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XIX secolo, per poi avere un impulso sistematico soprattutto all’indomani del secondo dopoguerra.
Secondo Weber, la prima versione dell’impresa occidentale risale al Medioevo e prende forma
dall’organizzazione della famiglia. Coleman individua una data precisa per l’invenzione sociale
dell’organizzazione formale: il 1243, quando si stabilisce per la prima volta che un’organizzazione
costituisce una realtà giuridica in sé, con la nozione di personalità legale proposta dal giurista
italiano Sinibaldo Fieschi. Questa nuova forma legale ha posizioni e ruoli, invece che persone,
come elementi delle proprie strutture. L’invenzione di questo nuovo attore collettivo rende possibile
a sua volta una nuova struttura sociale, definita come “organizzazione costruita intenzionalmente”.
Due fenomeni influiscono poi sulla nascita e lo sviluppo delle organizzazioni nelle società:
- La rivoluzione industriale, a partire dalla metà del XVII secolo, con il conseguente aumento della
varietà quali-quantitativa delle organizzazioni.
- La formazione degli stati moderni, con la crescita degli apparati amministrativi.
Tocqueville: XIX secolo, usa il concetto di associazione intendendo un particolare tipo di
organizzazione che è il prodotto indipendente di persone indipendenti, come un’odierna
associazione politica. Considera la diffusione delle organizzazioni negli Stati Uniti come uno
strumento per contrastare la tirannia della maggioranza, intesa come la tendenza della maggioranza
a decidere ogni cosa. Precursore di Weber nell’analisi del funzionamento della burocrazia.
Marx: basa la sua analisi principalmente sui temi del conflitto legato alle relazioni di lavoro nelle
organizzazioni e nella società. Evidenzia come le organizzazioni siano diventate cruciali nella lotta
per il controllo del processo lavorativo e come la struttura organizzativa rifletta il carattere di questa
lotta. Principale contributo: dare rilievo alle forze economiche e sociali nel formare le
organizzazioni e limitarne l’azione.
Simmel: studia il funzionamento delle società segrete. Contribuisce a sviluppare un lessico
concettuale, utilizzato in moltissime teorie future.
Michels: “chi dice organizzazione dice oligarchia”.
Durkheim: pensiero basato sulla divisione del lavoro e sulle forme di solidarietà organica.
Negli Stati Uniti lo studio delle organizzazioni si sviluppa solo successivamente alla Seconda
Guerra Mondiale.
Tre differenti origini della teoria dell’organizzazione e degli studi organizzativi:
1. Il lavoro di Weber sulla burocrazia (1922)
2. Filone di teorie di carattere prevalentemente normativo, focalizzate sul controllo
manageriale dei processi di lavoro e la loro organizzazione ottimale: Taylor (divisione del
lavoro), la scuola delle Relazioni umane (importanza della motivazione), Barnard (incentivi
come strumento manageriale)
3. Filone della teoria organizzativa originato dalla letteratura economica sull’organizzazione
industriale.
L’espressione “teoria dell’organizzazione” viene formulata per la prima volta da Gulik e Urwick,
ma è Simon a promuoverla come “teoria organizzativa”.
Thompson, nel 1956, sostiene che la teoria organizzativa deve contenere quattro elementi:
1. Deve essere composta da concetti astratti che possono essere operazionalizzati e da ipotesi che
possono essere valutate empiricamente;
2. deve essere generale, trascendendo i differenti tipi di organizzazione e contesti;
3. deve perseguire multipli livelli di analisi;
4. deve essere cumulativa, aumentando il suo potere esplicativo.
A partire dagli anni Sessanta, si delinea una distinzione tra teoria organizzativa e comportamento
organizzativo. La differenza maggiore sta nell’unità di analisi di riferimento: nella prima si studia
l’organizzazione in quanto tale, mentre nel secondo si fa riferimento al comportamento individuale
e di gruppo.
Gli studi organizzativi consentono di: valutare un determinato fenomeno + fare previsioni + fare
prescrizioni e progettare come dovrebbe essere l’organizzazione.
Livelli di Analisi
Per quanto riguarda lo studio delle organizzazioni sono stati differenziati dei livelli di analisi:
1. Livello socio psicologico e intraorganizzativo (micro): focus sul comportamento delle persone
nel contesto organizzativo, sullo sfondo le caratteristiche dell’organizzazione e l’ambiente.
2. Livello organizzativo (meso): focus sugli aspetti strutturali e sui processi che caratterizzano
l’organizzazione.
3. Livello ecologico e interorganizzativo (macro): focus sulle caratteristiche delle organizzazioni
viste come entità collettive, operanti in un ampio sistema di relazioni e interazioni.
Thompson evidenzia come gli scopi sociali nelle società moderne eccedano in modo crescente le
capacità delle singole organizzazioni complesse, fino a richiedere un’azione da parte di più ampi
complessi multi organizzativi. Ahrne e Brunsson, a questo proposito, introducono il concetto di
metaorganizzazioni (MO) per denotare le organizzazioni fatte da altre organizzazioni. Esse
differiscono dagli stati federati e dalle imprese multinazionali: la membership è volontaria e non si
può forzare un’organizzazione ad aderire a una MO; il loro fine è lavorare nell’interesse di tutti i
membri coinvolgendoli in quanto simili e paritari; inoltre, al contrario delle multinazionali, il potere
è distribuito e non accentrato.
