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SISTEMI NOSOGRAFICI E DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
I disturbi del comportamento vengono ampiamente riconosciuti anche nei due sistemi nosografici a
livello internazione, DSM IV e ICD-10. Nel DSM-IV è presente una specifica categoria di disturbi
caratterizzati dal cosiddetto “comportamento dirompente”. All’interno di questa categoria troviamo
tre disturbi:
- Disturbo da Deficit d’Attenzione/Iperattività
- Disturbo della Condotta
- Disturbo oppositivo/provocatorio
Disturbo della condotta
Consiste in un comportamento ripetitivo e persistente che viola i diritti altrui, oppure le regole del
contesto sociale di appartenenza. Generalmente in questi soggetti è presente una forte limitazione
della sfera affettiva, per esempio non vengono sperimentati senso di colpa o vergogna per gli atti
commessi. In alcuni situazioni, per esempio, questi soggetti imputano intenzioni ostili ai
comportamenti neutri dei compagni, ai quali pertanto reagiscono in maniera estremamente
aggressiva.
Altre caratteristiche spesso ravvisabili sono la limitata tolleranza delle frustrazioni, l’irritabilità, il
ridotto autocontrollo di emozioni basilari come la rabbia. In ambito scolastico è frequente
l’associazione con disturbi di apprendimento, che possono portare il soggetto ad avere
atteggiamenti ancora più ostili nei confronti i compagni o insegnanti.
Disturbo oppositivo-provocatorio
Non si manifesta attraverso atti di aggressività diretta, quanto attraverso un atteggiamento ostinato
e sfidante nei confronti soprattutto degli adulti familiari (genitori, insegnanti). In questo caso i
problemi manifestati rimandano soprattutto ad una carenza di autocontrollo emotivo e
comportamentale. Non a caso è molto alto il tasso di comorbidità con il disturbo ADHD.
Disturbi della condotta in comorbidità
Diversamente dal DSM-IV, l’ICD-10 contempla una serie di possibili condizioni di comorbidità tra il
disturbo della condotta e altre forme di psicopatologia. In particolare vengono individuate le
seguenti categorie:
- Disturbo ipercinetico della condotta: tipico di soggetti che presentano sia sintomi iperattivi e
disattenti sia comportamenti aggressivi. E’ una delle più diffuse.
- Disturbo della condotta con ridotta socializzazione
- Disturbo della condotta depressivo
- Disturbo misto della condotta e della sfera emozionale
ALL’ORIGINE DEL PROBLEMA: I MODELLI CAUSALI
DELL’AGGRESSIVITA’
Le variabili neurobiologiche
Le variabili di tipo neurobiologico riguardano sostanzialmente i seguenti ambiti:
- Predisposizioni genetiche
- Alterazioni strutturali e funzionali del Sistema Nervoso Centrale
- Livello intellettivo
Predisposizioni genetiche
E’ importante chiarire che la rilevazione di una familiarità o addirittura di una ereditarietà dei
disturbi aggressivi non implica ovviamente l’esistenza di un gene dell’aggressività. Ciò che
verrebbe ereditato riguarda alcune disfunzionalità del Sistema Nervoso Centrale. In specifico la
predisposizione genetica agirebbe alterando il livello di arousal, la funzionalità neurotrasmettitoriale
e quella di specifiche aree prefrontali.
Numerose ricerche condotte hanno evidenziato che i soggetti aggressivi presentano spesso
un’ipoattivazione del sistema nervoso. Il ridotto livello di arousal agirebbe come fattore
predisponente verso disturbi della condotta attraverso due meccanismi fondamentali: insensibilità
alle punizioni e insensibilità alle stimolazioni. Per quanto riguarda i neurotrasmettitori uno dei più
indagati è la serotonina, perché una delle sua principali funzioni consiste nell’inibizione e nella
modulazione emozionale e comportamentale.
Le alterazioni frontali
Le aree prefrontali svolgono una serie di funzioni cosiddette “esecutive”, tra le quali l’inibizione e
l’autocontrollo comportamentale. Numerose ricerche riportano un deficit delle funzioni esecutive
nei soggetti aggressivi.
Il livello intellettivo
Diverse ricerche hanno rilevato che i soggetti con precoci comportamenti aggressivi presentano
spesso dei punteggi di quoziente intellettivo inferiori alla norma di circa 10 punti. Gli studi sui livelli
intellettivi hanno preso in esame, in modo specifico, la componente verbale, che risulta inferiore
alla norma di oltre 15 punti. Il deficit verbale aumenta il rischio di comportamenti aggressivi.
Le variabili socio ambientali
La seconda ampia categoria di variabili riguarda i fattori relativi al contesto educativo e di vita
quotidiana.
Il ruolo della frustrazione
Possiamo riscontrare tre situazioni in grado di provocare alti livelli di frustrazione
- Quando il soggetto non riesce a raggiungere obiettivi importanti a causa di una serie di
ostacoli di diversa natura
- Quando vengono fatte delle promesse all’allievo da parte dell’adulto, senza che poi
vengano mantenute
- Quando il soggetto si trova in condizioni di inattività che producono noia
Per questi motivi è importante non impegnare questi soggetti in compiti troppo difficili, in modo da
non esporli a possibili esperienze di fallimento. Devono essere sempre motivati, trovano compiti
che possano stimolarli e non annoiarli.
