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FILOLOGIA DELLA LETTERATURA MONDIALE
Erich Auerbach
Fu scritto nel 1952 per Fritz Strich, studioso per eccellenza della nozione goethiana di
Weltliteratur. Dopo Mimemis, di fronte allo sconvolgimento epocale causato dai conflitti della prima
metà del Novecento, Auerbach sente l’esigenza di cimentarsi con la nozione goethiana di
Weltliteratur quasi come un farmaco. In questo ruolo, l’interpretazione di “letteratura (come)
mondo” va senz’altro scartata: il primo membro diventa una qualifica del secondo, una sua
determinazione. L’autore è consapevole che, dopo il rivolgimento storico, sociale, culturale,
avvenuto o culminato nella prima parte del ‘900, nuove zone debbano aprirsi alla comparatistica
letteraria. Ma è altrettanto chiaro che in queste nuove zone occorre annoverare il recupero di un
patrimonio antico minacciato di distruzione.
È arrivato il momento di chiedersi quale significato possa ancora avere la definizione
goethiana letteratura mondiale (Weltliteratur), riferita tanto al presente quanto alle aspettative del
futuro. La nostra terra, che rappresenta lo spazio della letteratura mondiale, diventa sempre più
angusta e perde in molteplicità. Letteratura mondiale, però, non si riferisce semplicemente a
quanto è comune e specifico dell’umanità, bensì alla fecondazione reciproca del molteplice; suo
presupposto è la frammentazione dell’umanità in una moltitudine di culture. La vita dell’uomo va
uniformandosi sull’intero pianeta. Partito dall’Europa, il processo di sovrapposizione si diffonde
sempre di più e mina indistintamente le tradizioni locali. È pur vero che la volontà nazionale è
dappertutto più forte che mai, ma dappertutto essa spinge verso le stesse forme di vita, cioè quelle
moderne. Le culture europee, abituate a un lungo e fruttuoso rapporto reciproco, e sostenute dalla
consapevolezza della loro validità e attualità, conservano ancora al meglio le loro peculiarità
contrapposte. Su tutto il resto, comunque, si estende l’omologazione, secondo il modello europeo-
americano o secondo quello russo-bolscevico. Se l’umanità riuscirà a salvarsi dalle scosse
provenienti da un processo di concentrazione così intenso e veloce, ci si dovrà abituare al
pensiero che, su una terra organizzata in modo unitario, potranno sopravvivere una sola cultura
letteraria e solo poche lingue letterarie, o, anzi, forse una sola. E con ciò, l’idea di letteratura
mondiale sarà, al tempo stesso, realizzata e distrutta. Questa situazione, nella sua inevitabilità e
nel suo condizionamento dovuto a movimenti di massa, non è affatto goethiana. Goethe era alieno
da siffatti pensieri. Sono trascorsi circa cinque secoli da quando le letterature nazionali europee
giunsero a prevalere su quella latina, acquistando coscienza di sé; ma neppure due, da quando si
è svegliato il senso storico-prospettivo che permise di formulare un concetto come quello di
letteratura mondiale. Alla formazione di un senso storico-prospettivo e alla ricerca filologica che ne
derivò, Goethe stesso diede un contributo decisivo con la sua attività e il suo impulso. Durò poco
però l’epoca dell’umanesimo goethiano, ma molto produsse e molto iniziò, che tuttora viene
proseguito, si estende e si ramifica sempre più. Il patrimonio delle diverse letterature del mondo,
che Goethe aveva a disposizione alla fine della sua vita, era cospicuo rispetto a quello di cui si era
a conoscenza al tempo della sua nascita; era però esiguo rispetto al nostro patrimonio attuale,
patrimonio che dobbiamo proprio all’impulso conferito dall’umanesimo storico di quell’epoca: si
tratta della sua penetrazione e utilizzazione per una storia interna dell’umanità, volta ad acquisire
una nozione dell’uomo unitaria nella sua molteplicità. Tale era, da Vico e Herder in poi, il vero
traguardo della filologia. La filologia attrasse al suo seguito la storia delle altre arti, nonché la storia
religiosa, giuridica e politica, con cui spesso si intrecciava. Il solo fatto che la si continui oggi, e
persino la si estenda, non significa molto. Ciò che è diventato consuetudine e istituzione
continuerà ancora a lungo. Lo studio della realtà del mondo praticato con metodi scientifici riempie
la nostra vita; se vogliamo, esso è il nostro mito, perché non ne possediamo un altro che abbia
validità generale. All’interno della realtà del mondo, la storia è ciò che ci tocca più direttamente, ci
coinvolge più profondamente e ci porta più intrinsecamente alla coscienza di noi stessi, perché
costituisce l’unico oggetto di studio in cui gli uomini si presentano davanti a noi nella loro interezza.
La storia interna degli ultimi millenni, oggetto della filologia in quanto disciplina storicistica, è la
storia dell’umanità giunta a un’espressione propria. Essa contiene i documenti della spinta potente
grazie alla quale gli uomini prendono coscienza della loro condizione e realizzano le loro possibilità
intrinseche. Perdere la capacità di assistere a questo spettacolo, che, per manifestarsi, deve
essere presentato e interpretato, sarebbe un impoverimento senza alcuna possibilità di compenso.
