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La ferritina è una proteina multimerica formata da 24 subunità (ciascuna è un
four helix bundle) assemblate tra loro a formare un involucro sferico di
circa 480.000 Da, contenente al suo interno una
cavità. La ferritina dei diversi tessuti contiene, in proporzioni variabili, due tipi di
subunità: la subunità L di 19.000 Da e la subunità H di 21.000 Da. La proteina
utilizza la cavità interna, che presenta dei piccoli pori, per l’accumulo di ferro
all’interno delle cellule. La ferritina ha un’emivita di soli 10 minuti ed è captata
quasi completamente dagli epatociti. La densità nel plasma in soggetti adulti è
di 90-130 μg/L (negli uomini) e di 30-60 μg/L (nelle donne).
In ambiente riducente il Fe diventa FeII, mentre in presenza di ossigeno, FeII si
ossida diventando FeIII.
Quando il FeII cede un elettrone all’ossigeno, si forma un radicale libero
dell’ossigeno. La ferritina ha anche un’attività ferro-ossidasica (fa parte delle
ossido-reduttasi): cede un elettrone a una catena laterale di un amminoacido,
successivamente prende un altro elettrone da una catena laterale di un altro
amminoacido e cede all’ossigeno due elettroni perché questo possa formare
acqua.
Il metabolismo del ferro
Il nostro organismo necessita di 10-20 mg di ferro al giorno ma il nostro
intestino ne assorbe 1-2 mg, quindi il resto deve essere necessariamente
immagazzinato e riciclato. La transferrina trasporta il ferro nei luoghi in cui è
maggiormente utilizzato, come ad esempio midollo osseo, che sintetizza
emoglobina, fegato e cuore.
Nel nostro organismo non è presente una regolazione nell’escrezione del ferro e
quest’ultimo viene espulso attraverso l’esfoliazione degli epiteli.
Pentraxina
Tra le proteine plasmatiche l’albumina e la transferrina sono quelle più
abbondanti. La terza proteina, la pentraxina, è molto particolare in quanto nei
soggetti sani, normalmente, è presente in concentrazioni molto basse. Tuttavia,
in presenza di un processo infiammatorio, la sua concentrazione aumenta
esponenzialmente (questo parametro è molto importante per la biochimica
clinica), anche se non uguaglierà mai la concentrazione delle prime due,
riuscendo a raggiungere al massimo un valore di 60/70 mg/l. Questa proteina è
un marker prezioso per le infiammazioni ed è detta protein c-reattiva nella
vecchia nomenclatura e pentraxina nella nuova. È una proteina dell’immunità
innata ed è il residuo evoluzionistico di un sistema immunitario primitivo. Viene
attivata da residui batterici o cellule morte: vi sono recettori su cellule
competenti che riconoscono questi segnali di infiammazione e, in risposta,
determinano la sintesi e la secrezione nel plasma della pentraxina. Questa
proteina ha una struttura quaternaria, infatti è un pentamero tenuto insieme da
legami non covalenti e l’ unità strutturale (il monomero) è il sandwich beta
(formato da due pavimenti beta posizionati uno sopra l’altro) con una zona
random coil e un’alfa elica. È attiva solo in forma pentamerica. Una volta
riconosciuti i fattori che segnalano una infiammazione in atto, attiva una cascata
del tipo del complemento, svolgendo funzioni molto primitive ma tipiche del
sistema immunitario, motivo per cui è annoverata tra le proteine dell’immunità
innata. Nei mammiferi, questa proteina ha assunto un patway di interazione
molto importante (scoperto recentemente), infatti dopo aver riconosciuto
direttamente batteri o residui di cellule morte si lega essa stessa a cellule
dell’immunità, come macrofagi o cellule t o a cellule dendritiche, su recettori
specifici, e le attiva contro le cellule che presentano l’antigene non usuale (è una
risposta molto complicata e mista). Tale proteina non riconosce effettivamente