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4. IL SANGUE E LE PIAGHE DELLA “CITTA’ PARTITA”: DANTE , GLI UMANISTI, LE GUERRE

Mitologia del sangue: Dante in Purgatorio XXV, 37-42 rapporta il processo iniziale di generazione

dell’uomo a gocce incontaminate, perfette, pure dell’elemento vitale per eccellenza cioè il sangue.

La grande simbologia vitalistica connessa al sangue aveva ricevuto ulteriore pregnanza con il

cristianesimo (immagine del sangue sacrificale di Cristo per la rigenerazione dell’umanità così

come quello sparso dai martiri, erano divenuti aggregati simbolici che riproponevano il mito della

renovatio salvifica).

L’aristocrazia feudale si era impadronita della mitologia del sangue fondando su di essa una

legittimazione del suo dominio, dell’esercizio del suo potere assoluto come privilegio ereditario.

Il Sangue è anche simbolo di morte, di violenza e di guerra: l’aspetto negativo(il rovescio del

mitologia positiva) della mitologia del sangue è ossessivamente presente in Dante che ne

costruisce una tragica marca metaforica della lacerazione, della divisione dell’umanità che si nega

nel suo dilaniarsi e si accompagna con l’immagine di corpi piegati,violati emblemi terribili della fine

violenta (questo è il rovescio di una mitologia positiva del corpo inteso come tempio dell’anima di

Dio, locus amoenus della bellezza muliebre. Il corpo mutilato è immagine altamente espressiva e

funzionale per rendere la condizione di un’umanità dolente e negata nel suo stesso statuto e

fondamento vitalistico. La comunità è “partita”, divisa, lacerata in un modo che a Dante pare

irreparabile, sia per il tessuto statale e politico ma soprattutto perché ha intaccato i elementari della

convivenza. La violenza, la guerra e la lacerazione sono i segni distintivi di un’antropologia

stravolta tanto da portare al disumano. Quello di dante è un “viaggio di sangue” in un impasto che,

tra espressionistico, lo storico e il profetico, dà identità a un mondo intero e alle sue ansie di

renovatio.

Le tappe di questo viaggio doloroso si dispongono lungo le tre cantiche e si passa dall’orrore

espressivo dell’Inferno ai confini epidittici e sentenziosi del Paradiso.

E’ possibile cogliere una vera e propria gradatio intepretativa e dimostrativa:

- Inferno: cantica dell’orrore del sangue e delle piaghe dove c’è un terribile crescendo

espressionistico. Il pathos crescente riflette i lacerti di un’umanità negata, violata, divisa fino

ai più intimi affetti (il culmine è la scena di Ugolino).

- Purgatorio: la marca metaforica continua a segnalare una condizione di strazio e di

divisione, ma Dante dispiega a fondo i motivi, le cause di tale status: l’orrore non è senza

senso.

- Paradiso: l’invettiva e la tensione emotiva ci sono ma la disperazione per una condizione

dolorosa che la marca metaforica continua a segnalare lascia posto a una speranza di vera

rigenerazione affidata alla missione riunificatrice dell’impero al suo riedificarsi come

baluardo e garante di legittimità statale e di legalità.

Inferno

Il cuore del problema: identità di Firenze come identità “partita” Dante lo espone in Inferno VI

(60-61 e64-65). Firenze come identità partita, lacerata, divisa, segno stesso dello scacco di un

intero ceto dirigente e di una generazione e tale da condurre solo al sangue e alla violenza che

negano il fondamento stesso di una comunità civile. Le radici di questo status sono lontane e il

sangue percorre la storia stessa di Firenza (vedi dialogo Dante e Farinata a pag, 77 Inferno,X 85-

87/ 91-93). E’ ovvio che un fiume ribollente di sangue rappresenti il contrappasso per i violenti

contro gli altri; la cupidigia di possesso va saldandosi con il sangue e la violenza.

Anche la Chiesa è piegata, venduta offesa: il XIX dell’Inferno rappresenta un passaggio

significativo in cui Dante denuncia quale inaudita legittimazione venga all’avarizia proprio da chi

dovrebbe esserne il più fiero avversario.

Nella bolgia dei seminatori di scandali Dante mette mano a un crescendo di orrori, di terribili

visioni dove le ferite, il sangue. Le piaghe si materializzano come emblema per eccellenza

attraverso il contrappasso di ciò che dilania la storia dell’uomo. Appare forte il senso di

ripugnanza per il sangue sparso nelle guerre di ogni tipo: non a caso tutta la sua riflessione

politica e ideologica è volta ad indicare a modello di pace universale atto a far crescere in sapienza

l’uomo e a prepararlo sul cammino della futura Civitas dei. Infatti dalle guerre terribili ma celebri

citate all’inizio del canto (Canne, Ceprano, Tagliacozzo) va via via mettendo in luce scismi,

scandali divisioni fino alle faide più truculente e meno nobili, quasi a marcare l’insensata follia

sanguinaria dei tempo recenti.

Dopo il vibrante paragone con le battaglie del passato Dante introduce la pena della bolgia nona

con grane violenza espressionistica, riferendosi allo scismatico per eccellenza Maometto. Ma il

culmine dell’orrore si ha nei canti dei traditori (XXXII-XXXIII) in un clima di alta tensione emotiva

che si impenna con l’episodio di Ugolino. Il tradimento è l’atto ultimo e più grave di quelle divisioni

che attraversano per intero la società del tempo, ferendone i sentimenti più sacri e imbestiando

l’uomo.