Se i pensieri sul futuro avranno qualche valore, si fa urgente il compito di raccogliere il materiale e
di portarlo a un effetto unitario, ed è un compito che proprio noi siamo ancora in grado di
adempiere: non solo perché disponiamo di tanto materiale, ma soprattutto perché abbiamo
ereditato il senso storico-prospettivo che a questo scopo è richiesto. Lo possediamo perché
viviamo ancora entro l’esperienza degli eventi storici senza la quale quel senso potrebbe perdere
precocemente la sua viva concretezza. Già adesso, lo stato di impoverimento che ci minaccia è
intrecciato con una formazione che esclude la storia. Ciò che siamo, lo siamo diventati nella nostra
storia; solo in essa possiamo rimanere noi stessi e svilupparci; dimostrarlo in modo penetrante è il
compito degli attuali filologi del mondo e nel mondo. Questo concetto di letteratura mondiale e
della sua filologia appare meno attivo, meno pratico e meno politico di quello del passato. Non si
parla più di scambio intellettuale, di nobilitazione del costume morale e di conciliazione dei popoli.
Questi traguardi in parte si sono rivelati irraggiungibili, in parte sono già stati superati dallo
sviluppo. Individui isolati, di grande prestigio, e piccoli gruppi di elevata cultura hanno goduto dello
scambio dei beni culturali che viene e verrà praticato in larga misura. Tuttavia, questo tipo di
contatto non influisce più di tanto sull’etica dei costumi e sulla conciliazione. Lo scambio è efficace
ove lo sviluppo politico ha portato comunque a un contatto e alla formazione di gruppi: in tal caso,
opera all’interno del gruppo, accelera l’adeguamento o l’intendimento e serve così al comune
proposito. D’altronde, l’adeguamento delle culture è progredito molto oltre ciò che un umanista di
formazione goethiana possa gradire, senza che si sia delineata una prospettiva ragionevole, onde
risolvere i contrasti tuttavia esistenti in altro modo che con una prova di forza. La nozione, qui
presentata, di letteratura mondiale come sfondo multiforme di un destino comune non spera più in
alcun effetto, consapevole com’è che quanto avviene è diverso da quanto si potesse sperare:
accetta come un fatto ineluttabile l’omologazione della cultura estesa a tutta la terra. Vuole
precisare e conservare ai popoli la consapevolezza del loro destino di incremento comune, per
farne un patrimonio mitico grazie al quale la ricchezza e la profondità dei movimenti intellettuali
degli ultimi millenni non si atrofizzino nel loro intimo. Spetta a noi creare la possibilità di un effetto
che per l’epoca di transizione in cui ci troviamo si può presupporre molto rilevante. In questo modo,
la nostra nozione di letteratura mondiale e della sua filologia non è meno umana e meno
umanistica di quella precedente; così pure, la concezione della storia che la sottende non è
certamente la stessa di quella del passato, ma da essa è sorta ed è impensabile senza di essa.
Siamo sostanzialmente in grado di adempiere al compito di una filologia della letteratura mondiale,
dato che disponiamo di un materiale sterminato che aumenta continuamente e perché possediamo
ancora quel senso storico-prospettico ereditato dallo storicismo dell’età di Goethe. Quanto più
promettente, tuttavia, questo programma si presenta nell’insieme, tanto maggiori sono le difficoltà
che si incontrano nella realizzazione dei casi singoli. Perché venga assolto il compito di penetrare
a fondo e strutturare il materiale, è necessario che esistano per lo meno alcuni che abbiano
padronanza sulla letteratura mondiale nel suo complesso. Vista però la sovrabbondanza del
materiale, dei metodi e dei modi di interpretazione, ciò è diventato quasi impossibile. Disponiamo
di materiale di sei millenni, di tutte le parti del mondo, in una cinquantina di lingue letterarie. Molte
delle culture di cui oggi siamo a conoscenza cent’anni fa erano ancora sconosciute, di altre si
conosceva soltanto una parte frammentaria delle testimonianze oggi reperibili. Persino delle
epoche di cui ci si occupa già da secoli si sono scoperte tante novità che il nostro modo di
concepirle è fortemente cambiato e sono affiorati problemi del tutto nuovi. Inoltre, non ci si può
occupare solamente della letteratura di una singola epoca; bisogna considerare le condizioni
religiose, filosofiche, politiche, economiche, le arti figurative e anche la musica, e bisogna seguire i
risultati di tutte le singole ricerche programmaticamente dedicate a quei campi. L’ampiezza del
materiale porta ad una specializzazione sempre più precisa; si sviluppano metodi specialistici di
modo che, per ogni singolo campo, si forma una specie di linguaggio per iniziati. Dall’esterno,
concetti e metodi di scienze e correnti non filologiche invadono la filologia: dalla sociologia, dalla
psicologia, da alcune correnti filosofiche e dall’ambito della critica letteraria contemporanea. Tutto
ciò dev’essere elaborato. Comunque sia, è diventato sempre meno appagante occuparsi di un solo
campo specialistico. D’altro canto, vi sono campi specialistici tano ramificati che una loro
conoscenza approfondita è compito di un’intera esistenza: Dante, ad esempio, oppure il romanzo
cortese. Come si può pensare, in quest’ottica, a una filologia scientifico-sintetica della letter