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-ORGANIZING:
-OTTIMO:
-PARTE:
-PARTECIPAZIONE:
-PATH DEPENDENCE:
-PERSISTENZA:
-POSITIONING:
-POTERE: non risiede negli attori sociali, ma all'interno della loro relazione. E' proprio nella
dimensione relazionale che si giocano i diversi rapporti di potere caratteristici, secondo Etzioni, di
differenti tipologie di organizzazioni: vi sono le organizzazioni coercitive (prigioni, istituti
psichiatrici), remunerative (fabbriche), normative (chiese, associazioni di volontariato),
postindustriali (networks, joint ventures). Le fonti di potere sono molteplici, tuttavia l'autorità,
richiamando la gerarchia organizzativa, rappresenta la più ricca risorsa per chi vuole esercitare
potere. Le altre fonti di potere sono: il carisma e tutte quelle disposizioni personali che hanno a
che fare con l'efficienza sul lavoro, una forte socialità e una buona dose di creatività; le
conoscenza tecniche che riguardano la competenza specifica e riconosciuta socialmente; infine
l'opportunità di accedere e controllare risorse rare, utili per l'organizzazione. la capacità di gestire e
controllare quelle aree di incertezza di cui tutte le organizzazioni fanno esperienza. Secondo
Pfeffer, per esempio, il potere deriva dalla capacità di offrire un qualcosa che l'organizzazione
tiene in gran conto e che può essere ottenuto solo da un particolare attore sociale e la gestione
dell'incertezza è un compito cruciale nelle organizzazioni. Si può sviluppare potere: creando
dipendenze negli altri: lavorando in aree dove c'è una forte incertezza, coltivando la propria
centralita in aree importanti, diventando insostituibili per certi compiti gestendo l'incertezza al posto
di altri cercando di prevedere e contenere gli elementi incerti sviluppando contatti personali
aggiornandosi. Si può utilizzare il potere per: gestire il flusso di informazioni gestire il da farsi
controllare i criteri decisionali cooptare e gestire coalizioni informali, come nelle relazioni tra
fornitori e clienti portare esperti esterni per rafforzare la propria posizione
-PRESUNZIONE: Un aspetto del carattere che connota un’eccessiva sicurezza delle proprie
convinzioni senza verificarne la veridicità. Sui dizionari etimologici della lingua italiana, questo
termine deriva dal latino "presumptus", che significa, giudizio fondato su indizi o principi di prova:
che si suppone vero fino a prova contraria. Possono essere diversi i fattori che portano alla
presunzione ma riconducibili tutti, in fondo, ad apprendimenti scorretti. Una persona è
presuntuosa, riguardo ad esempio, alla condizione di poter essere eccessivamente bravi, perché è
superficiale e non è in grado di osservare la realtà in una maniera corretta. Con la presunzione
positiva, ad esempio, un essere umano si sente preparato in un settore e lo dimostra con i fatti,
anche se viene criticato dagli altri. Invece, la presunzione negativa è più diffusa, perché nella
Società di oggi ci sono tante persone che, nel porgersi al mondo esterno hanno un
comportamento arrogante, presuntuoso, sono convinti di sapere tutto e cercano di porsi sempre al
centro dell’attenzione. Forse tutto questo accade perché l’essere umano si sente insicuro, ha
paura di affrontare la realtà, di mettersi in discussione e ascoltare gli altri. La presunzione positiva
si evidenzia quando si presume qualcosa e poi si dimostra di aver ragione. Negli altri casi si offre
la prova di essere, quantomeno, poco accorti. C’è da aggiungere che, anche il presuntuoso
positivo, comunque, è un individuo che fa pesare le proprie opinioni: non è che sia molto
conciliante perché, altrimenti, farebbe accettare la propria tesi senza scontrarsi e senza portare
avanti le proprie idee a qualunque costo. Tranne qualche caso in cui si portano delle innovazioni a
cui gli altri si oppongono, possiamo dire che il presuntuoso positivo non è una persona matura
perché, altrimenti, cercherebbe una strada per farsi accettare anche dalla Società.
Metaprocesso: insieme di processi coordinati e coerenti
PROCESSI PSICODINAMICI: l'insieme di meccanismi e processi psichici sottesi al
comportamento e più in generale alla personalità di un individuo, preso singolarmente o in
relazione ad altri. È ormai impossibile parlare di psicodinamica senza riferirsi all'inconscio, dal
momento che, dalla rivoluzione psicoanalitica in poi, i processi mentali legati al comportamento
manifesto sono considerati attraverso un'ottica inconscia, vale a dire agenti "sotto" il livello di
consapevolezza. La branca della psicologia che studia, analizza e descrive gli aspetti della
psicodinamica è la psicologia dinamica, sviluppatasi ampiamente grazie al contributo di Sigmund
Freud, tanto che ormai è quasi usata come sinonimo di psicoanalisi e della stessa psicodinamica
di cui studia i meccanismi. L'accezione "dinamica" sta ad indicare prevalentemente l'esistenza di
forze o attività psichiche che possono interagire o entrare in conflitto, dando origine a
caratteristiche di personalità e comportamenti che, se pervasivi e disadattivi, sono considerati
come sintomi di un disturbo psichico.Il concetto di conflitto psichico è centrale nella psicologia
dinamica, e si riferisce primariamente all'idea freudiana del costante conflitto fra desiderio e difesa,
vale a dire fra un movimento verso un oggetto, un obiettivo ed una serie di "impedimenti" dettati
dalla morale o da altre regole comportamentali apprese. Questa definizione sembrerebbe
circoscrivere l'interesse della Psicologia Dinamica al ramo delle nevrosi, benché si siano
sviluppate, nel corso del tempo, delle teorie psicodinamiche relative a disturbi diversi, come le
psicosi ed i disturbi di personalità, relative al rapporto con la realtà ed alle relazioni. Gli stessi
modelli psicodinamici, intesi nell'accezione storica originaria "pulsionalista" di inizio novecento (ed
attualmente in buona parte superati e revisionati), sono accomunati dalla concezione del
funzionamento mentale come il risultato di un conflitto. Il conflitto è dato dalla opposizione tra
potenti forze inconsce che richiedono l’espressione e la soddisfazione immediata, e forze opposte
che impongono un controllo, e limitano l’espressione reprimendola o permettendone la
soddisfazione in modalità socialmente accettabili. Il conflitto, in altri termini, può essere
concettualizzato come la contrapposizione tra un desiderio ed una difesa contro il desiderio
stesso.
