
democratico; infatti nel “Cantus Circabus”, il filosofo parla di Circe (la maga che è descritta
nell’Odissea), difendendo le sue magie perché, trasformando in maiali quali che sono umani solo
col corpo, lascia emergere i veri uomini (quelli cioè che hanno un equilibrio tra spirito e corpo).
Quindi gli uomini “ferini, bestiali” sono egoisti e non seguono “l’eroico furore”, meritano la forma
animale.
Tommaso Campanella
Vive tra Carlo V e Luigi XIV e nel suo libro “Città del Sole” parla con rammarico della divisione
della cristianità avviata con Lutero. Inizialmente, spera che sia la Spagna a creare un fondamento
comune a tutta la cristianità, poi però si rivolge verso la Francia, quale potenza mondiale in grado di
fornire unità religiosa e morale. Tommaso è una figura enigmatica: da una parte si rivolge all’età
moderna e difende Galileo, dall’altra guarda ancora al medioevo, alla magia e all’astrologia.
Entrato nell’ordine domenicano, per la sua aderenza alla filosofia telesiana e per i suoi colloqui con
ebrei, viene accusato di eresia ed imprigionato insieme a Giordano Bruno, tuttavia poi viene
scarcerato e vive tranquillo fino a quando, pochi anni dopo, in punto di morte qualcuno confessa di
aver udito Tommaso proferire pensieri eretici. Viene fatto spostare da Roma in Calabria, dove
prepara una rivolta antispagnola, cavalcando il malcontento dei calabresi che avevano sperato che
gli spagnoli avrebbero fermato lo spadroneggiare dei baroni.
Campanella unì alla protesta sociale motivazioni religiose: bisognava preparare un’unificazione
religiosa mondiale, in vista dell’Apocalisse che sarebbe potuta arrivare all’inizio del nuovo secolo
(1600) e la Spagna non era pronta a farlo perché non regnava secondo principi cristiani ma per altri
e propri interessi. La congiura viene scoperta e Tommaso, insieme ad altri, viene incarcerato e
trasportato a Napoli: gli spagnoli, come monito per i napoletani, fanno impiccare alcuni congiurati
sulle navi in modo che questi, entrando nel porto partenopeo, fossero visibili ai napoletani e quindi
rappresentassero un deterrente per altre rivolte.
Campanella viene incarcerato e dato in mano all’Inquisizione (per sospetti di eresia) e torturato
(fino al 1764 col trattato di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” la tortura era un mezzo molto
diffuso per estorcere confessioni), ma questi ammette le sue colpe ricollegandole al suo essere
strologo: aveva scorto nel cielo i segni che un grande cambiamento sarebbe dovuto arrivare.
Il processo di Tommaso Campanella ci è noto grazie al mirabile lavoro del medico napoletano Luigi
Amabile, il quale per caso trovò i carteggi dell’Inquisizione su tale processo e mosso da curiosità
approfondì la questione con numerosi studi.
Tommaso viene rinchiuso nel Castelnuovo a Napoli, in carcere, e avendo troppe prove a suo carico,
si finge pazzo: infatti l’Inquisizione non poteva condannare a morte i pazzi perché non si era certi
che questi, prima di morire, potessero pentirsi e quindi andare i Paradiso. Il filosofo riesce a fingere
la pazzia, nonostante le torture: riesce a non tradirsi nemmeno durante la “veglia”, una tortura
continua di due giorni consecutivi, tanto da convincere i giudici della sua follia e ad aver salva la
vita. Viene condannato all’ergastolo. Nella mezz’ora al giorno che gli era concessa per leggere il
breviario, Tommaso riesce a scrivere “la città del Sole”. Lo studioso Luigi Firpo, analizzando
l’opera del filosofo e il suo carteggio col frate Dionisio Ponzio (questi quando si trovava a
Costantinopoli si convertiva all’Islamlì non erano ammessi cristianie poi una volta tornato in Italia
si riconvertiva al cristianesimo, come facevano molti spregiudicati mercanti) afferma che Tommaso
abbia scritto quel testo, mentre era in attesa della sentenza definitiva, per spiegare le reali
motivazioni della congiura antispagnola, che non erano di matrice materialistica o opportunistica.
Tale opera è una spiegazione in forma fantastica delle ragioni della congiura.
La città del Sole parla di una città immaginaria che ha il compito di porre rimedio all’immoralità
che imperversa; essa viene collegata ad una distribuzione ineguale del denaro: sono viziosi e folli
tanto i ricchi quanto i poveri. Per salvarsi da questa situazione, bisogna ricorrere alla “spropriatezza”
(principio domenicano): essere liberi dalle proprietà (=ricchezza) liberava dal rischio della
DESCRIZIONE APPUNTO
Elaborato personale, basato sullo studio autonomo del manuale consigliato dal prof. a lezione, ovvero "Filosofia moderna, Gargano" . Gli argomenti trattati sono l'Umanesimo italiano e il pensiero e le opere principali di filosofi, quali: Niccolò Cusano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, Leonardo da Vinci, Niccolò Machiavelli, Guicciardini, Bernardino Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Francesco Bacone, Galileo Galilei, Renato Cartesio, Thomas Hobbes, Locke, Berkeley, Hume, Baruch Spinoza, Gottfried W.Leibniz, Giambattista Vico,Jean Jack Rousseau, Robespierre, Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Morgana393 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Suor Orsola Benincasa - Unisob o del prof Gargano Antonio.
Acquista con carta o conto PayPal
Scarica il file tutte le volte che vuoi
Paga con un conto PayPal per usufruire della garanzia Soddisfatto o rimborsato