Il ruolo dei processi di apprendimento
Un importante settore di ricerca ha focalizzato l’attenzione sui possibili processi di apprendimento
alla base del comportamento aggressivo. Sono stati individuati due modelli di acquisizione
dell’aggressività:
- Condizionamento operante: una risposta aggressiva emessa dal soggetto può essere
mantenuta come stile abituale di interazione quando permette di raggiungere un obiettivo
desiderato.
- Modellamento: l’apprendimento di condotte aggressive può avvenire anche attraverso
l’osservazione di modelli.
Il ruolo dei carenti repertori di abilità
In virtù dei rilevanti deficit nella sfera comunicativa il soggetto non riuscirebbe a esprimere i propri
bisogni, a comunicare i propri sentimenti e a richiedere l’attenzione di cui necessita.
Quest’assenza di comunicazione con l’ambiente produrrebbe un profondo stato di disagio interno
all’individuo che, superata una determinata soglia, scatenerebbe il comportamento disturbante.
Il ruolo dei fattori educativi
Un’altra possibile causa riguarda le variabili educative:
- Disciplina eccessivamente punitiva: spesso nelle famiglie di bambini aggressivi si è
individuato un eccessivo impiego di punizioni come sistema per mantenere la disciplina,
mentre è praticamente assente l’erogazione di rinforzi per i comportamenti adeguati.
Piuttosto che ricorrere all’uso di punizioni risulterebbe più appropriato premiare i
comportamenti positivi e far osservare al bambino i costi naturali dei suoi atti inadeguati.
- Disciplina incoerente: le figure educative manifestano una rilevante incoerenza nelle
modalità di gestione della disciplina. Queste situazioni sono altamente negative per il
bambino, che si trova nell’impossibilità di comprendere quale sia realmente la condotta
adeguata, sperimentando pertanto un continuo stato di tensione.
- Incapacità a gestire la contrattazione: talvolta i genitori mostrano rilevanti difficoltà a
giungere a una chiara negoziazione con il bambino, ricorrendo per esempio a promesse
che non vengono mantenute.
- Presentazione di modelli aggressivi: è molto rilevante i ruolo che può avere la
presentazione di modelli aggressivi nello sviluppo di condotte problematiche.
INDICAZIONI PER L’INTERVENTO EDUCATIVO
E’ fondamentale che in questi casi venga adottato un approccio di tipo multidimensionale, che
persegua due obiettivi fondamentali: da un lato ridurre gli atti devianti e dall’altro potenziare i
repertori di abilità comunicative e funzionali:
- Il primo livello ha come obiettivo quello di modellare l’ambiente di vita del soggetto, in modo
tale da ridurre i possibili fattori scatenanti il comportamento aggressivo. In primo luogo è
necessaria l’eliminazione di modelli aggressivi. In secondo luogo si possono controllare tutti
quegli stimoli avversivi, che possono provocare frustrazione e facilitare i comportamenti
aggressivi.
- Il secondo livello si occupa degli interventi sulle conseguenze. Si tratta di eliminare tutte le
conseguenze rinforzanti per il comportamento aggressivo. La strategia ottimale risulta
essere l’estinzione, consistente nell’ignorare sistematicamente l’allievo quando manifesta
atti aggressivi. Una seconda strategia prevede il rinforzamento dei comportamenti
antagonisti e quello aggressivo.
- Il terzo livello prevede la trasmissione di abilità. Sono stati sviluppati training volti a
trasmettere alla persona disabile le abilità mancanti (modellamento, prompting, role
playing).
IL DEFICIT D’ATTENZIONE CON IPERATTIVITA’
I numerosi disturbi dell’attenzione e dell’iperattività
Il disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività (ADHD) rappresenta una delle condizioni
problematiche maggiormente frequenti in età evolutiva. Si stima che l’incidenza del disturbo, in
base ai criteri del DSM-IV oscilli tra il 5 e il 10%. Il periodo 6-12 anni rappresenta la fascia a
maggiore rischio.
Il disturbo d’attenzione e iperattività si caratterizza per tre aspetti fondamentali:
- L’elevata frequenza, soprattutto nel periodo scolastico
- Il rischio di cronicizzazione, con una serie di sequele per l’apprendimento
- L’eterogeneità dal suo quadro sintomatologico
La storica triade sintomatologica
Il disturbo ADHD è stato caratterizzato da una triade di sintomi:
- Problemi di attenzione
- Elevati livelli di attività motoria
- Impulsività cognitiva e comportamentale
La disattenzione
Il primo sintomo, costituito dalle difficoltà di attenzione, tende a passare più inosservato, rispetto ai
comportamenti iperattivi, ponendo problemi minori di gestione della classe. Però si tratta della
difficoltà più invalidante sul piano degli apprendimenti e a maggior rischio di stabilità anche in età
adolescenziale e adulta. Possiamo distinguere quattro dimensioni attentive:
- La selettività consiste nel focalizzare l’attenzione sullo stimolo rilevante per un compito,
ignorando quelli irrilevanti.
- La vigilanza, o attenzione sostenuta, implica la capacità di mantenere l’attenzione sul
compito per un intervallo di tempo adeguato
- Lo shift comporta lo spostamento del focus attentivo da uno stimolo a un altro in base alle
richieste del compito
- La capacità, o attenzione divisa, consiste nella capacità di porre attenzione a più fo