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II SECOLO A.C.
QUINTO ENNIO
Vissuto a cavallo fra III e II secolo a.C., Ennio proveniva dall’odierna Lecce ed era dunque originario
di quella zona dell’Italia fortemente ellenizzata. Giunto a Roma nel 204 a.C. al seguito di Catone,
lavorò come insegnante ma ben presto divenne celebre per le sue opere teatrali: della sua
produzione sono giunti a noi frammenti di 22 tragedie, 20 cothurnatae e 2 praetextae. Non
eccelse in qualità di commediografo. La sua fama presso i posteri non fu tuttavia merito della sua
teatrale ma del suo poema epico-storico Annales.
• EPICA STORICA: GLI ANNALES
Gli Annales sono considerati la prima testimonianza dell’epica latina in esametri e
narravano nei 18 libri originari, di cui ci rimangono appena 600 versi frammentari, la storia
di Roma dalle sue origini al 169 a.C., anno della morte dell’autore. Il titolo dell’opera si rifà
agli Annales Maximi, raccolte cronologiche stilare annualmente dal collegio dei pontefici
massimi dell’Urbe ma nell’opera di Ennio non tutti i periodi ordinati in ordine cronologico
ricevono uguale trattamento e l’autore preferisce concentrarsi sugli eventi bellici che sulla
politica interna. Ennio si ispirò all’epica di Omero e ai poeti ellenici, guardò con attenzione
anche a Nevio e al suo Bellum Poenicum ma ne prese le distanze preferendo una
narrazione cronologicamente ordinata e una suddivisione sul modello della scuola
alessandrina. La poetica di Ennio è affidata ai due proemi che appaiono negli Annales: il
primo, ad inizio del primo libro, è apparentemente una classica invocazione alle muse ma
Ennio si spinge oltre e, con spirito filoellenico, arriva a descriversi come la reincarnazione
del sommo poeta Omero. Il secondo proemio appare nel settimo libro e ad esso è affidato
il pensiero filologico di Ennio che ripudia i passati poeti in lingua latina, colpevoli di
poetizzare in versi non adeguati, e si auto consacra il primo poeta romano coadiuvato
dall’uso dell’esametro, il verso dei grandi epici greci. I critici antichi si sono soffermati
lungamente sullo stile sperimentale adottato dal poeta, sottolineando in particolar modo il
suo massiccio utilizzo di grecismi e allitterazioni all’interno di uno schema metrico
grecizzante: lo scopo principale di Ennio è quello di adattare lo schema esametrico alla
lingua poetica latina ma l’abbondante utilizzo di figure retoriche di suono all’interno di un
metro rigido risulta stucchevole e per questo le generazioni di poeti successive ridussero al
minimo il loro uso in questo contesto. Ennio divenne comunque il capostipite dell’epica
celebrativa latina e a lui si ispirarono sia nella forma che nei contenuti diversi poeti fin
dopo Virgilio, incoraggiati anche da organi del potere dell’Urbe che vedevano in queste
opere dei mezzi di propaganda politica oltre che opere artistico/letterarie.
• TRAGEDIE PRAETEXTAE E COTHURNATAE
Ennio concepì un teatro tragico vivo ispirandosi ai modelli greci, la cultura con cui era
cresciuto: innegabile è la sua predilezione per il trio tragico Euripide - Eschilo - Sofocle. Non
si tratta tuttavia di un lavoro di emulazione ma di contaminazione che parte dalla
tradizione greca del testo aperto e la libertà dell’autore di reinterpretarlo a proprio
piacimento, decidendo in quale e quanta misura coinvolgere emotivamente il pubblico. A
tal proposito, urge ricordare la funzione che il coro assume nelle tragedie enniane, ossia di
“pubblico virtuale” che partecipa attivamente al dramma e coinvolge il pubblico reale in
una dimensione meta teatrale. Il linguaggio adottato ricalca quello grandioso e patetico
tipico dei grandi tragediografi greci e che sarà uno dei motivi per cui i testi di Ennio furono
considerati stilisticamente superati da autori dell’età classica come Orazio. Molto
importante era anche il gradimento del pubblico e per questo Ennio si atteneva spesso alle
critiche di opere anteriori in modo da non deludere gli spettatori.
PACUVIO
Marco Pacuvio nacque a Brindisi nel 220 a.C. ed era nipote di Ennio. Questa parentela favorì il suo
ingresso nel circolo degli Scipioni in cui si distinse per le sue tragedie. Guardò e rielaborò
artisticamente i classici greci, a cui aggiunse elementi patetici e drammatici in accordo con i gusti
del pubblico romano. Pacuvio divenne celebre anche per l’uso di descrizioni macabre e dettagliate,
suggeritegli probabilmente dalla sua passione per la pittura. La tragedia greca fungeva ovviamente
da base ma lo sviluppo degli eventi si articolava nel contesto della civiltà romana e ne esponeva i
dubbi, le criticità e i punti di forza: fra i temi più trattati vi sono la tirannide, l’influsso di religioni e
dottrine filosofiche provenienti dall’Oriente e l’arte retorica che andava in questo periodo
perfezionandosi a Roma; il teatro appariva un ottimo strumento in quest’ultimo caso per dar
sfoggio di eloquenza grazie alla massiccia presenza di situazioni tipo, dialoghi e monologhi. Una
delle peculiarità di Pacuvio fu l’uso di un linguaggio complesso, spesso considerato dai suoi
contemporanei inutilmente ampolloso e ricco di grecismi e neologismi. Pacuvio, come Accio,
contribuisce a svincolare la figura del tragediografo dal mero mondo teatrale, ponendosi come
intellettuale e grammatico erudito prima che teatrante. La tragedia si eleva in dignità, divenendo
un passatempo per uomini colti e potenti. Lo sperimentalismo linguistico viene tuttavia rilegato ad
altri tipi di opere e la tragedia si codifica in modelli formali.