-PROTEZIONE:
-PSICOLOGIA CLINICA DELLE ORGANIZZAZIONI: La psicologia delle organizzazioni si occupa
dell'analisi psicologica del comportamento di individui e gruppi in relazione al funzionamento delle
organizzazioni. In questo campo l'individuo è visto come un soggetto membro di un gruppo definito
organizzazione. Vengono analizzati i sistemi di interdipendenza tra individui ed organizzazione che
portano al raggiungimento di uno scopo comune e le relazioni che possono portare miglioramenti
all'interno del gruppo. Tutto ciò si attiva facendo delle analisi in ambito clinico e si possono mettere
in atto progetti.
REGOLE E METAREGOLE: Oltre alle regole esistono poi le metaregole, cioè le regole circa il
porre le regole. È importante conoscere l’esistenza di queste regole perché quella sul diritto a
porre le regole è una lotta di potere che spiega molti futili litigi che altrimenti sarebbero
incomprensibili.
-RELAZIONE: i riferisce al rapporto che intercorre tra due o più individui. Queste relazioni si
possono basare su sentimenti (come amore, simpatia, amicizia) come anche in base a passioni
condivise e/o ad impegni sociali e/o professionali. le relazioni sociali hanno luogo in ogni contesto
umano: dai rapporti di amicizia, alla famiglia a qualsiasi forma di aggregazione umana. Parlando
di relazioni di coppia ci si riferisce spesso ad un rapporto sentimentale e/o intimo tra due persone
come ad esempio nella coppia di amanti, o nella coppia genitoriale o nel rapporto genitore-figlio.
Nessun essere umano può vivere completamente solo, noi siamo “animali sociali”: senza relazioni
interpersonali non esisterebbe la società in cui viviamo, queste ci permettono di scambiare opinioni
e di imparare l’uno dall’esperienza dell’altro. Le persone comunicano sia con le parole, il
linguaggio verbale, sia attraverso i comportamenti, il linguaggio non verbale: attraverso lo
sguardo, ad esempio, entriamo in contatto con l’altro che può o ricambiare lo sguardo oppure
abbassare lo sguardo sentendosi intimidito, avvertendo l’invadenza di chi lo sta guardando. Le
stesse cose, dette o fatte in ambienti diversi, nel proprio gruppo o fuori da esso, provocano negli
altri reazioni diverse. Le relazioni interpersonali soddisfano il nostro desiderio di avere amore,
affetto, rispetto, protezione, aiuto, consigli. Purtroppo, però, nulla è dovuto: non tutte le relazioni
hanno un buon risultato, ci sono relazioni interpersonali che fanno soffrire ma ciò non significa
che non si deve rischiare, perché da soli non si può vivere e perché le relazioni con gli altri ci
aiutano a crescere. Avere relazioni interpersonali significa, infatti, apprendere la capacità di
mediare tra diversi punti di vista, una capacità fondata sul rispetto reciproco che permette a tutti di
esprimere il proprio parere. La prima relazione umana è quella che stabiliamo con la nostra
famiglia nella quale siamo cresciuti: nei primi anni impariamo che noi e gli altri siamo persone
distinte, separate, ognuno ha i propri pensieri, pregi e difetti, diritti e doveri, e vengono stabilite, in
seguito, delle regole di comportamento che ci accompagneranno per tutta la vita. I figli crescono e
tra genitori e figli cominciano i litigi: quando la situazione si surriscalda ogni genitore ha un
bagaglio di frasi tipiche (“Ai miei tempi..”, “Questa casa non è un albergo..” ecc.). Sta di fatto che
ogni generazione si sente più sfortunata di quella che la segue e più furba di quella che la precede:
i genitori pensano che il figlio abbia più di quello che hanno avuto loro e il figlio pensa che loro
non capiscano ciò che lui prova. Lo stesso sarà successo ai nostri genitori con i loro genitori e via
all’indietro, all’infinito: ad una certa età, specie durante l’adolescenza, diventa importante litigare
con i propri genitori. Litigare è un modo per prendere le distanze e tracciare le differenze: “questo
sono io – questo sei tu, tu sei mio padre, tu sei mia madre, non siamo la stessa persona, la
pensiamo diversamente”. In questo senso, litigare è un modo per superare il dolore e il senso di
colpa do