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Giambattista Vico nel 1699 ottenne la cattedra di retorica a Napoli e iniziò a
tenere orazioni inaugurali per i nuovi anni accademici. . Le Orazioni Inaugurali
erano una sorta di "poema pedagogico" diviso in sei canti; ricordiamo ad
esempio De nostri temporis studiorum ratione e De mente heroica, in cui ha
apologia degli avanzamenti scientifici e dell'impatto che essi hanno sul mondo.
Parlando dell'educazione dei giovani, Vico affermava la nocività di un
insegnamento prettamente astratto che trascurasse l'aspetto umanistico, emotivo
e linguistico. Il filosofo firma la mirabile opera “De antiquissima italianorum
sapientia”, in cui il problema principale affrontato è quello della conoscenza.
L'uomo, per Vico, hapotere conoscitivo perchè egli come Dio può creare. La
novità del suo pensiero sta nel credere che solo chi fa possa conoscere. Vico fu
critico di Cartesio e respinse l'idea cartesiana di "cogito" ritenendola
antiscientifica. La matematica però viene comunque accettata dal filosofo in
quanto creazione dell'uomo e quindi essa è conoscibile dall'uomo. Vico ammette
il metodo deduttivo per la geometria e raccomanda il metodo induttivo per la
fisica.
Per Vico volontà e nutus (cenno) sono un tutt'uno in Dio, quindi il suo dire
coincide con il suo fare; ciò che noi chiamiamo il caso appartiene all'ordine
eterno delle cose e quando questo ordine ci è favorevole, allora lo chiamiamo
"fortuna". Per Vivo Dio è mentre l'uomo existit (viene fuori dall'essere). Gli autori
a cui Vico si è ispirato sono Bacone, Tacito Grozio, Platone, il che indica
soprattutto l'interesse di Vico per la storia(Tacito), la sfera umanistica ed
antiscolastica e spirituale (Platone). Vico, inoltre, può essere considerato un
seguace di Bacone nel campo delle scienze storiche. Il pensiero di Vico si
presenta quindi eterogeneo e ricco.
Vico è stato tagliato fuori dal potere accademico e dalla scienza ufficiale, inoltre
egli aveva un atteggiamento politico cauto e non incline all'innovazione, aveva
uno stile pueristico ed un atteggiamento intransigente verso l'infranciosamento
della lingua e cultura italiana.
Vico per Scienza Nuova intende la Scienza della storia, ovvero una seconda via
per la conoscenza (la prima è la creazione). Vico nega la scienza della natura
come metafisica o conoscenza totale e propone la metafisica della mente,
ovvero la negazione della metafisica tradizionale in quanto studia la storicità.
Vico afferma che il “vero” sia un punto di arrivo mentre il “certo” sia ciò che
concretamente si verifica nella storia (non si coglie a priori con la ragione, ma
solo con l’esperienza; egli parla di "leggi del corso storico"). I dati della storia
sono raccolti dalla filologia, mentre il vero si trova nella filosofia. Vico si volge alla
storia remota, alle origini dell'umanità; la sua è una nuova cosmogenesi, dove il
mondo preso ad esame è quello umano e non quello naturale. I corsi e ricorsi
dell'Umanità individuati da Vico individuano proprio il fatto che nel corso della
storia si sono alternati momenti di barbarie ad altri di civiltà; inoltre per Vico il
mondo ha vissuto una fanciullezza, una giovinezza ed una vecchiaia seguita non
dalla morte ma dall'inizio di un nuovo ciclo. Vico distingue anche tre età del
mondo, una degli dei, quella degli eroi ed infine quella degli uomini, dove nelle
prime due età predominavano fantasia e senso mentre nell'ultima vi è la ragione
spiegata. Secondo il filosofo, la religione nascerebbe dal timore che portò gli
uomini ad unirsi nelle società. A spingere l'uomo al viver civile, per Vico, è stato
uno stimolo utilitario, la ricerca dell'utile comune. L'uomo, però, ha bisogno della
Provvidenza per superare l'utilità immediata e raggiungere la giustizia e la
conservazione della società umana. Il filosofo apostrofava gli stoici e gli epicurei
come filosofi monastici e solitari, opponendo loro i filosofi politici e soprattutto
quelli platonici. Vico, teorizzando il carattere sentimental-fantastico della poesia,
è diventato lo scopritore della scienza estetica; a lui non è sfuggita l'origine non
logica del pensiero. Il filosofo, inoltre, teorizzando il dinamismo della realtà
umana intesa come storicità, si è valso il titolo di teorico della dialettica. La
dialettica è la concezione provvidenzialistica che Vico ha della logica della storia.
Vico considera la provvidenza nei suoi effetti, che sono le leggi della storia. La
provvidenza opera con astuzia per il filosofo, in quanto sfrutta per i suoi fini le
passioni e bestialità umane, fini immanenti che riguardano le società civili,
formando forme civili "distinte"(fantasia, mito,ecc), quindi positivi reali e non
atratti contrari dedotti concettualmente.
Tra le indagini condotte da Vico, vi è uno studio circa la "natura eterna dei feudi",
con la scoperta di vincoli di dipendenza come momento della forza che durante il
Medioevo prese la forma del feudalesimo. Inoltre, egli si concentrò sull'esistenza
enigmatica di Omero, considerata irrilevante rispetto al significato che i suoi
poemi assumono come indizi e prodotti dell'età eroica che con essi cantava la
propria storia. Ancora, Vico studiò la legge delle XII tavole e il carattere della
giurisprudenza antica.