Processi di differenziazione e coordinamento-integrazione:
La differenziazione è il primo passo per suddividere il lavoro, definire la struttra dei compiti e
affidarli alle persone in funzione del risultato atteso. Simon individua nella divisione del lavoro la
causa principale del progresso nelle capacità produttive. Occorre però che a tale processo si
affianchi un corrispondente di coordinamento-integrazione che riporti il tutto a un’unità. Il
coordinamento rappr la regolaz efficace dell’interdipendenza tra attori e/o organizzazioni diverse.
Thopson individua tre distinte modalità di realizzazione del coordinamento:
1. Attraverso la standardizzazione, ovvero mediante regole e routine. Più adatta in situazioni di
interdipendenza bassa (le attività di due filiali bancarie)
2. Attraverso programmi, ovvero con la creazione di schemi operativi di pianificazione. Più
adatta in situazioni di interdipendenza sequenziale (catena di montaggio)
3. Per mutuo adattamento, quando le parti si coordinano reciprocamente scambiandosi
informazione durante l’attività stessa. Più adatta in situazioni di interdipendenza reciproca,
laddove gli output di una parte diventano gli input di altre.
Interdipendenza
Le interdipendenze sono scambi o condivisioni di risorse materiali o informazioni tra gli attori delle
unità organizzative (o tra diverse unità organizzative interne o con strutture esterne) al fine di
realizzare le attività operative. La letteratura scientifica evidenzia come il grado di intedipendenza
(percepito) influenzi l’efficacia dei gruppi di lavoro e, nel caso di gruppi eterogenei, la loro capacità
innovativa. Risulta correlato con la qualità delle relazioni interpersonali, i comportamenti
collaborativi, il supporto sociale, la percezione di responsabilità personale. La relazione tra
soddisfazione lavorativa e motivazione intrinseca non è sempre dimostrata.
Forme interdipendenza possono variare per: direzione (mono o bi-direzionale), intensità (forte o
debole, autonomia e discrezionalità) , sequenza temporale, grado differenziazione, performance
attesa, scopo
Interdipendenza rispetto al compito: Grado in cui i membri di un gruppo debbono condividere
srumenti, informazioni, competenze, al fine di svolgere le proprie prestazioni professionali, grado di
interazione richiesta dal compito di lavoro. Formalizzato nei processi e/o percepito: quanto i
membro del gruppo ritengono di dipendere per lo svolgimento della prestazione lavorativa
Interdipendenza su obiettivo: Grado di interconnessione tra i membri di un gruppo affinchè
possano raggiungere lo scopo dell’unità (definito come collettivo) attraverso strategie di tipo
cooperativo (piuttosto che individuali). Condivisione di obiettivi macro o valori.
Ciascuna modalità di realizzazione del coordinamento risulta più adeguata a secondo del tipo di
interdipendenza delle attività di un’organizzazione:
Interdipendenza generica: come tra le attività di 2 filiali bancarie, non del tutto indipendenti
ma neppure strettamente connesse, la modalità di coordinamento più efficace è la
standardizzazione
Interdipendenza sequenziale: come in una linea di montaggio, la modalità più efficace è quella
per programmi. Ogni parte fornisce ad un'altra gli input indispensabili perché questa possa
operare. Le unità sono quindi in sequenza asimmetrica (relaz unidirezionale), poiché la seconda
dipende dalla prima, la terza dalla seconda ecc…
Interdipendenza reciproca: laddove gli output di una parte diventano input di altre, come in un
pronto soccorso, la modalità più efficace è quella per mutuo adattamento. Ogni parte dell’
organizione può funzionare solo sulla base di scambi con le altre in una rete di relazioni
variabili e simmetriche dove l’attività di ogni unità costituisce necessariamente una risorsa ed
un vincolo al lavoro delle altre
Tipi interdipendenza Meccanismo coordinamento
Semplice/Generica Per standardizzazione
Sequenziale Per supervisione diretta/Programmi
Reciproca Per mutuo adattamento
Mintzberg distingue cinque meccanismi di coordinamento e controllo che possono essere
combinati tra loro:
Coordinamento per standardizzazione: si tratta di una forma di inerdipendenza di legame debole
dato dal fatto di convivere nello stesso ambiente. Il coordinamento avvinene attraverso la pre
determinazione degli standard di riferimento, cioè regole intrensicamente coerenti che vincolano
l’azione di ciascuna unità. Le modalità di lavoro sono programmate e i processi diventano routinari.
I processi standard consentono l’automazione e richiedono un alimitata supervisione, Il
coordinamento è demandato al sistema e al controll di gestione. E’ diffuso nelle organizz di tipo
industriale (catena di montaggio) ma anche nelle HRO-High Reliability Org.
Gli attori organizzativi realizzano le proprie attività in maniera del tutto indipendente contribuendo
ciascuna alla realizzazione del fine comune dell’organizzazione. Mancano in questo caso delle
specifiche relazioni di scambio e condivisioni dirette dell’attività dei singoli attori. Le
interdipendenze possono essere gestite con procedure e regole (standardizzazione) cui gli individui
possono