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LA PSICOLOGIA DEL Sé: il nome psicologia del sé sta ad indicare l’importanza
e la centralità assunta dall’Io e dalle sue funzioni; essa di sviluppa negli Stati
Uniti.
HARTMANN: l’Io ha un’autonomia propria ed è finalizzato all’adattamento; l’io
si relaziona con l’ambiente esterno e con gli oggetti tra i quali la sua forma
riflessa (sé).
FAIRBAIRN: Il mondo interiore della paziente è formato da tutte le prime
relazioni oggettuali interiorizzate; i rapporti con gli oggetti sono sia esterni
che interni. La libido è l’energia generale non è intesa come la ricerca del
piacere ma dell’oggetto (l’io non insegue il piacere ma l’oggetto); egli
propone una teoria incentrata sulla dipendenza degli oggetti prima infantile
poi adulta. L’io è sempre retto dal principio di realtà e solo gravi frustrazioni
lo fanno regredire al principio del piacere (il bambino non può soddisfare
sempre i suoi bisogni e fare ciò che vuole come essere coccolato o mangiare
e ciò provoca in lui frustrazione; la frustrazione può nascere anche da un
eccesso di affettuosità). Il bambino possiede alla nascita un Io, destinato a
scindersi durante le relazioni oggettuali; durante la sua vita il bambino
incontra oggetti buoni (gratificanti) e cattivi (frustranti) con i quali si
identifica, introiettandoli (sente tali oggetti come parti di Sé) per meglio
controllarli (per F. il bambino introietta solo gli oggetti cattivi, x la klein sia
cattivi che buoni). Verso gli oggetti cattivi il bambino ricorre alla rimozione
spostando nell’inconscio non solo gli oggetti ma anche le parti dell’Io legate
ad essi; ogni oggetto è ambivalente (ha una parte buona e una cattiva) come
l’io che si scinde in una parte libidica e l’altra aggressiva. A Es/Io/Super Io, F.
sostituisce Io centrale (dotato di energia propria), Io libidico e Io sabotatore
(risultati delle prime relazioni oggettuali).
BETTELHEIM: elabora le sue teorie partendo dall’analisi di bambini con
problemi psichici, affettivi e autistici. Per Bettelheim, “Educare significa
amare il bambino”; “Prima di capire i bambini, capire noi stessi”. La sua
terapia non si basa su un analisi isolata ma sull’osservazione delle relazioni
che si creano tra bambini ed equipe e tra bambini stessi.
Secondo B. l’abitudine delle madri a prevedere ogni richiesta del neonato e
alla sua dipendenza da ella, possono ridurre la capacità del bambino di
chiedere l’aiuto degli altri, isolandolo dal contesto sociale.
E’ importante concedere al bambino una certa autonomia basata sulla
padronanza del suo corpo.
Nell’affrontare problemi psichici, secondo B. occorre analizzarli nel contesto in
cui essi si manifestano: es. i disturbi dell’alimentazione vanno affrontati a
tavola, quelli del sonno al momento di andare a dormire.
Durante la terapia, il bambino svolge dei compiti comuni con lo psicanalista:
in qst modo l’Io viene rafforzato da esperienze difficoltose giornaliere che
vengono risolte con successo. Il bambino impara a portare alla coscienza le
tendenze inconsce e a controllarle. Questo metodo è pero inefficace con i
bambini autistici: essi si ritirano dalla realtà, regrediscono a fasi risalenti al
periodo neonatale in cui vi è indistinzione tra sé e l’altro e si esprimono con
attività motorie (che sono da interpretare). L’origine dell’autismo risale alla
negatività con la quale le figure per il bambino più significative si relazionano
con lui (risale alla madre fredda o madre frigorifero); il bambino vede
elementi terrificanti sia nel mondo interno che in quello esterno e come
soluzione egli interrompe la comunicazione con se e con gli altri e si chiude
(non ha relazioni). Dietro al suo disagio vi è il desiderio di ricevere l’amore