Vico è considerato il fondatore dello storicismo, corrente che considera la storia
come l'oggetto della scienza filosofica (e non della Filosofia della storia, che anzi
quasi disturba il pensiero di Vico). Per Vico la storia è il luogo ideale e reale in cui
l'attività umana celebra la sua profonda natura, ovvero la propria spiritualità che
crea continuamente valori teoretici e morali. Nella storia rientra anche la
Metafisica "della mente umana". Vico non fu un pensatore solitario, ma visse una
mancata diffusione immediata del suo pensiero a livello europeo.
Immanuel Kant
Kant è stato considerato un Giano bifronte, poiché fu una personalità importante
vissuta tra Illuminismo e Romanticismo. Dell’Illuminismo riprende la fiducia nella
razionalità.
La Critica della Ragion Pura è una specie di tribunale dove la razionalità stessa
giudica le capacità conoscitive dell’uomo.
Se per l’illuminismo la ragione era limitata alla conoscenza del mondo finito, Kant
affronta il problema metafisico sviluppando una filosofia chiamata “criticismo”.
Criticismo vuol dire bilancio critico delle capacità conoscitive dell’uomo e porta ad
un riesame delle filosofie precedenti. La filosofia del Seicento-Settecento si era
concretizzata nell’empirismo e nel razionalismo. Kant in un primo momento della
sua vita aderisce al razionalismo tedesco (seguendo Wolff e Leibniz) poi si
accosta all’empirismo (legge Hume) convincendosi che la conoscenza umana
passa per l’esperienza diretta. Kant si confronta quindi con entrambi questi filoni
e li critica.
L’empirismo era sfociato nello scetticismo: basandosi solo sulla conoscenza
sensibile non si raggiungerà mai quella universale. L’empirismo faceva
naufragare la scienza perché non si raggiungeva nulla di certo.
Il razionalismo, invece, si basava su concezioni aprioristiche e restava nel campo
di un un’universalità astratta, non accettabile dalla scienza perché fondata su
concezioni non verificate con l’esperienza.
La critica di Kant ruota intorno all’idea che conoscere voglia dire giudicare: si
conosce quando si unisce soggetto e predicato. La conoscenza scientifica è un
susseguirsi di termini dove la più elementare concatenazione di essi è il giudizio.
L’empirismo, basandosi sul metodo deduttivo, produceva giudizi sintetici a
posteriori (è un giudizio sintetico perché unisce due concetti non per forza
collegati ed è a posteriori perché si ha tale giudizio solo a seguito di
un’esperienza sensibile). Un esempio di giudizio sintetico a posteriori è dire “il
corpo è pesante”: nel concetto di corpo non è implicita la pesantezza, questa
caratteristica la conosco solo perché ne ho avuto esperienza, quindi posso
affermare che il corpo è pesante solo dopo aver sperimentato la pesantezza di
un corpo. Tale tipo di giudizio è produttivo perché mi da un’informazione
aggiuntiva sul soggetto che prima non avevo.
Il razionalismo, invece, si basa su giudizi analitici a priori (il predicato si trova
analizzando il soggetto ed è a priori perché per formulare il giudizio non mi servo
dell’esperienza diretta). Un esempio di tale giudizio è “il corpo è esteso”, quindi io
per ragionamento arrivo a dire che un corpo è esteso. Si tratta di un giudizio
necessario, poiché riprendendo il predicato dal soggetto affermo qualcosa di
giusto, di esatto e certo; si tratta di un giudizio sterile che non apporta maggiori
conoscenze sul soggetto (non è produttivo) e questo è rigettato dalla scienza che
invece ha lo scopo di raggiungere sempre più conoscenze.
A staccare Kant dall’empirismo è il concetto di esperienza: essa parte
dall’osservazione sensibile ma poi sopraggiunge l’apporto della ragione formale.
La conoscenza, quindi, inizia dall’esperienza ma non deriva unicamente da essa.
È importante che vi sia la ragione a dare forma alle impressioni.
Fino all’apporto kantiano si credeva che il mondo fosse ordinato, che la natura
avesse in sé delle leggi di cui l’uomo va alla ricerca. Invece Kant afferma che è il
soggetto conoscitore che imprime leggi nell’oggetto che studia. Per il filosofo
l’uomo ha delle leggi nelle proprie capacità conoscitive e sono queste leggi che
egli proietta nella realtà. Il filosofo ha quindi il compito di analizzare queste leggi
che complessivamente formano la ragione e che sono organizzate in intuizione,
intelletto e ragione. Senza l’apporto della ragione, senza cioè che la ragione
metta forma alle conoscenze apprese, l’uomo si fermerebbe ad una conoscenza
fenomenica del mondo. L’uomo trasforma tutto ciò che tocca, inevitabilmente: per
l’uomo è impossibile percepire la realtà per quello che è perché essa viene
sempre filtrata dalla ragione, la ragione le da forma. Questo meccanismo di
“filtraggio” si ha grazie alle facoltà conoscitive (ovvero la ragione in senso lato; la
ragione in senso stretto è la più alta capacità conoscitiva umana).
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