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Riassunto della Prima Filippica di Cicerone Pag. 1
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giorno, per arrivare alla pretesa assoluta della sua presenza: forse un pericolo come quello di Annibale

alle porte di Roma? O forse si doveva decidere di accettare la pace di Pirro, come secoli prima, pace

che - ricorda C. - fu respinta energicamente da Appio Claudio Cieco, il quale appunto benchè vecchio e

cieco, volle intervenire per opporsi fieramente alla proposta, con un discorso che rimase memorabile.

Probabilmente in realtà - ma Cicerone non lo dice apertamente - Antonio voleva da Cicerone un atto di

sottomissione a se stesso, e un omaggio alla memoria di Cesare. Ma, insomma quale questione così

importante si doveva discutere? C., sempre ironicamente, dice che Antonio in realtà dovrebbe essere

contento che Cicerone sia stato assente, perchè avrebbe sicuramente votato contro: all'ordine del giorno

c'era infatti la proposta di Antonio di rivolgere a Cesare le pubbliche "supplicazioni", cioè preghiere

particolari rivolte agli dèi in caso di gravi calamità, ad esempio in quel periodo vi era la peste, ma,

aggiunge Cicerone, "presto ve ne sarà una più grande", alludendo ad una probabile guerra civile tra

Antonio e Decimo Bruto (non quindi il congiurato). Cicerone si rammarica della decisione favorevole

espressa dal Senato, che accusa velatamente di essersi piegato al volere di Antonio, e definisce "empia"

questa decisione, perchè mette sullo stesso piano dèi e uomini (anche se defunti), e soprattutto perchè il

defunto da pregare sarebbe proprio l'odiato Cesare; e aggiunge un'ultima frecciata, cioè che lui

comunque avrebbe votato contro anche se anzichè di Cesare si fosse trattato dell'eroico Lucio Bruto

(illustre antenato del Bruto cesaricida) che cacciò Tarquinio il Superbo e liberò Roma dalla tirannide

regia, ulteriore allusione al fatto che Bruto il cesaricida è degno erede del proprio avo, avendo liberato

Roma dal nuovo tiranno, appunto Cesare. Ma in questo caso, le "calamità" sono soprattutto politiche:

Roma ha vari "malanni", e Cicerone si dichiara pronto ad intervenire per salvarla, attraverso la sua

voce, che non mancherà mai, anche a costo di pagarla cara.... E qui C. ritorna ad elogiare Lucio Pisone,

l'ex-console che si oppose ad Antonio nella seduta del primo agosto, e attacca gli altri ex-consoli, ora

senatori, che non ebbero lo stesso coraggio e lo lasciarono solo, disonorando tutta la prestigiosa

categoria degli ex-consoli (che avevano la precedenza nell'ordine degli interventi in senato) e tradendo

la fiducia e le aspettative del popolo. Questo riferimento a L. Pisone serve a C. per introdurre

finalmente il suo punto di vista sui provvedimenti da discutere all'ordine del giorno, un punto di vista

anti-antoniano, e quindi coraggioso, proprio come quello di Pisone.

Capp. 16-26 Inizia qui l'atto di accusa vero e proprio contro Antonio. All'ordine del giorno vi è se

approvare o meno la proposta di Antonio di "mantenere gli atti di Cesare". Ma, si chiede C., cosa

intende Antonio per "atti di Cesare"? Sarebbe interessante saperlo, ma Antonio, purtroppo, non è

presente, e Cicerone non si lascia scappare la battuta: "Certo, per me no, ma per lui vale il diritto ad

ammalarsi!" E aggiunge che sarebbe stato opportuno che A. fosse lì, magari senza "assistenti" (cioè le

guardie del corpo di cui si circondava, chiaro esempio del ruolo di capo autoritario di cui si è auto-

investito). Antonio, comunque, si sa, sostiene che "atti di Cesare" siano quelli contenuti in alcune carte

private del dittatore in suo possesso. Facendo capire che si tratta di una mistificazione, C. afferma che

sì, lui è d'accordo a "mantenere gli atti di Cesare", ma solo quelli autentici, legittimi e pubblici, cioè le

sue leggi "incise nel bronzo", non dei presunti appunti scarabocchiati su un foglio, e neppure

pubblicati, ma citati da una sola persona: Antonio appunto! Ad esempio sarebbe stato giusto mantenere

quella legge ufficiale di Cesare, poi in parte abolita proprio da Antonio, per cui si limitava ad un anno o

due il governo delle provincie a seconda se si trattasse di un ex-pretore o di un ex-console, che cioè

poneva limiti ai poteri personali. E in queste fantomatiche "carte", dice con velenoso sarcasmo C.,

sarebbe interessante sapere se c'è qualche accenno ai 700 milioni di sesterzi accumulati da Cesare,

frutto di espropriazioni dei pompeiani, destinati alla guerra contro i Parti, depositati presso il tempio di

Opi (la tesoreria dello stato), e poi misteriosamente "spariti" (presumibilmente utilizzati privatamente

da Antonio stesso!) Ma soprattutto tra gli "atti" di cui parla A. ci sarebbe la riforma giudiziaria che

aggiungerebbe una "terza decuria" al collegio dei giudici, che quindi affiancherebbero senatori,

cavalieri e tribuni del fisco. Questa terza decuria sarebbe composta da tutti coloro che hanno prestato

servizio militare con il grado di "centurione" e da tutti i soldati di un'intera legione, costituita da

Cesare, quella cosiddetta delle "Allodole" (dalla forma del pennacchio che portavano sull'elmo).

Cicerone sottolinea la totale incoerenza del senato che, da una parte, aveva abolito, su proposta di

Antonio, una legge ufficiale e saggia di Cesare, mentre invece ora dovrebbe approvare uno pseudo-

disegno di legge contenuto in dei (presunti) semplici appunti! In un immaginario e surreale dialogo,

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Publisher
A.A. 2017-2018
3 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher marioesilla di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua e letteratura latina 1 e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Marchese Rosa Rita.