CECILIO STAZIO
Gallo d’origine, Cecilio Stazio è spesso trattato al pari di un autore minore a causa dell’esiguo
numero di frammenti della sua produzione che si sono conservati nel tempo; testimonianze
storiche affermano tuttavia che come commediografo fosse fra i migliori del suo tempo, pari se
non superiore a Plauto e Terenzio. Con Plauto condivide il gusto per il farsesco e l’inventiva comica
ma rispetto al suo predecessore, si attiene molto più fedelmente ai suoi modelli greci e predilige
Menandro, accostandosi così a Terenzio. Se la fedeltà ai greci è osservata nelle traduzioni di nomi
e situazioni, le tinte utilizzate nei dialoghi e monologhi sono molto simili alle farse plautine e in
questi, il testo originale fungeva da canovaccio su cui Cecilio tesseva una trama in accordo con i
nuovi gusti teatrali del pubblico. Il suo intento non era dunque tradurre letteralmente i classici
greci ma reinventarne le storie utilizzandoli come modello base.
CATONE
Vissuto a cavallo fra III e II secolo a.C., Catone è considerato un unicum nel contesto della politica e
della letteratura romana: fu l’unico politico di primo piano a dedicarsi alla scrittura di opere
storiche. La carriera politica di Catone inizia durante la seconda guerra punica e già nel 195 a.C. è
eletto console. Il suo atteggiamento è apertamente anti-scipionico e contrario alla grecizzazione
dello Stato romano, di cui difese strenuamente la superiorità e le tradizioni. Dal 184 divenne
censore e la sua fermezza rispetto alle proprie idee gli provocò non pochi nemici: ne abbiamo
testimonianza nelle numerose orazioni giuridiche che ci sono giunte in cui Catone sferrava duri
attacchi contro chi, a suo dire, trasgrediva l’etica tradizionale dell’Urbe. Celebre fu la sua pretesa
di espellere tre filosofi ambasciatori greci giunti a Roma nel 155 per diffondere la cultura ellenica e
la sua strenua battaglia per la distruzione totale di Cartagine avvenuta nel 146 a.C., tre anni dopo
la sua morte.
• TRATTATISTICA: DE AGRI CULTURA
Il De Agri Cultura è il testo latino in prosa più antico che si sia conservato integralmente e
rispetto ad altre opere dello stesso argomento e genere, i suoi 170 brevi capitoli sono
composti da precetti secchi e senza finalità filosofiche o letterarie sulla vita degli
agricoltori. Si può considerare più un trattato di etica e morale in cui Catone elenca lo stile
di vita che un buon pater familias deve seguire e dà indicazioni per la formazione di buoni
cittadini e soldati. Il trattato non si rivolge a piccoli possidenti terrieri ma alla classe
emergente dei grandi latifondisti e Catone non manca di dar consigli a proposito della
condotta con gli schiavi, considerati come meri strumenti di lavoro per perseguire i valori di
parsimonia e industriosità successivamente inseriti nel mos maiorus romano dell’età
classica. Il linguaggio non è dunque volto ad enfatizzare la dimensione incorrotta e ingenua
del mondo contadino tipica della letteratura ma è privo di fronzoli, popolare e dritto al
punto.
• STORIOGRAFIA: LE ORIGINES
A partire dalla vecchiaia, Catone si dedicò alla scrittura di un’opera storica di forte impatto
politico e prospetticamente orientata in cui esponeva le sue perplessità e allertava i suoi
contemporanei sulla pericolosità dell’imperante culto della personalità che stava
prendendo piede nella vita politica romana e sulla sua corruzione. Quindi, benché il
progetto ambisse ad abbracciare un ampio periodo storico, dalle origini di Roma al
presente, il focus di Catone fu soprattutto sull’ultimo cinquantennio della vita politica
dell’Urbe a cui dedica ben tre dei sette libri di cui si compone l’opera. Sebbene sia possibile
considerare le Origines la prima opera storiografica in prosa in lingua latina, il suo
linguaggio è ancora molto arcaico rispetto a quello che utilizzerà successivamente un altro
grande maestro d’oratoria come Cicerone: si evidenzia soprattutto l’uso in Catone di una
sintassi prevalentemente paratattica che in poco tempo sarebbe divenuta “antica”.
LUCILIO
Lucilio visse e operò negli stessi ambienti scipionici di Terenzio ma a differenza di questi, liberto
affrancato, era di ceto equestre e dunque svincolato da rapporti di sudditanza e protezione. Ciò
permise a Lucilio di dedicarsi senza censure alla satira e si sono conservati frammenti di circa 1300
versi tratti dai trenta libri di satire a lui attribuiti.
• SATIRA: SATURAE
Il titolo di questi componimenti in versi è di dubbia paternità ma è utilizzato con sicurezza a
partire da Orazio per definire questo genere letterario tipicamente romano. Le origini della
satira non sono greche e la derivazione etimologica del termine è incerto, forse relativo ad
una mescolanza: infatti le satire sono un genere misto sia dal punto di vista argomentativo
che metrico, sebbene a partire da Lucilio si privilegerà ironicamente l’esametro, il verso
dell’epica solenne, per queste opere spesso parodistiche in cui l’autore esprimeva il
proprio punto di vista senza essere ingabbiato in specifici canoni letterari. I trenta libri di
satire di Lucilio