Nelle cantiche successive il discorso di Dante si dilata fino a prospettare e fondare un’organica

utopia, una possibile via d’uscita dall’incubo dello scenario infernale.

Purgatorio

Il clima non muta repentinamente ma Dante inserisce un disegno più ampio che collosa il

problema della civitas divisa e lacerata a tre diversi punti di focalizzazione:

1. Nel V canto in ripresa degli orrori infernali, dante ritaglia storie strazianti di sangue e

divisioni con al centro l’episodio di Iacopo del Cassero

2. Nel VI l’affollarsi delle anime per morte violenta, lo sdegno conseguente per le faide dei

suoi tempi inducono Dante alla dura invettiva e digressione sui mali d’Italia

3. Nel VII L’accenno a Rodolfo d’Asburgo adombra quale soluzione Dante va prospettando.

E’ un trittico in cui la marca metaforica è evocatrice di sdegnose riflessioni ma anche di genuine

ansie rigeneratrici: come a dire che Dante in questi canti riassume e progetta il più generale

quadro espositivo delle tre cantiche quasi macrosistema che si riflette in un microsistema.

Canto V: La fine di Iacopo del Cassero si staglia cupa e ossessiva nella auto contemplazione dello

strazio del corpo e così Dante sembra collocare in voluto contrasto l’unità delle anime ora insieme

espianti, segno di una riconciliazione possibile. Di qui lo sdegno di Dante nel canto VI in cui lascia

una vera e propria deprecatio in cui il disordine civile e politico della penisola viene ricondotto alla

decadenza delle leggi e delle istituzioni che consente l’affermarsi di un anarchico arbitrio- L’appello

alla provvidenza rilancia l’ideale di una convivenza terrena in cui il giusto, oggettivo, legittimato

potere temporale ne guidi le sorti liberandosi dalla nefasta ingerenza della Chiesa in quella sfera:

condizione per una rigenerazione spirituale della Chiesa stessa.

Canto VII: riprende il tema a partire dalla marca metaforica già sviluppata. Rodolfo poteva sanare

le piaghe ma non lo fece: all’impero com istituzione spetta di curare il corpo malato della società, è

una missione dovuta alla quale non ci si può sottrarre. I poteri per Dante devono lasciare il campo

al garante oggettivo per eccellenza della legalità sopra le parti all’impero.

Il culmine di tale processo anticipato nel trittico lo troviamo nel XIV canto in cui si vede il quadro

più cupo, dolente di Firenze, della Toscana e della Romagna, emblemi di un’intera società

imbelvita e questa umanità che va mutandosi in bestia non può che nutrirsi di sangue. Le metafore

zoomorfe positive in Machiavelli (leone e volpe) sono invece in Dante volte a sottolineare il negarsi

di un’umanità nella sua natura raziocinante. La sconfitta di questa tendenza è affidata a un rilancio

della funzione delle leggi e dell’impero: è quanto emerge nel XVI canto nel discorso di Marco

Lombardo il quale pronuncia una ferma difesa del libero arbitrio come a dire che il progetto di

renovatio politica e morale si salda a un’incontrollabile fiducia nelle possibilità dell’uomo di

modificare la realtà e se stesso si essere protagonista della storia. L’affermazione del libero arbitrio

è la riaffermazione del pensiero cristiano morale e la sottolineatura dell’agire politico e della sua

efficacia reale. Dante nel denunciare il massimo degrado richiama l’uomo alla sua responsabilità.

Canto XX Ugo Capeto lancia un’invettiva contro la sua stirpre e contro l’avarizia che viene colta da

Dante come costante della politica francese e perciò come una delle cause fondanti del degrado

dell’intera europa. Tanto che il sangue regale è esso stesso causa di sangue e ferite.

Nel Purgatorio sono quindi ampiamente delineati il tragitto della marca metaforica e il quadro di

prospettiva entro cui essa è inserita.

Paradiso

In particolare nei canti XXXII e XXXIII coglie il nucleo della tragedia della Chiesa e le vie della sua

possibile renovatio aprendo una prospettiva ad un vasto orizzonte profetico di attesa.

Canto VI: Giustiniano delinea la storia di Roma e la sua missione imperiale. Si argomenta anche

qui di un sangue sparso di quello di Cristo,in contrapposizione rispetto al sangue versato da chi si

arroga il diritto di lottare a suo nome. Nel discorso di Giustiniano quel sangue non è solo simbolo

della salvezza dell’umanità ma è segno concreto del privilegio accordato da Dio all’impero romano

e alle sue leggi: giacchè quell’impero è stato scelto da Dio come luogo dell’incarnazione, Dante

non sceglie a caso la figura di Giustiniano: a lui tradizionalmente si faceva risalire il

consolidamento definitivo del corpus legislativo romano: e le leggi sono la condizione essenziale

per le garanzie di fondo della vita civile e politica. L’accento forte che Dante pone sulle leggi e sul

loro ruolo fondamentale lo collega a tutto quel movimento giuridico medievale che aveva riscoperto

il diritto roano. Così Dante inaugura il percorso che seguiranno altri rinascimentali cioè Roma, la

romanitas e il fondamento giuridico delle leggi così come Roma le elaborò, viste come il cuor e

della civiltà e unico antidoto alla violenza devastatrice degli uomini.

Le leggi sono il modo per contrastare una società di belleratores contrapponendo all’aristocrazia di

sangue

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Publisher
A.A. 2013-2014
43 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecc.ila di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Anselmi Gian Maria.